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Miti del nostro tempo: La normalità monetaria
Tre eventi diversi che accadono negli stessi giorni ci consentono di tirare le somme e far piazza pulita di un altro dei tanti miti che affollano il nostro dibattere economico: quello che un bel giorno, quando l’economia finalmente avrà imparato a camminare da sola, la politica monetaria potrà essere normalizzata. Mito perniciosissimo perché nasconde un’evidenza chiara a chiunque non abbia robusti pregiudizi teorici o, peggio, politici. Ossia la circostanza che l’economia non sarà più in grado di camminare da sola, non essendo mai accaduto nei decenni recenti che i governi non abbiano interferito pesantemente nella sua gestione fino a trasformarla in un organismo fragile e continuamente bisognoso di cure sempre più invasive, peraltro pagate dal contribuente. Il senso stesso dell’espressione “normalità monetaria” è ingannevole. Che dovrebbe significare? Che i tassi di interessi dovrebbero finalmente tornare a un livello normale? E quale sarebbe? Chi lo decide?
Senza bisogno di avventurarci troppo, contentiamoci di notare che ttr notevoli autorità in materia monetaria, ossia il capo della Fed Jerome Powell, la Bis di Basilea, nella persona del capo del Dipartimento Claudio Borio, e la Bce di Francoforte, in quella del governatore Mario Draghi, finiscono sostanzialmente per dire la stessa cosa. Ossia che la normalità è ancora lontana.
Powell ha rilasciato poche ore fa un’intervista alla trasmissione 60 minutes nella quale ha ribadito quello che i mercati hanno già da un pezzo digerito – ossia da quando hanno cominciato a riprendersi dopo le difficoltà di fine 2018 -, vale a dire che “non c’è nessuna fretta” di rivedere i tassi di interesse. “Abbiamo raccolto prove sul rallentamento dell’economia globale. Aspetteremo e vedremo come si evolvono queste condizioni prima di effettuare qualsiasi cambio sul fronte dei tassi”, ha spiegato, con ciò sostanzialmente echeggiando l’analisi fatta da Borio alcuni giorni fa quando, parlando durante la presentazione dell’ultima rassegna trimestrale della Bis, ha osservato come “lo stretto cammino verso la normalizzazione si stia rivelando alquanto tortuoso”.
Draghi invece ha presentato le ultime decisioni di politica monetaria della Bce confermando i tassi rasoterra, il reinvestimento dei titoli acquisiti durante il QE, e soprattutto una nuova operazione di rifinanziamento a lungo termine per le banche commerciali, la terza, che durerà fino a marzo 2021. Una iniziativa, quella della TLTRO, ampiamente attesa e per una pluralità di ragioni, non ultima quella che le banche devono dotarsi di un ampio cuscinetto di capitale aggredibile in caso di bail in (MREL). E come ha detto Draghi rispondendo a una domanda, ” Se non ci fossero sovvenzioni nessuno avrebbe preso la TLTRO”.
Sovvenzioni, dunque. Sovvenzioni monetarie alle banche, di cui si occupano indirettamente le banche centrali, e quindi per loro tramite al settore privato. E sovvenzioni fiscali al resto dell’economia, visto che gli stabilizzatori automatici, come ha confermato Draghi, continuano a fare il loro lavoro e i governi, a cominciare dal nostro, non fanno mancare le prebende. Sovvenzioni continue, salvo dire che bisognerebbe smetterla. Lo dice Draghi, che rivolge il consueto invito alle riforme strutturali e suggerisce ai politici con debito pubblico elevato (come il nostro) di ricostituire ” margini di manovra nei conti pubblici”. Sostanzialmente per spenderli quando sarà necessario. E lo dice indirettamente anche Borio, quando osserva che “il processo molto prevedibile e graduale di inasprimento monetario è stato messo in pausa ed è ora meno pronosticabile”. Che suona come un arrivederci a grazie ai tentativi della Fed, madre del mito della normalità monetaria, che ha dovuto frettolosamente rassicurare i mercati rilassando la sua marcia verso la normalità.
Perché senza sovvenzioni l’economia non cammina, inciampa. Meglio alimentare il mito, che affrontare la realtà.