Etichettato: cronicario

Cronicario: Si prepara il ringiovanimento del Fisco

Proverbio del 25 luglio L’aceto regalato è più dolce del miele

Numero del giorno: 116 Indice fiducia imprese tedesche in rialzo a marzo

Va bene siamo alla fine di luglio e nessuno ha più voglia di occuparsi di cose serie. Il cazzeggio impera e perciò è la stagione ideale per il vostro Cronicario che però, per pura cattiveria, ne approfitta per andare in vacanza e lasciarvi sul più bello. Prima però è impossibile non riportarvi alcune perle di giornata scovate nel parlatoio globale e fedelmente riportate dalle cronache come se davvero fosse roba seria. La migliore l’ho letta su una nota agenzia di stampa che ha riportato le critiche del nostro viceministro dell’economia Luigi Casero al nostro sistema fiscale.

Non esageriamo. Le tasse rimangono sempre una cosa bellissima per qualunque esponente di governo, ma le nostre quelle italiane, dice il viceministro, sono piuttosto criticabili. Uno pensa: sarà mica perché la pressione fiscale supera il 43%? Noooo. Il problema del fisco italiano è che “è vecchio”.

Ora mi risulta difficile capire come mai un paese che adora le anticaglie trovi di che criticare il suo sistema fiscale, col suo sapore borbonico, che costringe chiunque a stipendiare un commercialista per evitare (spesso senza successo) l’Agenzia delle entrate. Ma è proprio questo il punto, dice il viceministro: bisogna farlo ringiovanire. non servono 150 tasse, spiega paziente: ne bastano due o tre. Ecco il segreto: semplificare.

Si che l’ha detto. Ci proviamo da un trentennio? Chi la dura la vince. E intanto che ci riproviamo, segnate sul vostro calendario che il 27 prossimo il governo, nella persona del ministro Poletti, incontrerà in sindacati per discutere di un altro annoso e antico problema che sta a cuore di tutti gli italiani. La salute? Noooo:

La pensione, quindi. Ancora non si sa cosa si inventeranno, però la lotteria annuale ha già riaperto. Il ministro dice che si faranno scelte a settembre, in occasione della legge di bilancio. Quindi se siete in orbita e continuate a gravitare attorno al pianeta pensione, abbiate fede: il governo lavora per voi.

A quei sempre meno che ancora credono nel lavoro, farà invece piacere sapere che i nostri ordinativi industriali (+4,3%) e il fatturato (+1.5%) sono in crescita nel mese di maggio rispetto ad aprile Se si allunga lo sguardo le ragioni per esultare si raffreddano, ma di questi tempi meglio accontentarsi.

Anche perché tutto ciò accade proprio mentre l’euro tocca 1,17 sul dollaro, ai massimi dall’estate 2015. Che non è proprio il massimo per chi debba esportare come noi per stare a galla. Vi saluto con un’altra bella notizia rassicurante che arriva dagli Usa, dove i prezzi delle case nelle prime venti città sono aumentati del 5,7% a maggio, sesto rialzo consecutivo.

Sarà mica un’altra bolla che si gonfia? Lo scopriremo solo perdendo.

A domani.

 

Cronicario: Ubi Abi, Obi vincit

Proverbio del 12 luglio Capita a volta al saggio di essere consigliato dal pazzo

Numero del giorno: 31 Calo percentuale degli immobili finiti all’asta

Banche: what else? Difficile, poi, resistere visto che oggi si celebra l’assemblea annuale dell’Abi – coraggio volge al termine il tempo delle assemblee annuali – proprio in contemporanea con quella dell’Autorità dei trasporti che di fronte a cotanto rivale viene annichilita nelle cronache.

L’Abi dunque, che sta per Associazione bancaria italiana. Ossia il sacrario dei sacrari dove per l’occasione si scomodano sempre il Governatore di Bankitalia, San Visco, anzi: Visco San, e poi il ministro dell’economia, San Padoan, anzi Padoan San. Anzi a pensarci bene il San va bene prima e dopo, visto che questa coppia è di sicuro la più bella del mondo per l’Abi, visto quante banche hanno tolto dai guai nell’ultimo anno.

