Perché il dollaro è un problema anche per gli Usa

Le crisi sono sempre utili momenti di consapevolezza, almeno nella misura in cui ci ricordano che non accadono per caso, o per un dispetto degli dei, ma si approfondiscono trovando spazio nelle storture del sistema, che per quanto notorie, sono ignorate perché non riusciamo a pensare di riformarlo. Così due studi molto diversi fra loro, uno del NBER e l’altro della BoE, ci ricordano una caratteristica evidente del nostro sistema che è problematica da oltre mezzo secolo: il ruolo internazionale del dollaro.

Quest’ultimo è uno dei fondamenti dell’ordine mondiale, quindi non è questione che si possa risolvere in poche righe. Ma è importante ricordare che molti degli squilibri ai quali le crisi ci espongono sono provocati proprio dal fatto che il dollaro, in quanto valuta nazionale che viene usata internazionalmente, amplifica le frizioni, così come replica le tensioni interne degli Usa a livello globale. Si pensi all’attuale dibattito sul debito pubblico americano. Una costante annuale praticamente, che tiene ilmondo col fiato sospeso finché non vengono alzati i tetti del debito. E abbiamo già visto come i boom creditizi alimentati dalle politiche americane abbiano avuto notevoli effetti distorsivi sui paesi emergenti, e non da oggi.

Non dovremmo, insomma, più avere dubbi su quale sia il problema. Rimane tuttavia interessante osservare il modo in cui il “contagio” del dollaro si diffonde globalmente e soprattutto illustrare come alla lunga queste distorsioni finiscano con l’impattare sulla stessa struttura dell’economia statunitense. Il “privilegio esorbitante” crea l’illusione che gli americani possano godere di infiniti pasti gratis. Ma è un’illusione, appunto.

Per evitare di avventurarci nella filosofia, limitiamo qui la nostra osservazione alle dinamiche studiate dagli economisti. La prima dedicata all’influenza delle politiche Usa – non da sole, ma in buona parte sì – sul ciclo finanziario, fenomeno che abbiamo imparato a conoscere e osservare da tempo. La seconda racconta come la fame di dollari liquidi – ossia del mezzo di pagamento globale – all’erompere della crisi covid abbia provocato notevoli squilibri nei mercati obbligazionari.

Quanto al primo, gli economisti hanno condotto numerose analisi su come la globalizzazione finanziaria, cresciuta moltissimo negli ultimi decenni, abbia favorito la nascita di co-movimenti fra gli aggregati (prezzi, asset, debiti e crediti) che hanno generato il ciclo finanziario. Questa sorta di onda che vive di vita propria interagisce con le condizioni monetarie e finanziarie globali. Diventa quindi interessante vedere quali siano i fattori che alimentano questo ciclo. E il primo sospettato, ovviamente. è il dollaro americano.

“E’ ben documentato – scrivono gli economisti – che gli Stati Uniti e il dollaro svolgono un ruolo negli investimenti, le riserve e l’attività bancaria internazionali. Questo implica che la Fed ha un ruolo chiave nell’andamento del ciclo finanziario?” Domanda retorica, viene da dire. Ma soprattutto: la Fed o anche altri?

Le risposte sono quelle che potevamo aspettarci. La Fed non solo ha un peso relativo rilevante sul ciclo finanziario, ma influenza anche quello del commercio globale e del prezzo delle commodity. Anche la Bce e la banca centrale cinese svolgono un ruolo, ma assai meno rilevante dal punto di vista finanziario, mentre diventa importante sugli scambi commerciali e delle commodity. Vale la pena sottolineare che dopo lo shock Lehman, le politiche monetarie non convenzionali hanno contribuito a smussare le asimmetrie finanziarie fra Fed e Bce.

L’analisi della BoE non è meno rilevante. La crisi Covid del marzo 2020 ha generato negli investitori una fame di dollari per far fronte alle esigenze di pagamenti che i normali circuiti di approvvigionamento non sono riusciti a soddisfare. Il risultato è stato che è finita sul mercato molta carta americana per lo più di breve termine – come è noto i titoli obbligazionari in dollari sono alla base del sistema finanziario – con la conseguenza che gli spread sono aumentati più di quanto non siano aumentati quelli in altre valute.

La conclusione degli studiosi è che “gli investitori non hanno venduto attività in dollari a causa della loro liquidità superiore, ma per la necessità di ottenere dollari in contanti, per ragioni che sono in ultima analisi legate al ruolo del dollaro USA come valuta dominante nel sistema monetario e finanziario internazionale”.

Il dollaro è sempre la valuta americana e un nostro problema, come disse un celebre sottosegretario al Tesoro Usa negli anni ’70. Ma è chiaro che “una corsa al dollaro può avere conseguenze sulla stabilità finanziaria per i bilanci sia degli investitori che detengono attività in dollari Usa sia delle società che espongono passività in dollari Usa”. Ormai il dollaro è anche un problema degli Usa.

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