L’ipocrita tenzone fra Europa e Grecia

Non so voi, ma io osservo con preoccupato disagio il balletto inscenato da Grecia e l’Europa, con la Germania a far la voce grossa e la Francia in rumoroso silenzio.

Il governo greco, fresco di nomina, vuole l’applauso dei suoi sostenitori, ossia i debitori, che dalla Grecia dilagano in tante parti d’Europa. I tedeschi e le autorità europee quello dei creditori, intanto, ricordando che i patti si rispettano eccetera eccetera.

Sicché l’arena si riempie di cori da stadio che lasciano pochissimo spazio all’osservatore pacato. Negli stadi si trovano a loro agio solo i tifosi. Capirete perciò il mio disagio.

Faccio solo qualche esempio. Qualche giorno fa la stampa ha riportato che il governo greco avrebbe rialzato il salario minimo a 750 euro. Poi che era stata bloccata la privatizzazione di alcune infrastrutture strategiche. Poi che saranno riassunti 3.500 statali greci licenziati in ossequio alla Troika. Al contempo, quasi a far da eco, si son levate le voci arrochite di politici tedeschi e europei che vi risparmio perché potete immaginare da soli cosa abbiano detto.

Nel mentre i mercati affossavano la Grecia, con spread alle stelle e borse in calo, guidate dalle banche, che però l’indomani si riprendono ma solo per ricadere il dì appresso.

Nulla di nuovo sotto il sole. E’ chiaro che è iniziata una trattativa che ha per oggetto le obbligazioni del greci. E che tale trattativa venga declinata con la solita politica degli annunci e degli spauracchi. Ma questo non dovrebbe impedirci di ragionare e porci domande.

Sicché mentre rimuginavo su queste cronache, afflitto e molto annoiato, mi è finito sotto gli occhi un pregevole paper della Bis uscito pochi giorni fa (Credit booms: implications for the public and the private sector) che ha illuminato di una luce diversa tutto lo scenario.

D’improvviso l’ennesima replica della tragedia greca, con gli eurogermanici nel ruolo di spietati aguzzini, mi si rivela per quello che è in sostanza: una fiera dell’ipocrisia, dove due combattenti s’impegnano in una lite, che entrambi hanno contribuito a innescare sotto lo sguardo benedicente e malpensante (o il contrario, fate voi) di mamma Europa. Una singolar tenzone fatta d’apparenza più che di sostanza. Puro teatro a uso del pubblico pagante (con le tasse), con i giochi decisi dietro le quinte.

Il fatto che questa stantìa rappresentazione coinvolga ancora gli spettatori – gli attoniti cittadini europei e i mercati dispettosi – è l’ennesima prova di quanto sia breve la memoria nel nostro tempo.

Lo scopo del paper, in realtà, non è quello di raccontare della Grecia o della Germania. L’autore infatti si propone di analizzare gli effetti dei boom creditizi nei settori pubblici e privati.

Senonché, e possiamo davvero vantarcene, l’eurozona è diventato un caso di scuola, circa i danni che può provocare il credito erogato scriteriatamente. Perciò il caso greco, come anche quello portoghese e spagnolo, vengono analizzati seguendo intanto l’ipotesi che l’ampia liquidità disponibile nei primi 2000 abbia avuto un’influenza anche sulle politiche economiche. Deleteria, peraltro.

E qui il caso greco casca a fagiolo, visto che “l’eliminazione del rischio di cambio e la completa integrazione dei mercati dei capitali ha condotto a forti affussi di fondi dal centro dell’eurozona alla periferia”, dato acquisito ormai. Così come sappiamo che è stato il movimento inverso a generare la crisi. “L’eurozona è un interessante laboratorio per queste idee – recita il paper – perché molti si aspettavano che l’euro avrebbe corretto alcuni problemi di politica economica che avevano ritardato le riforme”.  Tutto il contrario, come sappiamo bene.

