Gli effetti sulla diseguaglianza dei tassi bassi

Nella sua relazione annuale la Bis di Basilea ha svolta una lunga e ragionata disamina dell’annosa questione della diseguaglianza, ormai al centro di molte analisi che tendono a sottolineare quanto sia perniciosa in un contesto di crisi strisciante, per la semplice ragione che genera una domanda aggregata molto volatile. La polarizzazione della ricchezza, lo abbiamo visto tante volte, ha un effetto regressivo perché la propensione al consumo dei più ricchi è più bassa di quella dei più poveri, e poiché questi ultimi sono quelli che soffrono di più a causa delle crisi – lo abbiamo visto anche con la recente crisi generata dalla pandemia, la loro numerosità provoca un effetto pro-ciclico che aggrava la perdita di prodotto.

La risposta delle banche centrali e dei governi, in questo ultimo decennio, è stata sostanzialmente quella di stimolare l’economia con vari artifici, con le banche centrali in testa nell’innovazione con il varo di politiche monetarie alquanto aggressive il cui fine era insieme quello di abbassare il costo del servizio del debito e mettere a disposizione risorse finanziarie per “rianimare” la domanda di consumi e la capacità di produzione, quindi la domanda e l’offerta, attraverso il canale finanziario dei prestiti a tassi rasoterra e l’aumento dei bilanci delle banche centrali, che di tale disponibilità di risorse sono la controparte contabile.

Senonché tali politiche, com’è noto, generano molti effetti più o meno indesiderati, uno dei quali, osservato in dettaglio in un approfondimento della Banca, è l’aumento del valore degli asset, che ha un effetto indiretto sulla distribuzione della ricchezza, finendo con l’aumentarne la diseguaglianza. Per dirla con le parole della banca, “le politiche accomodative della banche centrale hanno ridotto la diseguaglianza dei redditi, avendo permesso un aumento dell’occupazione, ma qual è il loro impatto generale sulla diseguaglianza di ricchezza?”.

La distinzione fra diseguaglianza di reddito e di ricchezza è poco nota al grande pubblico, che in gran parte ignora anche quella di diseguaglianza fra i consumi e ancor meno si occupa di misurare la diseguaglianza di reddito prima e dopo l’imposizione fiscale. Roba da specialisti. La parola diseguaglianza infatti ormai vive di vita propria e viene agitata come un feticcio utile a reclamare maggiore intervento pubblico in nome di una astratta giustizia sociale.

Ma aldilà di questa deriva vagamente populista, il tema esiste e merita di essere approfondito. La diseguaglianza della ricchezza, infatti, tende a cristallizzare la distribuzione dei patrimoni, e quindi favorisce il processo di polarizzazione delle opportunità, gravemente compromesse anche dalle difficoltà dell’istruzione pubblica negli ultimi due anni.

Diventa perciò utile provare a capire come la politica dei tassi bassi e degli acquisti di asset perseguita dalle banche centrali favorisca questa tendenza, agendo per lo più sul valore degli asset non solo tramite il anale del tasso di interesse, che aumenta il valore attuale dei redditi futuri, ma incoraggia la loro acquisizione che viene perseguita anche dalle BC specie lungo la curva di lunga termine delle obbligazioni. Le conseguenza le abbiamo viste in questi anni: record di borsa e mattone alle stelle, con annessi e connessi rischi derivanti da grande volatilità.

Secondo la Bis “L’effetto degli acquisti di attività da parte delle banche centrali e dei tassi di interesse bassi a lungo sulla disuguaglianza della ricchezza dipende criticamente su chi possiede case, obbligazioni e azioni”. Quando i prezzi degli asset salgano, tutti se ne avvantaggiano, ma chi possiede ricchezza finanziaria, quindi azioni e obbligazioni, tende a godere di più di tali rialzi rispetto a chi magari ha solo una casa di proprietà. I soldi fanno soldi recita il proverbio, e non va troppo lontano dal vero.

Per questa ragione, poiché i benestanti non solo hanno di solito (almeno) una casa di proprietà, ma anche dei titoli, ecco che godono di un guadagno relativo maggiore che finisce con l’ampliare il divario di ricchezza con i ceti più deboli una volta che si realizzino politiche di tassi bassi. Così come può accadere il contrario. Dipende da quanto aumentano i prezzi delle case rispetto al patrimonio netto.

Secondo le osservazioni svolte dalla Bis, “negli Stati Uniti, in Francia e in Germania, gli acquisti di asset su larga scala post-GFC non hanno generato un notevole aumento della disuguaglianza tra il 10% più ricco, o addirittura tra l’1% della popolazione più abbiente”. E tuttavia la Banca riconosce che “l’aumento dei prezzi delle case avrebbe ancora implicazioni distributive tra i proprietari e inquilini, in genere favorendo gli anziani a scapito dei giovani”. Il tutto ricordando che “la diseguaglianza delle ricchezza è molto difficile da misurare”. Per cui rimane il dubbio. Sarà pur vero che gli effetti della politica monetaria sulla diseguaglianza della ricchezza sono stati finora modesti. Ma anche l’ipotesi contraria è plausibile. E questo nessuno può negarlo.

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