All’inventore dei BRICS non piace più la sua creatura

E’ molto divertente leggere un articolo pubblicato sul Financial Times di Jim O’Neill, lo stesso che un ventennio fa, mentre era capo ricerca economica di Goldman Sachs a Londra, inventò l’acronimo BRIC (Brasile, Russia, India, Cina) che successivamente divenne BRICS dopo l’aggiunta del Sudafrica.

Una vita dopo, nel corso della quale il nostro è stato persino ministro del Tesoro del governo Cameron, O’Neill torna a parlare della sua “creatura” trovandola “deludente”. Crescita non all’altezza delle (sue) previsioni, e quindi problemi sociali irrisolti.

Nulla di male, ovviamente. I pronostici sono fatti apposta per essere sbagliati, e che i BRICS fossero un mezzo bluff, un fenomeno giornalistico assai più che economico, persone assai meno titolate del nostro O’Neil l’avevano capito in tempi non sospetti.

Nel 2001, quando O’Neill vaticinò un futuro radioso per questi paesi, la situazione era quella riassunta nella tabella sotto.

Nel suo articolo di vent’anni dopo l’ex analista ricorda che la sua previsioni circa le magnifiche sorti e progressive dei BRICS lo avevano indotto a immaginare addirittura una riorganizzazione della governance globale che prevedesse un giusto ruolo per questi paesi, cosa che è parzialmente accaduta con la formazione del G20. Nella sua idea originaria i BRICS avrebbero dovuto trovare posto nel G7 e una rappresentanza adeguata nel Fmi e nella Banca Mondiale. Una chiara fallacia da economista, che pensa che nel mondo l’influenza si conti col Pil, quando invece notoriamente si pesa.

Negli anni successivi l’acronimo BRICS conobbe una certa fortuna grazie alla notevole accelerazione del processo di globalizzazione, ma dei cambiamenti nella governance globale non si vide nulla fino all’indomani della grande crisi finanziaria, quando il presidente Usa Bush lanciò il G20 – era il 2008 – che finalmente includeva anche Brasile, Russia, Cina e India. Il premier britannico Gordon Brown ospitò a Londra il primo meeting del neonato organismo e così diede vita all’ennesimo forum multilaterale specializzato in grandi enunciazioni nella forma di lunghi comunicati stampa.

Un anno dopo fu varato il Financial Stability Board (2009) e si decise anche una riforma del FMI per bilanciare meglio i diritti di voto. Tutti eventi che l’ex capo ricercatore della Banca, andavano nella direzione di una “maggiore prosperità condivisa” e di una governance globale più rappresentativa. Sembrava che il sol dell’avvenire fosse proprio dietro l’angolo.

E invece: “Che delusione che un decennio dopo assolutamente nulla sia progredito”, scrive O’Neill. I progressi sulla governance globale si sono arenati, anche a causa della rivalità fra Usa e Cina (ma non solo), mentre i BRICS hanno creato il loro personale club nel 2009, ma senza fare nulla di più che istituire l’ennesima banca di sviluppo. Né tantomeno questo coordinamento ha funzionato meglio all’interno del G20. E’ triste quando un acronimo non cambia la realtà. Almeno per chi l’ha concepito.

Al flop politico dei BRICS ha corrisposto anche un sostanziale flop economico. Solo la Cina ha superato le proiezioni di crescita e l’India ci è arrivata a tanto così. Ma né Brasile né Russia ci sono andate vicine. “La grande sfida su come questi paesi possano con successo effettuare una transizione verso uno stato di paesi ad alto reddito rimane irrisolta”.

Per fortuna c’è la Corea del Sud, scrive, “l’unica nazione che genuinamente aspira a questo obiettivo”. Peccato non facesse parte dei BRICS.

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