Come amarcord l’autore ci regala una dichiarazione dell’allora governatore della banca centrale ellenica, Lucas Papademos, che nel 2001, parlando dell’ingresso nell’euro della Grecia disse che “nell’eurozona sarà impossibile migliorare la competitività svalutando il tasso di cambio. Gli obiettivi di una maggiore occupazione e di una maggiore produttività devono essere perseguiti attraverso riforme fiscali strutturali che puntino ad aumentare la competitività aumentando la produttività, migliorando la qualità dei beni e servizi greci e assicurando insieme la stabilità dei prezzi”.

Un vero manifesto politico.

Non è quindi, che non ce l’avessero detto. Chiunque poteva leggere le parole del governatore greco. A cominciare dai suoi connazionali.

L’analisi prosegue notando che l’introduzione dell’euro ebbe il noto effetto sui tassi di interesse, che iniziarono a convergere verso quello tedesco. Un grafico ci mostra come i tassi nominali greci, che nel ’93 stavano poco sotto il 25%, arrivando nel ’97 intorno al 10%, dal ’99 in poi iniziarono a convergere intorno al 5%, esattamente come accadde in Irlanda, Spagna, Portogallo e Germania.

Il grafico successivo ci mostra l’andamento dei prestiti ai residenti privati effettuati dalle banche fra il ’99 e il 2012 in percentuale sul Pil. La Grecia, visto che parliamo di lei, stava sotto il 50% del Pil prima dell’ingresso dell’euro e da lì la curva ha iniziato a crescere con regolarità.

Alla fine del 2009 si raggiunge il picco, intorno all’80%. Nel corso del 2010, quindi nel bel mezzo della crisi, una lieve flessione, per poi conoscere, da fine 2010, una rapida impennata, assai più rapida che negli anni precedenti. Nel suo periodo peggiore il debito privato dei greci è cresciuto più che nel periodo migliore. Nel primo quarto 2012 era intorno al 120% del Pil.

Ciò mostra chiaramente, secondo l’autore, che se è sicuro che il debito privato è cresciuto in Grecia con l’ingresso dell’euro, i problemi sofferti dal Paese sono stati provocati, prima della crisi, principalmente dal settore pubblico, che ha importato risorse dall’estero per finanziare la sua spesa corrente, creando un notevole deficit nella bilancia dei pagamenti. Il contrario è avvenuto in Portogallo e in Spagna.

L’idea che gli squilibri del settore pubblico possano aver danneggiato la Grecia più di quelli del settore privato farà innervosire qualcuno, però merita di essere osservata senza pregiudizi.

L’autore cita il caso della riforma delle pensioni pubbliche, “una delle questioni più salienti che da due decenni viene definita come essenziale” nel dibattito sulla crisi greca.

Due grafici fotografano efficacemente la situazione. Il primo illustra il pension replacement rate del sistema pensionistico pubblico greco, ossia la percentuali dei guadagni pensionistici sul reddito antecedente al pensionamento. Ebbene, in Grecia (dato Ocse 2011) il Prr supera il 90% che, semplificando, vuol dire che un pensionato ha una pensione di oltre il 90% dell’ultimo stipendio, quando la media Ocse è intorno al 60. In Germania poi è poco sopra il 40%. Ma il dato ovviamente non include il contributo del settore dei fondi pensione. Si discute, lo ricordo di previdenza pubblica.

Rimane il fatto però, e di questo parla il secondo grafico, che sempre l’Ocse ha calcolato (dato 2011) che il fabbisogno del sistema pensionistico pubblico greco arriverà a sfiorare il 25% del Pil nel 2060 impennandosi dal 2030 in poi. Calcoli certo ipotetici, ma che la dicono lunga sulla sostenibilità della previdenza ellenica.

Le pensioni, dunque.

Un paper del 2003 ci ricorda che il primo serio tentativo di riformare le pensioni risale al periodo 1990-92, quando le finanze pubbliche greche erano in grave crisi” Tanto da complicare non poco l’inserimento della Grecia nel progetto europeo.

