Le multinazionali neutralizzano banche centrali e governi

Per capire di cosa parliamo quando parliamo della straordinaria crescita del potere sui mercati delle multinazionali registrata dal Fmi in un recente paper, dobbiamo scendere ancora un po’ più nei dettagli e vedere l’effetto che fa tale potere crescente sui principali tool di politica economica che usano i governi per svolgere la propria attività: la politica monetaria e quella fiscale.

Detta in altro modo, le multinazionali rischiano di essere immuni alle politiche dei governi. E questa “immunità” molto facilmente le classifica come entità che – semplicemente – di quello che dicono i governi possono infischiarsene. Da ciò derivano conseguenze politiche non di poco conto che dovrebbero farci riflettere sulla configurazione che sta assumendo, nella nostra economia globalizzata, la geografia politica, ancora legata a forme ottocentesche di rappresentanza – gli stati nazionali – quando stanno sorgendo sotto gli occhi di tutti nuovi tipi di nazionalità, magari digitali, delle quali le multinazionali – si pensi alla Big Tech – sono la punta di lancia.

Senza bisogno di andar troppo lontano, per adesso contentiamoci di osservare in virtù di quali caratteristiche le grandi aziende multinazionali siano divenute capaci di neutralizzare molte delle azioni dei governi, iniziando dalla politica monetaria, ossia dallo strumento più utilizzato nell’ultimo ventennio per dare ossigeno ai mercati orientando i tassi di interesse.

Il succo dell’analisi svolta dal Fmi è che un grande potere di mercato rende la grande azienda meno sensibile agli stimoli offerti dalla politica monetaria. Essendo compagnie che basano sulle rendite di posizione gran parte della loro redditività, il cambio dei prezzi relativi indotti dalle politiche monetarie, compreso quello del credito, ha effetti praticamente nulli sia sulla domanda dei clienti – perché i prezzi rimangono stabili – sia sui costi interni. “I profitti di un’impresa con margini elevati aiutano anche a proteggerla dai cambiamenti nelle condizioni di finanziamento esterno, consentendole di continuare a finanziare alcune forme di investimento quando il costo del credito aumenta”, spiega il Fondo.

L’analisi empirica, svolta sui dati dell’ultimo ventennio delle aziende americane, conferma l’assunto teorico.

Il grafico sopra mostra la risposta dell’occupazione americana al taglio di 100 punti base dei tassi nominali ufficiali. “Come rivela l’indebolimento della risposta dell’occupazione, le aziende a più elevati mark up (le multinazionali, ndr) rendono la politica monetaria meno efficace nel stabilizzare i cicli economici degli Stati Uniti”. Altre analisi hanno confermato che le aziende con grande potere di mercato sono meno sensibili agli effetti delle politiche monetarie, “anche all’interno di settori strettamente definiti in un determinato paese”.

Questo è anche conseguenza delle notevoli scorte di risorse finanziarie che questa grandi compagnie hanno a disposizione, che in qualche modo le rende impermeabili agli stimoli indotti dall’autorità monetaria.

Se dal versante monetario ci spostiamo in quello fiscale, il discorso cambia poco. E’ diverso solo il canale che “neutralizza” l’azione del governo, sia essa espansiva, sia essa restrittiva. “Una minore competizione di mercato – spiega il Fondo – indebolisce la trasmissione dei target fiscale”. E poiché le corporation, aumentando il loro potere sul mercato indeboliscono la spinta alla concorrenza, ecco che la politica fiscale ha effetti meno rilevanti sull’intero circuito economico.

L’esempio utilizzato dal Fmi è quello dello stimolo fiscale cinese degli anni 2009-10. In quegli anni il governo spese quattro trilioni di yuan, circa il 10% del pil del 2008, per stimolare l’economia deprezza dalla crisi subprime utlizzando i governi locali come strumento dell’espansione fiscale. Dalle analisi è emerso che nelle città dove il settore delle costruzioni era più efficiente – perché maggiormente competitivo – l’investimento privato nel settore ha risposto meglio allo stimolo fiscale.

Rimane la domanda. Se l’azione dei governi viene in qualche modo impedita dalle grandi aziende multinazionali significa che i governi devono alzare il livello di intervento, ad esempio coordinandosi maggiormente a livello internazionale? Il Fmi punta proprio su questo. Significa in pratica avere governi più forti a fronte di multinazionali più deboli. Una magra consolazione.

(2/fine)

Puntata precedente.  I mercati nella morsa di governi e multinazionali

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