Etichettato: asse franco tedesco

Diplomazia dei prestiti esteri: Italia nella morsa franco-tedesca

C’è, nella narrazione delle cronache diplomatiche, un costante pudore riguardo alle corrente più profonde che legano un paese a un altro. Pronti a spiare dal buco della serratura, scrutando persino maniacalmente i sopraccigli dell’uno o dell’altro premier, o le pettinature delle first lady, i giornalisti fanno costante opera di ablazione sui motivi più autentici, perché derivano dalla storia, in ragione dei quali le diplomazie compilano le loro agende.

Eppure se si avesse voglia di scrutare i fatti prosaici, gli investimenti di portafoglio per dirne uno, si scoprirebbe che la diplomazia delle cronache e quella, più sottile ma altrettanto pervasiva, del denaro sovente seguono percorsi paralleli, per non dire coincidenti.

Faccio un esempio. Il nostro neonato premier ha concluso il suo primo giro di visite estere, incontrando, nell’ordine, Hollande (15 marzo), la Merkel (16 marzo), e poi tutti insieme appassionatamente nel Consiglio europeo (20 marzo), concedendosi un siparietto a tre prima del summit.

Il mainstream informativo ha congetturato sulla circostanza che la visita ad Hollande fosse propedeutica a quella con la terribile cancelliera per arrivare a una posizione comune (“cambiare verso all’Europa”) forti delle comune radice latina. E giù le solite veline.

La diplomazia dei prestiti, invece la racconterebbe così: Renzi è andato da Hollande perché l’Italia (dopo l’Olanda, ma capite bene la differenza) è il paese verso il quale si concentra la quota più rilevante di investimenti di portafoglio francesi.

Per la cronaca, secondo i dati del Fmi, a metà del 2013, tali investimenti francesi in Italia quotavano 301,291 miliardi di dollari, il 12% del totale degli investimenti di portafoglio francesi nel mondo (pari a 2.583 mld di dollari). Sottolineo che di questi 301 e passa miliardi ben 279 sono investiti in obbligazioni. I più svegli avranno già capito quali.

Ce n’è abbastanza per giustificare una prima visita al proprio “azionista estero” di riferimento?

La Merkel subito dopo, va da sé. In fondo i tedeschi (secondo semestre 2013) avevano investimenti di portafoglio in Italia per 214 miliardi di dollari, un filo sotto quelli francesi.

Quanto al siparietto italo-franco-tedesco prima del vertice, somiglia a una di quelle barzelletta con un italiano, un francese e un tedesco. La diplomazia dei prestiti ci racconta infatti che l’Italiano deve 301 miliardi ai francesi, che però ne devono 371 ai tedeschi, visto che la Francia (dopo il Lussemburgo, ma questa è un’altra storia) è il secondo partner degli investimenti di portafoglio esteri tedeschi.

Perciò l’italiano va dal francese per chiedere sostegno a chi a sua volta viene sostenuto da quello nei confronti del quale l’italiano chiede sostegno. Una barzelletta, appunto. Ed è in questa commedia del genere “io lo so che tu lo sai che lei lo sa” che si consuma la cronaca politica.

La diplomazia dei prestiti ci racconta anche un’altra amena storiella. Ossia quella che si ricava scrutando l’andamento dei prestiti francesi all’Italia dell’ultimo decennio.

Chi frequenta la storia sa bene che l’Italia intrattiene con la Francia un rapporto privilegiato almeno dai tempi di Cavour. E sa bene che la diplomazia dei prestiti non è certo una mia invenzione, ma un genere, purtroppo poco frequentato dagli storici di professione. In un certo senso la Francia, da più di cent’anni ha un atteggiamento diciamo “paterno” nei nostri confronti.

Con l’arrivo dell’euro l’Italia è diventata destinataria della grande generosità francese, replicandosi un po’ quello che ha fatto la Germania con la Spagna.

A voler pensar male, viene quasi il sospetto che il mitico asse franco-tedesco abbia trovato una sua saldatura nel dividersi pacificamente alcune zone d’influenza – la Francia l’Italia, la Germania la Spagna – rafforzando i legami già esistenti col denaro facile.

Vi do solo alcuni dati. Nel 2001 gli investimenti esteri francesi in Italia ammontavano a 73,5 miliardi. Con l’arrivo dell’euro, appena tre anni dopo, nel dicembre 2004, erano già 233 miliardi, per crescere senza sosta fino al top di 336 miliardi a fine 2009. Due anni dopo, a fine 2011, erano crollati a 254. Un bel dimagrimento. Ma poi la nostra riconosciuta responsabilità ha fatto ripartire i prestiti fino al livello attuale.

La cosa divertente è che se guardiamo gli investimenti esteri di portafoglio tedeschi in Francia le cifre sono soprendentemente simili e al tempo stesso divergenti. A gennaio 2001 erano 74 miliardi di dollari. Cominciano a crescere con l’arrivo dell’euro e due anni dopo erano raddoppiati a oltre 155 miliardi.

Con la crisi però le cose cominciano a divergere. Mentre l’Italia vede scomparire i suoi prestiti esteri (mal comune a tanti PIIGS), specie quelli franco-tedeschi, la Germania aumenta la sua esposizione verso la Francia, che esplode proprio con l’inizio della crisi. D’altronde è notorio che il debito francese piace alla gente che piace.