Il primo tentativo di riformare le pensioni greche risale al 1990, ma “i timidi tentativi del governo lasciarono i problemi strutturali irrisolti”. Si ritentò, ma con scarso successo.

Nel 2002 un altro paper sommarizzò così il problema: “Le pensioni hanno continuato ad essere molto generose, comparate con la contribuzione in termini attuariali, anche per i nuovi entrati nel mercato del lavoro”.

Si ritentò nel ’96, e con maggiore decisione nel 2001, quando si propose di innalzare l’età pensionistica e l’età contributiva, e si ridusse il replacement rate al 60%. Ma la proposta fu ritirata per le massicce proteste della popolazione.

Si continuò a discutere, ma le nuove proposte del governo non cambiarono la sostanza delle problematiche pensionistiche greche. Il sistema rimaneva poco sostenibile, ineguale e frammentato. Finché l’impeto riformista non svanì nel bengodi degli anni buoni dell’euro. Ma ancora nel 2003 il Fmi notava la sostanziale insostenibilità della spesa pensionistica greca.

Tutto ciò che ottennero le cassandre della previdenza greca fu che con la mini riforma del 2002 la spesa pensionistica greca, nel 2040, arrivasse dal 22,5% del Pil, dov’era prevista, al 21,4%.

Cosa fece l’Unione europea di fronte a questa situazione? “Piuttosto che imporre alla Grecia un vero e proprio vincolo di bilancio, stabilì di ‘Facilitarle l’apprendimento delle politiche'”. Fece da consulente, insomma.

Eppure già da allora, siamo nel tempo che precedeva l’adozione dell’euro, “il sistema pensionistico greco era visto come un problema chiave, visto che le pensioni consumavano il 12,1% del prodotto e impegnavano il 52% del totale della spesa sociale a fronte del 28% della media Ue”. E ciò malgrado il rischio di povertà dei pensionati greci fosse 2,3 volte maggiore di quelli dei pensionati del resto dell’Ue.

Il solito gioco delle tre scimmiette, che non vedono, non sentono e non parlano. Fin quando non è troppo tardi.

Dopo fu peggio. “Una volta che la Grecia entrò nell’euro il ruolo dell’Europa cambiò. Non ci fu più spazio per le pressioni a fare riforme reali, ma si optò per una linea soft” che la burocrazia Ue chiamava “metodo aperto di coordinamento”.

Ossia: fate come ti pare.

“In altre parole, una volta che la Grecia vinse la sfida per l’ingresso nell’euro, e il suo budget pubblico divenne sostenibile grazie al calo della spesa per interessi, il momento per la riforma delle pensioni fu perduto”. Ma fu l’insieme delle riforme, che doveva inziare già dal ’92, a finire nel dimenticatoio. Fino all’esplodere della crisi.

L’abbondante liquidità dei primi anni 2000, insomma, nell’analisi del nostro autore, unita al calo dei tassi favorito dall’euro, fece finire in soffitta l’impeto, mai troppo pronunciato, della Grecia a riformare il sue settore pubblico, malgrado fosse fonte di squilibrio.

Dopo l’esplosione della crisi, l’avvento della Troika non poteva risparmiare il settore pensionistico. Nell’ultimo Pension outlook dell’Ocse leggo che i bonus per i pensionati a basso reddito sono stati ridotti sin dal 2013. Poi che l’indicizzazione è stata congelata dal 2011 al 2015, collegando peraltro all’indice dei prezzi e non più, com’era prima (anche da noi nella preistoria) ai salari dei dipendenti pubblici. Quindi si è adeguata l’età pensionistica fra uomini e donne, portando quella del gentil sesso ai 65 anni e, dulcis in fundo, nel 2013, l’età pensionabile è stata innalzata a 67 anni. Dobbiamo aspettarci dichiarazioni di fuoco del governo greco anche contro questa “austerità” pensionistica?

E mentre leggo mi viene in mente una lettera che Mario Draghi ha mandato qualche giorno fa a un europarlamentare greco nella quale si ricorda senza mezzi termini che la pressione fiscale in Grecia è poco superiore al 34%, assai meno che la media dell’eurozona.

