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Bitcoin for dummies: L’abbraccio totalitario della Blockchain

Dopo i vari libri che ci hanno istruito sulla “Bitcoin revolution”, non poteva mancare un testo sulla “Blockchain revolution”, di cui trovo traccia su un notiziario, a dimostrazione del fatto che questa tecnologia, al di là di quali saranno i suoi esiti sociali, sta già dando lavoro a migliaia di persone, e quindi è entrata prepotentemente nella nostra realtà.

Ciò ne fa un fenomeno meritevole di essere seguito e approfondito, e per questa ragione questa serie di articoli è destinata a proseguire anche in futuro, anche se sotto una diversa forma che esuli dal suo scopo iniziale, ossia illustrare a quelli meno addentro il senso e il significato di Bitcoin/bitcoin, affrescandone a volo d’uccello le complesse articolazioni che sono tecniche, politiche, economiche, finanziarie ma, soprattutto sociali.

Proprio quest’ultimo libro sulla Blockchain revolution ne è una plastica rappresentazione. L’auspicio degli autori è che la “catena di blocco” “vada ben oltre la finanza”, arrivando a configurare una tipologia di relazionarsi totalmente diverso rispetto al passato, basato sulla logica della disintermediazione.

In fondo, anche questo  molto logico: se la blockchain non è altro che un database validato in chiaro da una rete di computer divisi in nodi, cosa impedisce che ciò che vale per lo scambio di una criptovaluta non possa valere anche per scambiarsi altri beni o altri servizi?

In sostanza le spire della Blockchain possono arrivare ad avvolgere ogni cosa e si sono già evolute piattaforme – che in alcuni casi coinvolgono i governi – dove si usa la Blockchain per attivare quelli che sono stati chiamati Smart contracts. L’idea di fondo è quella che abbiamo già espresso: due adulti consenzienti, sotto l’egida dell’occhio automatico e moralmente neutro della rete, possono scambiarsi ogni cosa senza bisogno di un terzo che certifichi in qualche modo la regolarità della transazione. Per questo gli autori auspicano che questa tecnologia esca dal recinto della finanza e si espanda, come un’infezione benigna, praticamente dappertutto.

Come ogni totalitarismo, anche quello della Blockchain promette libertà, democrazia e progresso. Come ogni totalitarismo il tutto viene condito con le migliori intenzioni, a cominciare da quella della trasparenza assoluta.

Ogni epoca produce il suo totalitarismo, evidentemente.

La nostra, che vive e prospera grazie alla tecnologia, non fa eccezione.

(15/fine)

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Bitcoin for dummies: Le mani dei governi sulla DLT

I distributed ledger, quindi, sono l’ultima frontiera dell’innovazione che la nascita di Bitcoin, chissà quanto consapevolmente, ha finito col promuovere. Nato come reazione e sfida al sistema, la tecnologia dei libri mastri digitali ormai viene cavalcata dallo stesso sistema che si voleva mettere fuori gioco. Nulla di strano: la storia è piena di rivoluzioni che finiscono col rafforzare ciò che si pensava di sovvertire, a dimostrazione del fatto che il sistema, piaccia o no, si dimostra sempre capace di resilienza e che le rivoluzioni, quelle vere, avvengono silenziosamente mutando le consuetudini prima ancora che le organizzazioni.

Sicché mentre gli user di bitcoin si scambiano moneta crittografica utilizzando la Blockchain di Bitcoin, i governi – e poi vedremo cosa fanno le banche – sono diventati appassionati sostenitori della DLT (distributed ledger tecnology). Innanzitutto studiandola, ma anche iniziando a costruire sistemi che si fondano proprio su questa tecnologia.

Una delle tante storia interessanti da raccontare si trova nello studio che il governo inglese ha diffuso alla fine dell’anno scorso, che riporta dell’esperienza dell’Estonia, che ha lanciato una serie di servizi digitali basati proprio sulla DLT. L’Estonia, peraltro, è un dei cinque paesi che fa parte dei “Digital 5“, o D5, insieme a UK, Israele, Nuova Zelanda e Corea del Sud, un gruppo di nazioni che si è costituito alla fine del 2014, che si propone proprio di rafforzare l’economia digitale. E in tale contesto la DLT potrebbe rivelarsi un’arma potente di aggregazione, da un lato, e di ricerca dall’altro.

E proprio l’Estonia è stata la prima a sperimentare per alcuni anni una DLT realizzando una tecnologia che si chiama Keyless Signature Infrastructure (KSI), realizzata da un’azienda estone, la Guardtime. Questa DLT consente ai cittadini di verificare, semplicemente partecipandovi, l’integrità dei loro dati nei database del governo. Il che ha consentito di sviluppare alcuni servizi digitali chiamati e-Business register ed e-Tax, che hanno consentito di diminuire il costo dei servizi amministrativi sia per lo stato che per i cittadini. La conseguenza è che “l’Estonia ha ora la Public Key Infrastructure (PKI) più regolarmente utilizzata in tutto il mondo”.

