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Se l’economia cinese starnutisce, quella russa prende l’influenza
In tempi di paura virale – la peggiore perché incontrollabile – non stupisce che gli osservatori internazionali già preconizzino un pessimo inizio d’anno per l’economia globale, che rischia di contrarsi in ragione diretta del ritirarsi delle attività che inevitabilmente genera un’emergenza sanitaria, delle quali abbiamo già avuto un assaggio e che hanno già condotto ai prevedibili crolli di borsa in Cina – con l’ormai immancabile intervento della banca centrale che ha iniettato liquidità – e calo del 20% della domanda di petrolio, secondo quanto ha riportato Bloomberg. Le ultime notizie riportano la decisione della Hyundai di chiudere alcuni impianti per mancanza di componenti dalla Cina e dell’isolamento di altre città cinesi nello Zhejiang, fra le quali rientrano anche alcuni distretti della capitale Hangzhou che ospita il quartiere generale di Alibaba. E non c’è granché altro da aggiungere.
Diventa però interessante provare a farsi un’idea su come le conseguenze del virus cinese – stavolta economico – possano diffondersi una volta che Pechino inizierà a mostrare gli effetti del malanno produttivo che aleggia sul suo capo, e che potrà divenire visibile già dal primo trimestre di quest’anno. Magari cominciando dai paesi che più di altri hanno relazioni economiche con la Cina. Come la Russia.
L’occasione ce la fornisce un approfondimento molto interessante pubblicato da Bofit che analizza i profondi legami che uniscono l’economia cinese a quella russa, che non solo la geografia ma soprattutto la storia recente hanno molto approfondito.
Non che la Russia sia un’eccezione. La Cina ha partnership con tutto il mondo. Ma il legame con la Russia ha un valore particolare, perché rappresenta anche l’elemento di saldatura di quella che abbiamo chiamato globalizzazione emergente. E soprattutto questo legame si è infittito notevolmente a partire dal 2014, quando la crisi ucraina fece precipitare le relazioni russe con l’Occidente, alimentando per converso quelle con l’Oriente. Anche qui, la collaborazione nel settore energetico è stata fondamentale.
Qualche numero servirà a dimensionare il problema. L’export russo di beni pesa circa 440 miliardi l’anno, il 13% del quale, pari a circa 57 miliardi, è diretto in Cina. Nell’ultimo decennio questa quota oscillava intorno al 5-6%. Le importazioni russe pesano globalmente 240 miliardi l’anno, il 22% delle quali (52 miliardi) proviene dalla Cina. Il valore di questo commercio è in buona parte determinato dalle fluttuazioni dei beni energetici, dalla capacità produttiva russa e dal valore della moneta russa, le cui fluttuazioni hanno effetti diretti sulle importazioni russe e, di conseguenza, sulle esportazioni cinesi.
La Cina importa soprattutto materie prime dalla Russia. Dall’inizio del nuovo secolo non ci sono stati grandi cambiamenti, anche perché la Cina ha imparato a prodursi da sola molte delle cose che prima importava dalla Russia, a cominciare dalle armi. Anche l’interscambio di servizi è poco pronunciato.
Al contrario l’export cinese verso la Russia è molto più composito, e nel tempo si è spostata dalle produzioni a basso valore aggiunto, come tessile e abbigliamento, a quelle a più alto valore come macchinari ed equipaggiamenti. Peraltro la crisi ucraina ha contribuito a indirizzare la domanda di beni ad alta tecnologia russa verso la Cina, visto che Mosca, proprio in conseguenza degli embarghi, che hanno ridotto le importazioni russe dall’Occidente dai 315 miliardi del 2013 ai 240 del 2018 (-24%).
Dal 2010, scrivono gli economisti di Bofit, il 22% delle importazioni di beni russi arriva dalla Cina e dal 2013 questa quota è ulteriormente cresciuta anche grazie alle buone performance cinesi nei settori ad alta tecnologia. La conseguenza è stata che la quota russa dell’export cinese, stabile intorno al 2% nell’ultimo decennio, è arrivata al 3%, mentre la quota cinese di import russa è cresciuta solo in ragione della maggiore domanda di energia dei cinesi.
La tabella sotto permette di analizzare in dettaglio i flussi di import ed export fra i due paesi.
E già da questi pochi elementi possiamo farci un’idea delle ragioni per le quali i russi siano a rischio decrescita. Decrescita cinese, ovviamente.
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