L’inflazione Usa e la ricerca di un atterraggio morbido

Ogni inflazione è infelice a modo suo, si potrebbe dire parafrasando Lev Tolstoj. E la maggior fonte di infelicità con la quale si stanno confrontando i decisori politici, è la natura enigmatica di questo repentino aumento dei prezzi, arrivato con la furia di un ciclone su economie ancora sommamente fragili.

Sarà che avevamo dimenticato cosa significasse vivere in un contesto inflazionistico, dopo oltre un ventennio di prezzi che sembravano congelati. Oppure che l’inflazione di oggi non somiglia affatto a quella di ieri, se non per i livelli raggiunti dagli indici dei prezzi al consumo, che le cronache sottolineano di continuo. E’ successo anche quando è uscito il dato di settembre dell’inflazione statunitense, arrivata all’8,2 per cento su base annua, con la componente di fondo (core), quindi al netto di materie prime e alimenti freschi, arrivata al 6,6%. “Un livello che non si vedeva dai primi anni ‘80 del secolo scorso”, hanno sottolineato diversi commentatori. Gli stessi che avranno tirato un sospiro di sollievo osservando il dato di ottobre, con l’indice a scendere al 7,7%.

Informazione rilevante se la confrontiamo con la crescita dei posti di lavoro, sempre di ottobre, arrivata a 261mila unità, al di sopra delle previsioni, con la disoccupazione ad aumentare solo di qualche decimale, portandosi al 3,7% dal 3,5 di settembre. Quindi i prezzi salgono, ma adesso con meno pressione, a fronte di un mercato del lavoro “tirato”. Ci sono 1,7 lavori a disposizione per ogni lavoratore disoccupato, secondo quanto riportato da Lisa Cook, componente del Board della Fed, in una audizione dell’inizio del mese di ottobre. Un dato in deciso aumento rispetto all’1,2 che si osservava prima della pandemia. E la situazione è pure migliorata.

Il resto dell’articolo è disponibile su Aspenia On line a questo link.

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