Mi chiedo se sia giusto, di conseguenza, da cittadino che ha subito diverse e dolorose riforme delle pensioni e che sopporta una pressione fiscale di oltre il 43% supportare la battaglia dei greci. Pagare, ad esempio, per la difesa delle loro pensioni.

Ma poi capisco che è un gioco a somma zero: il classico ragionamento da guerra fra poveri. L’ennesima declinazione della finzione teatrale.

Molto semplicemente, nessuno è innocente in questa rappresentazione tragica. Nemmeno le vittime, pure a volerle considerare tali.

E questo si capisce bene se si guarda all’altra metà del cielo: la Germania.

Ma di questo vi dirò la prossima volta.

(1/segue)

Leggi la seconda e ultima puntata

Un Commento

  1. Jean-Charles

    Stiamo a vedere quanto l’oligarchia occidentale è pronta a rischiare sulla Grecia. Ha già fatto sapere che non ci stava con l’aumento delle sanzioni europee alla Russia fatte valere senza il suo parere dalla nostra Mogherini.

    Il progetto di costruzione del gasdotto South Stream con la nostra ENI è stato abbandonato per il momento. Diversificheremo le nostri fonti d’approvvigionamento con shale gas trasportato da navi metaniere a 240 bar e gassificatori.

    La Cina invece ha l’intenzione di doppiare il trasporto mare, così esposto ad alti rischi in alto mare, riattivando la strada della seta con trasporto terra veloce.

    La partita si gioca sulla pelle di povera gente in Ukraina. Decisa ed appoggiata da chi?

    Debito su PIL è la punta dell’iceberg che a forza di strafare affonderà il progetto Titanic. 😦

    Cui bono?

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      attendiamo tutti, con preoccupata curiosità, lo svolgersi degli eventi. per fortuna ho smesso di provare a immaginare il futuro. meglio occuparsi del presente.
      grazie per il commento e le informazioni

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  2. Daniele

    Grazie per il bell’articolo.
    Al netto delle colpe dei greci, delle loro mancate riforme e dell’ostinata inefficienza, mi sembra che in questo ideale scontro con il popolo teutonico siano solo loro a pagare pegno e a soffrire concretamente.
    Si sa che alle colpe dei debitori corrispondono inversamente le colpe dei creditori. Qui mi sembra che stiano espiando solo i debitori, di più, i creditori si accaniscono sulle vittime e come sciacalli le spogliano di tutto. Mi chiedo: non è un po’ troppo?

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      la ringrazio per l’apprezzamento.
      il prossimo post parlerà di quello che hanno pagato i tedeschi, se può rassicurarla. la sofferenza infatti è molto più comune, fra tedeschi e greci, di quanto creda. e non solo fra loro. pensi a noi italiani, o agli spagnoli, o ai francesi: crede davvero che non abbia riguardato tutti?
      Sono convinto, infatti, che la sofferenza generata da questa crisi non abbia a che fare con le nazionalità, come la vulgata vagamente razzista del nostro tempo vuol far credere, ma ha a che fare con le opportunità socioeconomiche. il discrimine è il censo, ossia l’esser ricco o povero, con quest’ultimo nel ruolo di conclamato sofferente. e solo la pietà mi impedisce di dire quanto ciò sia da attribuire anche a sua colpa.
      ridurre il tutto a uno scontro fra tedeschi e greci è, dal mio punto di vista, una comoda rappresentazione della realtà a uso di chi vuol far credere che le questioni economiche abbiano a che fare con le nazioni, invece che con gli uomini che le abitano. A coloro che amano semplificare per amplificare il messaggio. In una parola ai politicanti, fra i quali si annidano molti sedicenti studiosi ammantati dietro il velo della neutralità scientifica.
      io, che sono un modesto osservatore, cerco di dire ciò che vedono i miei occhi stanchi. e ciò che vedo, in questo inizio d’anno, è la solita facile, stucchevole ipocrisia.
      grazie per il commento

