Il miraggio del ritorno della produttività
Interrogarsi, come ha fatto di recente un bel paper pubblicato dalla Banca di Francia, su cosa abbia determinato la notevole crescita della produttività nell’ultimo mezzo secolo, che tanto benessere ha generato nel mondo, serve innanzitutto a provare a capire perché l’ultimo ventennio sia connotato da un trend opposto. La produttività tende a declinare, almeno nei paesi avanzati, alimentando suggestioni millenaristiche come quella della stagnazione secolare, concepita in tempi remoti e tuttavia vieppiù attuale in un contesto come il nostro contrassegnato sempre più da popolazioni anziane e tassi di interesse rasoterra.
La ricerca degli economisti francesi ha il merito di presentare un orizzonte lungo, che va dal 1960 al 2019, poco prima dell’eruzione della pandemia, riferito a una trentina di paesi dai quali gli studiosi hanno estratto un dataset che include la variabili più disparate – dal Pil allo ore lavorate, fino ad arrivare ai livelli di istruzione, dal quale hanno estratto la tabella che trovate a seguire, che racconta, pure se col linguaggio arido dei numeri, una storia di puro umanesimo.
Infatti è emerso che a guidare la grande crescita degli anni d’oro dei paesi avanzati sono stati quelli che gli economisti chiamano fattori totali della produzione, (Total factor productivity, TFP), ossia quei fattori della produzione ulteriori rispetto al capitale e al lavoro. Roba esoterica, dove allignano categorie di difficile misurazione, come quella che fanno riferimento al capitale umano, dove abitano requisiti come l’istruzione o le relazioni.
Assai meno importante, tranne che in certi periodi e per determinati paesi – Germania e Giappone fra le metà dei Settanta e la metà dei Novanta, Francia e Italia fra la metà dei novanta e il 2005 – il contributo dei robot, mentre quello della rivoluzione tecnologica è stato ancor minore.
Dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso questi TFP hanno iniziato a declinare. “Questo rallentamento è principalmente spiegato da una diminuzione dei contributi delle componenti “altre” del capital deepening e degli altri canali dei TFP”. Ma, come sempre, “servono altre analisi per spiegare le cause di questo slowdown”. Il puzzle della produttività, non a caso, è ospite fisso dei dibattiti economici.
Aldilà del passato, più interessante è lo sguardo sul futuro. “Stiamo ancora aspettando i grandi benefit di produttività dalla terza rivoluzione industriale: quella digitale”, ricordano gli autori, sottolineando che “potrebbero essere necessari decenni per ottenere un grande vantaggio in termini di produttività a livello globale da invenzioni e innovazioni promettenti”. Questo almeno racconta la storia delle rivoluzioni industriali.
Se le cose stanno così “potrebbe volerci molto tempo prima che si percepisca il pieno impatto della rivoluzione digitale”, ma possiamo aspettarci che “potremmo beneficiare fra alcuni anni – o decenni – di una notevole ripresa della produttività”. Se questo miraggio dovesse rivelarsi fallace “i paesi sviluppati dovrebbero affrontare con difficoltà le numerose sfide del futuro”. Quelli più cinici di noi potranno consolarsi pensando che non farà poi così tanta differenza. Fra molti decenni saremo tutti altrove.