L’esempio estone serve a sottolineare la potenza di questa tecnologia. “Una blockchain – spiega lo studio – agisce come un silenzioso ed efficiente cavallo di battaglia, celato dietro una soluzione che sembra familiare: un sistema di pagamenti basato su un applicativo per cellulare, un sistema di crowdfunding on line o una piattaforma di trading” fino a un semplice “account di accesso a un portale”.

Tutto ciò richiede che i governi si interessino sempre più alla regolazione di questi sistemi, notano gli estensori. Che è un modo educati di dire che dovranno metterci le mani sopra. Gli anarcoidi di Bitcoin sono avvertiti. Adesso stanno entrando in campo i pezzi grossi.

(12/segue)

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Bitcoin for dummies: La realtà della moneta virtuale

Abbiamo esplorato le basi filosofiche di Bitcoin/bitcoin, osservando quanto di non detto ci sia dietro ciò che è stato espresso dal manifesto di Satoshi. Quindi abbiamo assaggiato le basi tecniche della moneta virtuale: perché si connota come criptovaluta, cosa sia la blockchain, come e perché si sia scelto di costruire il sistema che sottostà alla sua circolazione. Ovviamente senza pretesa di essere esaustivi. Lo scopo di questa serie è quello di fornire ai lettori elementi di riflessione e alcuni percorsi di approfondimento, non certo dire tutto.

Rimane da fare il passo successivo, che forse è il più interessante. Vale a dire che tipo di realtà stia generando la moneta virtuale, quindi cosa sia accaduto nel sistema finanziario dal momento della sua comparsa, come stia evolvendo, e, soprattutto, come stia reagendo il resto del mondo alla sua apparizione.

A ben vedere, questa è forse la parte più interessante. Sappiamo già che molti regolatori – e segnatamente alcune banche centrali – si sono interessati a Bitcoin/bitcoin e che il tema della blockchain, ormai viene chiamata per quel che è, ossia un libro mastro digitale distribuito pubblicamente, sta diventando, per motivi che vedremo, un argomento caldo ai piani alti della finanza.

Meno nota, ma non per questo meno interessante, è l’economia che è sorta in conseguenza della moneta virtuale o come l’avvento di Bitcoin abbia impattato sull’economia. Un dato, estratto da uno studio recente promosso dal governo inglese, ci dà una importante informazione: per far funzionare Bitcoin/bitcoin si consuma una quantità significativa di energia elettrica – d’altronde è una moneta generata dalle macchine tramite le macchine – addirittura comparabile a quello dell’intera Irlanda.

A parte questa notevole esternalità, che comunque implica guadagni per alcuni a fronte di spese per altri, Bitcoin ha stimolato numerosi a investire sulla tecnologia di mining – i nuovi minatori – che adesso devono spendere molti soldi, in potenza di calcolo e corrente elettrica,  per estrarre l’oro digitale dagli algoritmi di bitcoin. Poi ci sono compagnie che si sono specializzate nella fornitura di beni e servizi pagabili in bitcoin, e tutto un sottobosco di operatori che  forniscono a loro volta servizi per consentire agli user di scambiare bitcoin, e sorvoliamo sulla fiorente attività editoriale – per lo più e-book – che sono stati scritti dal 2008 in poi per spiegare e socializzare questa astruso sistema monetario alternativo.

La realtà della moneta virtuale, scopriremo, non è poi così diversa da quella che siamo abituati a frequentare. La corsa all’oro digitale, come ai vecchi tempi accadeva per l’oro fisico, ha attratto moltissime persone ansiose di far fortuna. E oggi come ieri, gli unici che sicuramente la faranno sono quelli che vendono pale, picconi e setacci, che ai tempi di bitcoin sono processori, sistemi di calcolo, ampiezza di banda ed energia. E poi ci sono le banche, che non solo hanno raccolto la sfida di bitcoin, ma pare stiano anche pensando a come servirsene per i loro fini.

Saremo pure entrati nell’era digitale. Ma siamo rimasti gli stessi.

(10/segue)

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Bitcoin for dummies: il fantasma dell’oro

Non si capisce Bitcoin, ossia l’infrastruttura di pagamento, se prima non si comprende lo spirito di bitcoin, quindi la valuta che in questa infrastruttura viene scambiata. Entrambe condividono un pensiero, che abbiamo iniziato ad annusare, ossia che le macchina siano più affidabili dell’uomo, ma andando a fondo scopriamo altre cose che celano la sostanza della sfida lanciata dal misterioso Satoshi al mondo intero.

