La regolazione bancaria aggiunge un’incognita all’inflazione

Sempre perché l’inflazione è argomento alla moda, in questo spicchio di ripresa economica, vale la pena dedicare un po’ di tempo alla lettura di uno studio pubblicato dal Cepr che aggiunge un’altra incognita alla difficile equazione che sta componendo il risultato inflazionistico sotto ai nostri occhi: gli effetti della regolazione bancaria.

Il tema è esotico, quindi servono alcune premesse. Ma prima di affrontarle, può essere utile un promemoria sullo stato del dibattito. A tal fine può essere utile scorrere rapidamente il riepilogo che ne fa il Fmi nel suo ultimo aggiornamento del World economic outlook. Il succo degli argomenti è chiaro: pure se ammettiamo che questa tensioni sui prezzi siano transitorie – e nulla al momento lascia pensare il contrario – rimane la domanda circa la persistenza di questa transitorietà. Un rialzo prolungato dei prezzi può disancorare le aspettative di inflazione, specie se i comportamenti delle banche centrali verranno giudicati poco efficaci dai mercati.

Fino ad oggi, e ne abbiamo visto alcuni, gli argomenti legati al rialzo dei prezzi sono fondati in gran parte su tensioni sul lato dell’offerta, ad esempio le spedizioni internazionali, cui si sono sommati stimoli corposi su quello della domanda, ad esempio gli stimoli fiscali Usa. L’argomento trattato nello studio del Cepr, invece, insiste su un altro aspetto legato alla fisionomia dell’economia monetaria. Quello che l’autore chiama il fragile triangolo fra stabilità dei prezzi, regolazione bancaria e riserve di banca centrale.

Conviene ricordare a questo punto che le banche commerciali tengono le loro riserve presso le banche centrali e che la manovra di questa riserve, nel senso del loro ampliamento, è stata uno degli strumenti principali delle banche centrali per allargare la base monetaria, allo scopo di trasmettere l’impulso della politica monetaria all’economia reale.

Senonché questa trasmissione è stata più lenta del previsto. Le riserve si sono gonfiate ma all’economia è arrivato meno di quanto si pensasse. Questa lentezza probabilmente è dovuta alla regolazione bancaria che è stata irrigidita per correggere i guasti prodotti dalle banche prima del 2008. In sostanza, la regolazione bancaria ha frenato mentre le riserve acceleravano. Ma cosa succederà se, come pare, le autorità inizieranno a rilassare i requisiti regolamentari? Per dirla con le parole degli autori, “i rischi di inflazione sarebbero più elevati di quelli ipotizzati”.

L’analisi di dettaglio ci comunica alcune informazioni utili da conoscere. La prima è che ormai da decenni la quota più rilevante della moneta in circolazione è la moneta bancaria creata tramite depositi. La quota di cash contenuta nell‘aggregato M1, che comprende moneta e depositi a vista, infatti, declina da tempo e ha raramente superato il 20%.

Ciò vuol dire che la gran parte della moneta è “privata”, ossia creata dalle banche tramite i depositi. Questa moneta bancaria viene continuamente “creata” e “distrutta” ogni volta che si susseguono erogazione di crediti e pagamento di debiti. A questi due pilastri del sistema – la moneta di banca centrale composta da riserve bancarie e banconote, e la moneta bancaria – se ne aggiungono due solitamente meno osservati. I debiti interbancari, che vengono regolati tramite le riserve bancarie a livello di banche centrali, e poi i requisiti regolatori che forniscono la cornice giuridica all’interno della quale le banche commerciali possono pianificare la loro attività di investimento e creazione di depositi. Il combinato disposto di questi quattro pilastri determina la quantità di risorse finanziarie che circola all’interno di un sistema economico.

Mentre gli effetti delle politiche monetaria su questo equilibrio – ad esempio la manovra dei tassi di interesse – sono ampiamente discussi e osservati, si pensa meno agli effetti che può generare la regolazione sull’attività bancaria. Requisiti stringenti sul capitale bancario, ad esempio, limitano la possibilità degli istituti non solo di concedere credito ma di effettuare investimenti, ad esempio finanziandosi tramite emissione di azioni.

I fatti ci dicono che nell’ultimo decennio abbondante le riserve bancarie sono cresciute sostanzialmente nelle principali economie avanzare. La pandemia ha semplicemente accelerato questa tendenza.

Teoricamente una disponibilità di riserve così ampia, in assenza di costrizioni regolamentari, potrebbe trasformarsi in credito all’economia. E questo ragionamento ha incoraggiato le banche centrali ad aumentare le riserve proprio per evitare carenze di liquidità nei periodi di crisi più acuta. Ma ovviamente serve anche una domanda di credito, oltre che un’offerta.

Senonché, quello che è si è verificato è che dopo il 2007/09 il moltiplicatore monetario, che misura il rapporto fra la moneta in circolazione (M3) e la base monetaria (M0), si è ridotto in diversi paesi. Il cavallo, insomma, ha bevuto assai meno di quanto si pensasse.

A ciò si è affiancato un livello generale dei prezzi al di sotto dei target delle banche centrali. L’economia, insomma, “tirava” poco.

Le ragioni di questa inerzia sono numerose, alcune legate alle scelte di economia monetaria – la Fed ad esempio ha pagato interessi sulle riserve di fatto incoraggiando la banche a lucrare su questo “investimento” piuttosto che su altri – altre legate alla conformazione dell’economia reale. Lo studio però ne analizza un’altra che vale la pena approfondire: l’effetto della regolazione.

L’autore ipotizza che il restringimento dei requisiti regolatori iniziato dopo la crisi del 2008 abbia agito come una forza disinflazionaria frenando la capacità delle banche di creare moneta. Le analisi svolte in effetti confermano che i regolatori nel triennio fra il 2007 e il 2009 hanno rinforzato le regole per i requisiti di capitale e di indebitamento (leverage ratios), mentre l’emissione di nuovo capitale bancario rimaneva bassa.

Senonché la tendenza a stringere i requisiti regolatori sembra stia volgendo al termine. E questo secondo lo studio dovrebbe suscitare qualche preoccupazione. La creazione di credito che ne potrebbe conseguire potrebbe sostanzialmente aggiungere benzina sul fuoco che sta scaldando i prezzi. Ciò implica che per compensare il “rilassamento” dei requisiti regolatori le autorità monetarie dovrebbero agire sugli altri pilastri delle politiche monetarie per non rischiare di aggravare la stabilità dei prezzi.

Aldilà dei rimedi suggeriti, quel che conta è il messaggio: “Il triangolo che unisce stabilità dei prezzi, regolamentazione del capitale e riserve della banca è fragile. Sarà importante evitare una creazione di denaro forte e continuativa e per mitigare i rischi di inflazione ad esso associati”. Facile a dirsi. Ma quando il mercato ormai è dipendente dagli stimoli fiscali e monetari, è molto difficile a farsi.

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