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  3. Fla

    Ho letto il paper. Non mi convincono un bel po’ di cose. La prima,e forse più imoprtante: che non sia il debito privato il problema della Grecia è, a mio modo di vedere, sorprendente.
    Allora ciò che dice Vitor Constancio qui e nell slide http://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2013/html/sp130523_1.en.html è palesemente falso: “… there was no uniform increase in overall government debt during the first years of the common currency in the countries that are now under sovereign stress.
    In fact, in a number of those it declined, and in some of them it declined substantially. For instance, from 1999-2007, public debt in Spain declined from 62.4% of GDP to 36.3% of GDP. In Ireland, over the same period, public debt fell from 47.0 % of GDP to 25.0% of GDP. While at relatively high levels, public debt also went down in Italy (from 113.0% of GDP to 103.3% of GDP) and increased only slightly in Greece. However, in the latter two cases, debt levels were still indeed far above the 60% stipulated in the Stability and Growth Pact…

    As slide 1 shows, contrary to public debt levels, the overall level of private debt increased in the first seven years of the EMU by 27%. The increase was especially pronounced in Greece (217%), Ireland (101%), Spain (75.2%), and Portugal (49%), all of which are countries that have been under severe pressure during the recent crisis . The steep rise in public debt, on the other hand, began only after the financial crisis. Over the course of four years, public debt levels increased by a magnitude of five in Ireland and by a magnitude of three in Spain. “. Ci potremmo fermare qui. Ma possiamo anche dire che la Grecia, senza alcun pregiudizio, prima dell’entrata nell’Euro era un paese relativamente arretrato. Quindi “attrattivo” di investimenti. Ora, io chiederei a Tano Santos un po’ di cose: centrano anche queste spese nei suoi computi http://archiviostorico.corriere.it/2012/febbraio/13/Fregate_sottomarini_caccia_Quelle_pressioni_co_8_120213025.shtml ? Centra il fatto che forse, come gran parte della popolazione europea, anche quella greca non è che sia messa poi così bene demograficamente (e ciò fa aumentare anche il montante pensionistico)? Centrano le crisi vissute nel 2001 che hanno dato il via agli stabilizzatori automatici pesando sulla spesa dei tre anni succesivi? Centra il fatto che il risparmio privato netto greco (= risparmio privato – investimenti) nazionale dal 1993 al 2000 abbia subito un calo di 15 punti percentuali su PIL?
    Atene è dal 1994 che chiede soldi all’estero (= saldo partite correnti negativo, principalmente merci). Fra il ’95 ed il ’03 ha sperimentato un boom degli investimenti lordi pari all’8%/PIL. Il saldo pubblico fra il ’93 ed il ’00 ha sperimentato, in ottica entrata Maastricht, una correzione dal -12 al -4%/PIL (ecco spiegato anche calo risparmio privato, in parte. Se pago più tasse, risparmierò di meno). Il debito pubblico greco, come dice Constancio stesso, fra ’93 e ’06 si era stabilizzato attorno al 100% PIL, il debito estero netto in quegli anni esplode passando dal 10/15% al 100%/PIL. Le passività estere lorde passano dal 50% al 200% del PIL. Questo significa che, come dicono questi studiosi http://www.newyorkfed.org/research/current_issues/ci12-7.html e http://www.imf.org/external/pubs/ft/wp/2000/wp0046.pdf , i due terzi del debito estero (in grecia 4/5) generano nel settore privato (famiglie e imprese). Quindi non solo consumi, bensì investimenti immobiliari (es. case, hotel) e mobiliari (es. parco auto imprese noleggio). Visto tutto ciò, non capisco come si possa dire, come fa Santos, che il problema sia il sistema pensionistico greco. Ma tant’è. Lui è della BIS mentre io non sono niente. Quindi avanti così.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      non entro proprio nel merito della sua lunga e interessante dissertazione, credo sia sufficiente che lo abbia fatto lei. la prima riflessione che mi viene da fare, tuttavia, è che i numeri sono davvero meravigliosi. se li torturi abbastanza confesseranno qualunque cosa 🙂 Per questo, vede, io riporto ciò che leggo con le fonti, così ognuno può leggere i documenti e farsi le sue valutazioni.
      la sua lunga analisi inoltre mi convince che spesso i numeri nascondono la sostanza delle cose, e l’ideologia, che ognuno di noi cova come il virus dell’influenza, fa il resto. io non so, e le confesso che mi interessa poco, se ha ragione l’autore della bis, constancio o lei, che per quanto ne so potrebbe essere il più bravo di tutti. quel che conta, dal mio modesto punto di vista, è che l’economia può raccontare la stessa storia da due punti di vista diversi affermando due cose opposte senza il minimo problema. E’ una disciplina retorica, come ho più volte sottolineato. e i numeri sono solo un utile pretesto.
      quando leggo un paper lo tengo sempre a mente, e cerco di capire cosa voglia dire in sostanza, prima ancora che controllare i dati sui quali, mi permetta, si può facilmente giocare, basta cambiare il senso di una definizione o la modalità di raccolta e cambia il dato.
      il dato, e sono gli stessi economisti che lei cita a mostrarlo, cambia spesso ed è difficile capire, a meno che tutti non diventiamo econometristi, chi ha torto o ragione, e in tal modo si prende posizione: si diventa tifosi.
      io tifo solo per chi legge.
      grazie per il commento e i dati

