La globalizzazione emergente. Tensioni sul Mar Nero

Due fatti molto diversi fra loro hanno accesso l’attenzione degli osservatori internazionali su un’area del mondo usualmente poco frequentata dalle cronache, ma sempre molto strategica per chi ha occhi per vedere: il Mar Nero. Questo enorme specchio d’acqua che attraverso gli stretti turchi collega la parte orientale dell’Eurasia al Mediterraneo è stato sempre uno dei punti dolenti delle relazioni internazionali, rappresentando una sorta di frontiera marittima ai tempi della guerra fredda fra il mondo sovietico e quello occidentale. Oggi è una confusa linea di demarcazione fra due diverse visioni della globalizzazione che rappresentano interessi diffusi che vanno dall’energia al “semplice” controllo del territorio.

Nulla di strano perciò che attorno al Mar Nero fioriscano di tanto in tanto tensioni per i più svariati motivi. Quelli più recenti sono l’effetto diretto della rivalità strategica che Turchia e Russia vivono da secoli, sin da quando erano ottomani e zaristi, che il presente ha trasformato in collaborazione tattica, ma che comunque rimane sullo sfondo delle relazioni internazionali. E si esprime in due diversi dossier che casualmente (?) sono venuti a maturazione nello stesso momento. Da una parte l’inizio dei lavori al Canale Istanbul, che ha generato non poche tensioni in Turchia, culminate in una lettera aperta di diversi ammiragli contrari all’opera voluta dal Erdogan. Dalla parte opposta – in senso letterale quindi geografico – il riaccendersi del fronte fra Ucraina e Russia. Le tensioni quindi attraversano il Mar Nero da Sud a Nord.

In comune queste due questioni hanno alcune cose. Innanzitutto la Russia. Se il progetto di Erdogan di costruire un canale parallelo al Bosforo si realizzerà, questo avrà un impatto sui traffici marittimi della Russia, visto che dagli stretti turchi passa molto del traffico petrolifero di Putin. Quest’ultimo sarebbe costretto a pagare pedaggi per passare dal Canale che potrebbero essere assai più costosi della cifra poco più che simbolica – circa 4.500 dollari per nave secondo Bloomberg – che si paga adesso per passare dal Bosforo. Per “obbligare” all’uso del nuovo Canale, che chiede di essere ripagato dal traffico marittimo – per giunta in calo negli ultimi anni – dei costi per la costruzione, si pensa che il premier turco possa in qualche modo “forzare” la convenzione di Montreaux, che nel 1936 regolamentò a livello internazionale i traffici degli stretti turchi.

Da qui la protesta degli ammiragli turchi, che temono per gli equilibri del Mar Nero, e la furiosa reazione di Erdogan che ha accusato i militari di golpe. Il progetto di Erdogan, insomma, tirando le somme sembra aver come scopo l’ennesimo riposizionamento turco sullo scacchiere internazionale. La Turchia non solo vuole confermare e rafforzare il suo ruolo di hub energetico, garantendosi sempre più rendite di posizione, ma viaggia sempre sul crinale di una sorta di doppio gioco fra l’alleato Nato, e il partner russo. Doppiare il Bosforo, infatti, non serve solo per far scendere più navi russe, magari a caro pedaggio, ma anche a far salire più navi Usa.

Ed è qui che entra in partita lo scenario ucraino. La Russia ha fatto della Crimea la sua frontiera con l’Occidente, e l’Occidente – Europa in testa – ha finito col fare della Crimea la sua potenziale Danzica. Dal canto suo la Turchia ha attivato un programma di cooperazione sulla difesa proprio con gli Ucraini.

La tensione su questo confine simboleggia perfettamente la confusione della relazioni fra l’Unione Europea, la Turchia e la Russia, e soprattutto sottolinea l’importanza della risposta americana, qualunque essa sarà, che indirizzerà in qualche modo l’evoluzione della crisi, visto che gli Usa a Occidente sono gli unici (insieme ai Turchi) a poter mettere in campo l’opzione militare.

Comunque vadano a finire queste crisi, sembra che il Mar Nero sia alla ricerca di un nuovo e faticoso equilibrio. E l’Ue, con le varie anime che la abitano, ognuna delle quale gioca una partita diversa, ancora una volta interpreta il ruolo del vaso di coccio fra la potenza egemone e quelle emergenti, non essendo l’una, ma in fondo neanche una delle altre.

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