Infatti la crisi degli spread alla Francia le fa un baffo. Magari perché hanno giovato alla bisogna i 272 mld che la Germania aveva investito oltralpe a fine 2009, che diventano 295 nel 2010, 301 nel 2011 e addirittura 371 nel 2013. La Francia è diventata la nuova Spagna dei tedeschi.

Solo che la Francia non è la Spagna, e la storia è lì a testimoniarlo. Difficilmente i tedeschi potranno far con la Francia la voce grossa, godendo i francesi di un inestimabile spread politico sul quale contano i PIIGS per frenare il dispotismo euro-asiatico.

Ed ecco qui il nostro premier neonato che va da Hollande e poi dalla Merkel, ossia dal suo creditore francese che è debitore del suo altro creditore tedesco e prova a uscire dal cul de sac nel quale ci ha infilato un quarantennio di politiche scellerate. Ma che solidarietà possiamo aspettarci da una Francia che sta praticamente quasi peggio di noi? Secondo voi Hollande sarà portato a dare ragione a Renzi o alla Merkel?

In fin dei conti, quello che diplomazia dei prestiti svela, con disarmante chiarezza, è che noi italiani siamo debitori per oltre 500 miliardi, la gran parte investiti in nostri titoli di stato, all’asse franco-tedesco.

Che ormai non è più un asse, ammesso che lo sia mai stato.

Per noi è una morsa.

(2/segue)

Leggi la prima puntata

La parallasse franco-tedesca

C’è una costante nella vulgata politico-economica-giornalistica sui fatti più o meno recenti dell’Europa: l’esistenza di un asse franco-tedesco. In questa narrazione i paesi forti dell’Europa avrebbero stretto un patto per soggiogare i paesi del Sud, imponendo prima l’euro e poi il futuro politico dell’eurozona. La premessa logica di tale impostazione è che entrambi ci abbiano guadagnato, sennò che asse sarebbe?

Ma è davvero così? Chiediamo conforto alle statistiche del Fondo Monetario e scorriamo i dati relativi a Francia e Germania degli ultimi anni. Abbiamo già visto l’andamento del debito estero dei francesi, che tutto pare tranne che sia migliorato nell’ultimo decennio. E abbiamo anche visto lo stato di salute della contabilità pubblica della Francia, alle prese con un incidenza crescente del debito sul Pil e con un deficit di difficile contenimento. Adesso guardiamo a un altro indicatore, ossia il volume delle esportazioni e delle importazioni e il relativo saldo della bilancia dei pagamenti.

Nel 2001, prima quindi dell’arrivo della menota unica, la Francia aveva un saldo attivo di 23,533 miliardi di dollari, l’1,756% del Pil. L’anno dopo il saldo si era già ridotto a 18,164 mld (1,274% Pil), e di anno in anno è peggiorato. Nel 2005, ben prima quindi della grande crisi, il saldo era negativo per 10,375 miliardi. Nel 2008 raggiunge il picco di -49,632 miliardi.

Il crollo delle importazioni seguito alla crisi del 2008 migliora il saldo del conto corrente, che infatti nel 2009 si colloca a -35,016 miliardi. Ma nel 2011 il buco ha toccato un nuovo record negativo: -54,169 miliardi di dollari. Da lì è ripartito un trend decrescente, che nel 2012 ha ridotto il deficit a 44,755 miliardi e il Fmi prevede continuerà a decrescere fino ai -8,398 previsti per il 2017, ciò a fronte di un import e di un export che si prevedono crescenti.

I conti della Germani raccontano una storia diversa. Nel 2001 il saldo corrente era quasi zero (anzi era negativo per un decina di milioni di euro). Nel 2002, con l’arrivo dell’euro, il saldo esplode, segnando un +40,298 miliardi, che diventano 45,827 nel 2003 e ben 127,275 miliardi nel 2004. L’apice del saldo positivo si tocca nel 2007, quando il saldo arriva a 247,967 miliardi (la Francia era a -25,931 miliardi). Alla faccia dell’asse.

Negli anni della crisi il saldo tedesco cala, ma si mantiene ampiamente positivo. Nel 2008 scende a 226,105 miliardi e da lì simuove al ribasso, raggiungendo i 203 miliardi di fine 2011, divenuti 183,827 nel 2012. Le previsioni assestano il saldo attivo tedesco intorno ai 150 miliardi di euro da qui al 2017, quindi sempre più o meno sopra il 4% del Pil teutonico.

Se poi guardiamo alla contabilità pubblica, mentre i francesi sono alle prese con un rapporto crescente fra debito e Pil, i tedeschi hanno un andamento ben differente. Dopo aver toccato il picco dell’82,394% nel 2010 (era il 59,142 nel 2001), tale indicatore ha iniziato a flettere, ed è previsto arriverà al 73,701% nel 2017, mentre la Francia, correzioni permettendo, dovrebbe fermarsi all’86,457%, sempre nel 2017.

Per farla semplice, il ritratto che viene fuori è che da una parte ci sia la Germania, grande creditore dei paesi europei (Francia compresa) e la Francia, grande debitore (anche della Germania). Come possano un creditore e un debitore fare asse è perlomeno misterioso, visto che è del tutto ovvio che abbiano interessi contrapposti. Un debitore ha tutto l’interesse a inflazionare il debito (Francia), mentre un creditore (Germania) ha tutto l’interesse a deflazionare per conservare il valore reale dei propri crediti.

Chi parla di asse franco-tedesco, perciò, dovrebbe spostare il proprio punto di vista per avere una migliore rappresentazione della realtà. Scoprirebbe che non c’è nessun asse franco-tedesco.

Semmai è una parallasse.