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      • Fla

        Egregio Sig. Sgroi,
        mi scusi, ma allora, se è tutta è una questione di numeri e di loro “prospettiva”, di cosa ci preoccupiamo? Viviamo alla giornata allora, senza pensieri nè preoccupazioni per il futuro, se siamo disoccupati o meno. 🙂
        Tanto i numeri non contano. E facciamoci prendere in giro da chi, come giustamente Lei rispondeva al lettore Daniele, vuole mettere in evidenza il contrasto fra nazioni invece della vera guerra in atto: dei “ricchi” contro la classe media ed i poveri (con 8 milioni di sussidiati ed 1 su 6 a rischio povertà, anche la Germania ha infatti sperimentato dal 2003 il morbo dei working poors, sfruttati dalle multinazionali, con la gustosa riforma Hartz I-IV già citata da Santos). Infatti è una questione di numeri: ah voi porci italiani/greci/spagnoli/porgoghesi/irlandesi/francesi avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità! Guardate il debito pubblico quanto è alto! Quanto poco siete produttivi! Scialacquate tutto! Poi gratti un po’ in profondità e ti accorgi che i ricchi (quelli veri, non chi dichiara 200mila euro perchè è onesto e paga le tasse) hanno da ANNI conti milionari (o miliardari, fate vobis) nei paradisi fiscali, spostano le produzioni in paesi a bassa tassazione (Irlanda ecc.) oppure nell’Est Europeo o Estremo Oriente asiatico dove non esistono tutele sul lavoro (o sono inferiori). Quindi oltre a non pagare un H di tasse come reddito, non pagano un H nemmeno come tassazione d’impresa o utili. E non danno lavoro a nessuno nelle nazioni in cui però vendono e fanno utili alla grande. Però parlano, e sono i primi a sparare e a dire quanto i lavoratori non siano abbastanza produttivi, e debbano essere più competitivi. Non perchè i nostri prodotti vadano poi a costare meno. No. Per ingrassare i profitti del management. Tanto l’aumento del 1/2/3% viene mangiato dall’inflazione e nessuno se ne accorge. Volevo anche postare il fatto che lo spread Grecia/Germania su prestiti a famiglie/imprese era rispettivamente del 4% e 1,5% nel lasso di tempo ’03 – ’08 (e ciò spiega IL perchè fosse conveniente prestare ai greci, ma potremmo fare lo stesso con Spagna, Portogallo ecc.). Però questi sono solo numeri. Ma come sottolineava bene Daniele: “Qui mi sembra che stiano espiando solo i debitori, di più, i creditori si accaniscono sulle vittime e come sciacalli le spogliano di tutto. Mi chiedo: non è un po’ troppo?”. No caro Daniele, non è troppo. Nella patria dove il rischio di credito è stato ufficialmente abolito, è giusto così.