Ne abbiamo sentore leggendo il punto sei del suo manifesto, dove si parla di incentivi, che riporto integralmente riservandomi di approfondire alcuni punti più in là. “Per convenzione – scrive – la prima transazione in un blocco è una transazione speciale che genera nuova moneta di proprietà del creatore del blocco. Ciò aggiunge un incentivo per i nodi a supportare la rete, e fornisce un modo per mettere nuove monete in circolazione, dal momento che non esiste nessuna autorità centrale che le emetta. L’aggiunta continua di una quantità costante di monete è paragonabile all’opera dei minatori d’oro, che spendono risorse per mettere nuovo oro in circolazione. Nel nostro caso a essere spesi sono tempo di Cpu ed elettricità (…). Una volta che un numero predeterminato di monete è entrato in circolazione, l’incentivo può essere costituito interamente da commissioni di transazione e risultare in un sistema monetario completamente privo di inflazione (..). L’incentivo potrebbe aiutare i nodi a restare onesti. Se un attaccante avido fosse in grado di accumulare più potere computazionale di tutti i nodi onesti, dovrebbe scegliere se usarlo per defraudare gli altri, rubando i suoi stessi pagamenti, oppure usarlo per generare nuove monete. Egli dovrebbe trovare più redditizio stare alle regole del gioco, regole tali da beneficiarlo con più monete di qualsiasi altro insieme di nodi, piuttosto che sabotare il sistema e il valore della sua stessa ricchezza”.

Sorvoliamo per il momento su concetti fondanti come quello di blocco e nodo, di cui ci occuperemo in altre puntate di questa serie, e guardiamo a come questa moneta digitale viene immaginata. Lo stesso Satoshi lo dice a chiare lettere: i bitcoin sono come l’oro, e infatti i “creatori” o sarebbe meglio dire gli scopritori di queste pepite digitali vengono chiamati minatori.

In questo scorgiamo una prima fondamentale differenza fra la moneta di Satoshi e quella in uso tutti i giorni, che rievoca la vecchia polemica fra cartalisti e metallisti che ha segnato nei secoli la storia delle moneta. Per i primi il valore di una moneta risiedeva sostanzialmente nel fatto che avesse dietro uno stato, e quindi un potere impositivo e una sua affidabilità. Per i secondi tale valore dipendeva da quello intrinseco del materiale nel quale la moneta era rappresentata. L’oro è moneta, diceva un celebre banchiere di un paio di secoli fa.

In sostanza si confrontavano due concezioni antitetiche: moneta segno versus moneta merce. Quest’ultima fino a tutto il XIX secolo e buona parte del XX è stata alla base dei sistemi monetari, prima col gold standard, poi con il gold exchange standard del primo dopoguerra e quello nella sua versione gold-dollar exchange standard di Bretton Woods, per cadere in disuso negli anni ’70, quando si affermò la pratica della fiat money, ossia della moneta fiduciaria a corso legale senza valore intrinseco.

C’è una differenza importante fra queste due concezioni della moneta. Nella moneta fiat, una moneta rappresenta innanzitutto un debito di chi la emette. Il contante, infatti, viene registrato fra le passività di una banca centrale, pure se è un debito inesigibile, visto che con la moneta non potete chiedere indietro altro che moneta, a differenza di quanto accadeva ai tempi del gold standard, quando poteva essere convertita in oro. Tale debito, avendo corso legale (legal tender, dicono gli anglofoni) deve essere utilizzata per pagare le tasse (ed ecco il legame con la funzione impositiva dello stato) e deve essere accettata per compiere qualsiasi altro pagamento all’interno del paese che la emette. Quindi si potrebbe definire una passività altrui che si deve utilizzare. Trova la sua legittimità nel potere statale.

Nella moneta merce, invece, l’oro non era un debito di nessuno. Era moneta scavata dalla terra. Pura creazione di liquidità che si autoaffermava come tale senza bisogno di nessuna autorità che la certificasse o le desse un valore fiduciario. Aveva valore di per sé. L’oro è moneta, diceva sempre il nostro defunto banchiere. Quindi si potrebbe definirlo come un attivo che si vuole utilizzare. Trovava la sua legittimità, per motivi storici, nel consenso sociale.

In questo sistema la cartamoneta trovava ragione nella sua semplicità di uso e nel fatto che comunque era convertibile in once d’oro. Anche la cartamoneta era un debito per la banca centrale che la emetteva, ma solo perché la obbligava a convertirla nell’oro che, di fatto e di diritto rappresentava.

Il nostro bitcoin, quindi, per questa somiglianza monetaria col vecchio metallo giallo viene chiamato oro digitale, estratto dai visceri di un algoritmo informatico, e come tale liquidità. Il fantasma dell’oro, per secoli prima evocato e poi scacciato, torna a fare capolino. Ma sempre un fantasma è: evanescente, effimero e vagamente spaventoso. Ci sono differenze profonde, che è necessario osservare e comprendere. Scopriremo alla fine che oro e bitcoin, come si diceva in un vecchio film, non si somigliano per niente.

(4/segue)

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