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Anche le banche centrali stringono la cinghia

Tempi magri, perciò. Con l’inflazione che ci fa agitare più del dovuto, finendo col provocare temutissime spirali, che non fanno altro che erodere le basi patrimoniali di ognuno di noi. Piccoli o grandi non fa differenza, salvo per il fatto che i grandi se la cavano sempre meglio per evidenti ragioni. L’inflazione è come l’onda che si mangia la spiaggia. E quanto più acceleriamo i nostri processi, pensando così di sfuggire l’onda, tanto più quella ci sommerge. Nell’inflazione siamo come molecole dentro una pentola sul fuoco. Acceleriamo. E i prezzi di conseguenza.

Tempi magri che però non sono eterni se solo ci fermiamo un attimo a pensare, imparando a capire i segnali intorno a noi. Le banche centrali di tutto il mondo ce ne stanno fornendo in abbondanza. Per dire: alzano i tassi. E che vuol dire alzare i tassi se non frenare? Tirare le redini. Invitarci a pensare bene a quello che vogliamo fare.

Per far ciò le banche centrale stanno pagando un prezzo salato. L’inflazione costringe anche oro a tirare la cinghia, come ci ricorda un interessante bollettino diffuso dalla Bis di Basilea, che ci ricorda come molti di questi istituti stiano riportando perdite sui loro bilanci, strumenti alieni per la gran parte del pubblico, ma poi neanche così difficili da capire.

Facciamola semplice. Le banche centrali da un decennio – ma anche di più – hanno ampliato i propri bilanci acquistando titoli di stato in cambio di riserve bancarie. Quindi sul lato degli attivi hanno aumentato la quantità di titoli a disposizione, mentre sul lato del passivo hanno aumentato l’esposizione nei confronti delle banche commerciali.

Entrambi questi lati del bilancio hanno a che fare con i tassi di interessi. Le riserve bancarie vengono remunerate con un interesse passivo, a carico degli istituti di emissione, che è legato all’andamento dei tassi ufficiali. I titoli di stato vengono remunerati dai governi, nella forma di interessi attivi a vantaggio della banca. In un mondo di tassi bassi e acquisti crescenti di titoli, gli interessi attivi più che compensano quelli passivi contribuendo così a generare, nell’economia dell’intero bilancio, un utile che poi la banca gira al Tesoro in buona parte.

Quanto i tassi salgono questo mondo si rovescia. I tassi passivi della banca aumentano, perché salgono i tassi di riferimenti che remunerano le riserve, e quelli che remunerano gli attivi della banca rimangono bassi, mentre diminuisce il valore dei titoli a causa dei rialzi dei tassi. Una tenaglia implacabile che stritola i bilanci bancari. Al momento hanno annunciato perdite già conclamate o in vista le banche centrali di Australia, Belgio, Gran Bretagna, Giappone. Nuova Zelanda, Svezia e, dulcis in fundo, degli Usa.

E’ un problema? Non fino a quando la banca centrale si dimostra capace di generare fiducia. La Banca centrale non è una banca qualsiasi. E’ uno strumento sui generis il cui stato di salute dipende dalla sua capacità di soddisfare le aspettative che è chiamato ad amministrare, a cominciare proprio da quelle di inflazione.

Detto diversamente. Se una banca centrale fallisce non succede perché genera una perdita contabile. Ma perché la sua moneta non riscuote più fiducia. Questo è l’evento autenticamente catastrofico per una banca centrale. Il peggior rischio possibile. E al momento nessuna grande banca centrale lo corre. Al momento.

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