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      • Fla

        Se il mondo dell’informazione nel suo complesso fosse come questo spazio, mi creda, forse le cose andrebbero meglio nel mondo reale. Si imparano tante cose stando qui. Grazie a lei.

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      • Maurizio Sgroi

        salve,
        imparo anche io tanto cose, stando qui, da ognuno di voi.
        il mondo dell’informazione non somiglierà mai a nessuno di noi se nessuno di noi contribuirà partecipandovi. nel mio piccolo ci sto provando, ma è dura dovendo fare un altro lavoro per vivere e nutrendo l’amara consapevolezza che tutti vogliono l’informazione, ma non vogliono pagarla.
        grazie di nuovo

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  4. renzo

    La Grecia in effetti potrebbe essere l’eccezione che conferma la regola ( del problema prevalente del debito privato ). Menzionando più o meno testualmente “a Greek public sector bubble” ,lo disse poco tempo fa anche il neoministro Y.Varoufakis

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      non sono un economista, quindi non entro nel merito “scientifico” della regola del problema prevalente del debito privato. potendo solo contare sul mio povero buon senso, mi limito a osservare che il debito, pubblico o privato che sia, alla fine finisce col pagarsi caro, in un modo o nell’altro, quando diventa patologico. e in grecia (ma non solo in grecia) lo è diventato.
      grazie per il commento

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  5. Alessio

    Certo che è un po’ ardita l’affermazione <>, soprattutto quando l’evidenza empirica dimostra che anche per la Grecia i disavanzi con l’estero riguardavano per la maggior parte il settore privato, mentre per quanto riguarda il settore pubblico la famosa falsificazione del bilancio riguardava la non iscrizione delle spese militari, in un intreccio di affari e corruzione di cui beneficiavano gli stessi creditori. Seguo il tuo blog con interesse, però in questo caso, senza offesa sia chiaro, mi sembra un po’ eccessivo presentare la tua analisi come scevra da pregiudizi. Ho capito che ce l’hai con i pensionati, però non credi che tale avversione rischi di non farti vedere anche quella che è, a tutti gli effetti, una conclamata evidenza? 😉 Lo stesso discorso si potrebbe fare per quanto riguarda la tua preoccupazione di dover pagare le pensioni dei greci, dato che è risaputo che i “prestiti” concessi alla Grecia sono serviti quasi completamente per pagare gli interessi sul debito e soprattutto per permettere il rientro delle banche estere da potenziali crediti inesigibili. Martin Wolf ha scritto che sarebbe stato più “corretto” fornire il denaro direttamente ai creditori, ma era un condotta troppo sfacciata anche per la Troika.

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      comprendo il suo punto di vista. preciso solo che l’analisi che ho presentato si limitava a riportare i dati e i ragionamenti di uno studio che mi sembrava fornisse elementi utili a allargare le vedute, mie e quelle dei lettori. come ho scritto più volte, non sono un economista, né sono in grado di costruire rilevazioni statistiche “scientifiche” dalle quali dedurre conclusioni: mi limito a leggere quello che scrivono gli altri e a trarne spunti di approfondimento per i lettori.
      detto ciò, non ce l’ho con i pensionati. ciò che mi irrita è l’ipocrisia che circonda la vicenda greca e, in generale, quella europea.
      non so se come dice l’autore del paper, gli squilibri della grecia partissero dal settore pubblico o se, come dicono altri, dal settore privato. ciò che mi premeva sottolineare è che la realtà è sempre un filo più complessa di come ce la rappresentano e che dovremmo avere la pazienza di dare ascolto a chi dice cose diverse da quelle che pensiamo di sapere, per il semplice fatto che nessuno di noi possiede la verità. tantomeno io.
      grazie per il commento

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