La lezione del 1914 per le sanzioni del 2022

Tira una brutta aria da 1914, viene da pensare, a leggere le nostre cronache che arrivano dall’Ucraina. Oggi come allora, le nubi di un conflitto che rischia di diventare mondiale aleggia sul nostro capo, con l’aggravante del convitato di pietra nucleare a trasformare in puro orrore l’incubo della memoria.

E tuttavia, senza farsi spaventare troppo dall’immaginazione, può essere utile svolgere un parallelo fra la terribile estate di un secolo fa che rima pericolosamente con l’inverno del nostro scontento scatenato da Mosca. E in particolare osservare come all’epoca i paesi dell’Intesa agirono per danneggiare economicamente quelli della triplice alleanza imponendo sanzioni che in qualche modo ricordano quelle adottate oggi dai paesi occidentali contro la Russia, seppure con i loro ampi distinguo.

Per farlo ci serviamo di una interessante ricognizione pubblicata qualche tempo fa, che esordisce ricordando la crisi finanziaria sistemica indotta da provvedimenti di guerra. “La politica è stata caratterizzata dal fatto di aver sostituito i proiettili con i dollari”, diceva il presidente americano Taft già nel suo discorso annuale alla nazione del 1912. Molto facilmente questi dollari si trasformarono di nuovo in proiettili nella crisi di luglio del 1914, e a contribuire a questa metamorfosi furono anche le sanzioni adottate contro Austria e Germania, che spezzarono l’annosa abitudine alla circolazione internazionale dei capitali che aveva caratterizzato l’espansione economica iniziata a metà del XIX secolo e durata fino al 1914. In sostanza, tutti i principali paesi europei interruppero bruscamente i pagamenti transfrontalieri e i regolamenti, creando notevoli difficoltà alle banche con clienti all’estero. Per fare un paragone con l’attualità, fu come se oggi le banche di alcuni paesi si staccassero contemporaneamente dallo Swift.

Ne scaturì una disperata caccia alla liquidità che com’è noto è il miglior viatico per una bancarotta diffusa. A ciò si aggiunsero le sanzioni che i paesi della Triplice alleanza a subirne gli effetti peggiori. I capitali tedeschi furono congelati a Londra, proprio come oggi quelli Russia sono stati bloccati negli Usa e in Europa.

Il rimedio fu peggiore del male, ma era l’unico possibile. Gli stati iniziarono a stampare banconote. La Germania si era addirittura attrezzata con grandi quantità di carta e inchiostro, a differenza dei britannici che finirono con lo stampare banconote scolorite su carta scadente, aggiungendo al danno la beffa. La liquidità creata in gran misura, tuttavia, bastò a contenere la crisi immediata, ma preparò quelle successive.

Intanto le borse venivano chiuse: quelle britanniche e statunitensi lo rimasero per diversi mesi, anche perché erano i mercati primari dove venivano negoziati i bond. Dulcis in fundo, la Banca d’Inghilterra fu surrogata dal Tesoro che di fatto tornò ad essere il soggetto emittente le banconote. Bastò una guerra per fare un passo indietro di oltre due secoli. Faremmo meglio a ricordarlo.

Oggi la situazione è naturalmente molto diversa. Non è più necessario stampare banconote, perché la liquidità, che mai è stata così abbondante, circola liberamente lungo l’infrastruttura finanziaria. E il peso della Russia non è così rilevante da provocare una crisi sistemica, anche se certo può danneggiare l’economia internazionale in molti modi, a cominciare da quella europea, che versa nelle casse russe circa 300 miliardi l’anno.

Ovviamente i rischi maggiori li corrono le banche esposte nei confronti del paese sanzionato. Ma sicuramente il modo per generare una crisi di sistema si trova sempre, se proprio si cerca. Basta che la Russia tagli le forniture di gas all’Europa per provocare una pesante recessione, come ha paventato alcuni giorni fa il primo ministro tedesco, mentre già si avvertono i segnali del rallentamento economico. A quel punto sarebbe difficile evitare una guerra globale finanziaria. E il prezzo sarebbe altissimo.

(2/segue)

Puntata precedente. La guerra secolare delle banche centrali

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