L’epopea dei tre capitalismi nell’età dell’antropocene
Se il nocciolo del problema economico è la gestione efficiente di risorse scarse per garantire il benessere dell’umanità, vale la pena provare ad alzare lo sguardo dalla semplice tecnica, alla quale il problema economico è stato ridotto, e osservare la questione da un punto di vista autenticamente globale. Quindi guardare alle risorse e alla loro gestione nel significato più ampio della parola.
Ci viene in aiuto un rapporto pubblicato a febbraio scorso dal governo inglese, ossia l’Economia della biodiversità, preparato da un gruppo di studiosi indipendenti guidato da Partha Dasgupta. Lettura poderosa, ma scorrevole. Si può scegliere se sfogliare l’intero rapporto di oltre 600 pagine, o la riduzione di un centinaio, o meglio ancora la riduzione della riduzione che conta appena dieci pagine, ottima per chi voglia capire per slogan la complessità, quindi la maggioranza. Questa scelta editoriale dice del nostro tempo molto più dei contenuti del rapporto stesso.
Ma non divaghiamo. Il punto interessante ai nostri fini è osservare la fisionomia economica nel passaggio fra l’Olocene e l’Antropocene, ossia fra l’epoca geologica più recente, che convenzionalmente si fa risalire a undici millenni fa e quella attuale, che sempre per convenzione parte dalla rivoluzione industriale, nella quale l’interferenza dell’antropos, ossia dell’uomo, minaccia di sconvolgere equilibri faticosamente raggiunti a danno di tutti noi.
Il fatto economico, da questo punto di vista, segna una cesura, e perciò diventa interessante da osservare. L’immagine classicamente usata è quella della produzione. O meglio, del suo boom dopo una certa epoca.

Il grafico sopra mostra con chiarezza che l’antropocene economico, chiamiamolo così, si innesca nel XIX secolo ma dà il meglio di sé nel XX, quando la curva del prodotto si innalza ai livelli odierni. Solo di recente siamo diventati trilionari, almeno in termini di prodotto interno lordo. Nel 1950 il pil globale (ai prezzi del 2011) era di nove trilioni. Nel 2011 superava i 120 trilioni: aumentato di 13 volte in sette decenni. Perciò l’ingresso nell’Antropocene viene fissata alla metà del XX secolo.
Basta questo per evocare una trasformazione geologica? Per gli autori evidentemente sì, specie considerando gli effetti che la rivoluzione economica ha avuto sull’ambiente, con una biosfera “massivamente deteriorata”. Non diciamo nulla di nuovo: la vulgata assevera sempre più l’idea che la trasformazione economica abbia terremotato l’equilibrio planetario che si conduceva stancamente da alcuni millenni, con la conclusione finale che saremo responsabili della nostra rovina se non agiamo immediatamente non si capisce bene come.
La storia è nota e non serve ripeterla. Quel che qui interessa invece è una interessante ricostruzione, riferita purtroppo solo all’ultimo ventennio, del modo nel quale il capitalismo ha agito sul mondo. Scopriremo che è riduttivo parlare di capitalismo, visto che gli autori ne osservano addirittura di tre.

Il grafico racconta l’andamento di tre diversi tipi di beni capitali. Il primo, produced capital, che potremmo tradurre con capitale prodotto, è praticamente raddoppiato nel periodo considerato. Il capitale umano è aumentato appena del 13%. Quello naturale, ossia le risorse dell’ambiente è diminuito del 40%. Traducendo potremmo dire che nell’ultimo ventennio abbondante abbiamo prodotto molta ricchezza materiale a spese dell’ambiente. E questo si poteva immaginare. Ma quel è sicuramente più interessante è che la crescita del capitale umano è stata tutto sommato contenuta. Siamo diventati più ricchi, non certo più saggi, insomma.
Questa crescita risicata del capitale umano spiega probabilmente meglio del peggioramento ambientale l’origine dei nostri tormenti. E anche alcuni dilemmi dei quali non si intravede alcuna soluzione. Ad esempio: “Obiettivi egualitari, come quelli sanciti negli SDGs possono scontrarsi con la necessità globale di ridurre il nostro impatto ecologico”.
Detto diversamente: un mondo migliore, dal punto di vista economico, rischia essere peggiore dal punto di vista ambientale. Questa è la vita, nell’età dell’Antropocene.