Cartolina. Il malessere dell’istruzione

Dunque oltre la metà dei siciliani che frequentano la terza media ha competenze alfabetiche non adeguate. Ossia leggere (e capire), scrivere (e farsi capire) e far di conto. Uno dice: è il solito Sud malsviluppato. Senonché nell’Emilia-romagna, fiore all’occhiello del nostro Nord ben sviluppato, gli “inadeguati” sono il 40 per cento, col che illuminandosi di luce sinistra lo stato – e il risultato – della nostra istruzione pubblica. Chi ricorda, anche solo per sentito dire, La consolazione della filosofia di Boezio, scritto al tempo in cui non c’era la scuola dell’obbligo, saprà quanto giovi all’umore, per tacere del resto, una solida istruzione, e non a caso Istat ne fa un elemento del suo rapporto annuale sul benessere italiano. Senonché i nostri ragazzi, che poi sono il futuro, sono in larga parte “inadeguati”. Il malessere dell’istruzione di oggi (e di ieri) prepara un benessere incerto. Quello di domani.
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La regressione linguistica delle nuove generazioni è il frutto di un vero e proprio disastro formativo che affonda le sue radici nella rivoluzione telematica e microelettronica di questi ultimi tre decenni. La scuola, infatti, non è riuscita a rispondere ad una sfida formativa epocale con una sintesi capace di escludere sia l’adeguamento populistico alle tendenze dominanti sia l’arroccamento elitario nella difesa di una cultura nobile ma lontana dall’odierna dialettica sociale. E i risultati prodotti dalle politiche scolastiche, di segno populistico e neoliberista, che hanno perseguito in questo mlasso di tempo tutti i governi che si sono succeduti al dicastero dell’Istruzione, confermano il giudizio negativo. La sfida è stata perduta, ed è stata perduta perché in questo Paese sono completamente mancati, a parte isolate e non influenti eccezioni, un ceto politico ed un ceto intellettuale animati dalla consapevolezza che i problemi linguistici sono, nella loro essenza, problemi che coinvolgono il ‘logos’, il ‘pathos’ e l’‘ethos’ (vale a dire il ragionamento, le emozioni e la moralità), che è quanto dire la formazione dell’identità nazionale e del senso civico. Del pari, si è rinunciato ad esigere dai nostri ragazzi, sul piano dell’impegno nello studio e nella conoscenza, molto di più di quello che è stato loro richiesto, abbassando sempre di più i livelli, i contenuti e la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Non è difficile quindi prevedere che nei prossimi decenni, che saranno segnati da enormi tempeste politiche, sociali e militari, e dalla poderosa avanzata di nuove potenze dotate di sistemi educativi di alto livello, ci toccherà pagare un conto assai salato, come Stato nazionale, per la regressione linguistica delle nuove generazioni. Basti pensare che le misure indicate dai 600 docenti universitari che hanno elaborato qualche termpo fa un documento sulla dealfabetizzazione in corso (dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura a mano, nonché verifiche nazionali periodiche di queste abilità durante gli otto anni del primo ciclo scolastico) rientrano tutte in quello che era il funzionamento ordinario della scuola dell’obbligo, prima che esso fosse investito, per un verso, dalle mutazioni epocali di cui si è fatta menzione, e mutilato e distorto, per un altro verso, dalle sciagurate politiche scolastiche di questi ultimi decenni.
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