Perciò all’Abi si sprecano applausi per i due ospiti illustri, che dicono tutto quello che c’è da dire. Anzi fondamentalmente una cosa: per le banche si fa whatever it takes, come recita il famoso brocardo di Supermario. E se non lo capite peggio per voi. Vi do giusto una dritta sul perché: le banche italiane hanno qualche centinaio di miliardi di debito pubblico italiano in pancia. E poi la tutela del risparmio è sacra e blablabla.

Della bellissima assemblea dell’Abi vi racconterà ampiamente il cronicario globale. Ci rinuncio dopo aver letto l’illuminata dichiarazione del ministro Poletti, il ciuffo più bianco del governo, secondo il quale il sistema bancario ha superato la sua fase di criticità e adesso “abbiamo bisogno che accompagni questa fase di crescita positiva”, che non ho capito se si riferisca al Pil o ai prestiti che il governo ha fatto alle banche. Nel dubbio decido di abbandonare il campo bancario – di una noia mortale – e di traviarmi col bricolage (cit.): ho promesso un mese fa che avrei riparato la maniglia della porta. Ubi (non nel senso di Ubi banca) Abi, Obi vincit.

Ma prima di andare a comprarmi un nuovo set di cacciaviti, mi casca l’indice su un post di Cecilia Malmström, che purtroppo ricorda Maelstrom e perciò m’inquieta, che invece è la gentilissima commissaria al commercio estero che dai ripidi di Bruxelles ci racconta dell’ultimo accordo commerciale coi giapponesi. Il post si intitola Alliance with Japan, e mi sembra di averlo già sentito.

 

Concludo con un paio altre notizie che vi riempiranno di gioia: la produzione industriale nell’Ue è cresciuta dell’1,3% a maggio su aprile e del 4% su base annuale.

La seconda riguarda l’UK, sempre in debito di Brexit, che ancora non si capisce come finirà. Nel frattempo oggi l’Ons, istituto di statistica britannico, ha rilasciato i suoi dati sull’occupazione.

Questo mentre Moody’s ha fatto quello che gli riesce sempre bene quando è di cattivo umore: gufa.

Nelle previsioni dell’agenzia di rating la crescita britannica dovrebbe rallentare all’1,5% nel 2017 e addirittura all’1% nel 2018, ossia quando i negoziati per l’uscita dall’Ue dovrebbero essere in dirittura di conclusione, a causa dell’ammosciarsi dei consumi privati. Sarà mica che i britannici diventano tirchi come noi? Lo scopriremo.

Domani però.

 

 

Cronicario: Va tutto bene, persino le Tlc

Proverbio dell’11 luglio Chi scoreggia accusa sempre il vicino

Numero del giorno: 22,5 Perdita % produzione industriale dal maggio 2008

E basta con queste brutte notizie: oggi il Cronicario parla solo di cose belle che succedono e che i soliti occhiuti gazzettieri omettono perché ci vogliono tristi e preoccupati, convinti che venda la paura più dell’allegria. Pensiero che noi aborriamo, sennò non staremmo a scrivere questa roba.

Si, lo facciamo pure gratis, ma prima o poi vi chiederemo il conto. Intanto godetevi queste due-tre perle di ottimismo. La prima arriva da Istat, che mostra una certa ripresa della produzione industriale, su base mensile, trimestrale e annuale. Sembra vero e perciò ci credo.

La seconda arriva da Bankitalia che mostra un eccitante andamento del credito al settore privato.

Si, quella roba poco sopra lo zero…guardate bene…quelli sono i prestiti alle imprese, cresciute a maggio di un esorbitante 0,3%. Perciò, già mi immagino investimenti a go go. La linea blu sono i prestiti alle famiglie. Che evidentemente sono le uniche a poterseli permettere. E che ci faranno le famiglie co’ ‘sti prestiti? Che domanda: ci comprano casa.

Per noi italiani la casa, come scrisse quel tale, ha la stessa seduzione che aveva per il sovietico il carrarmato.

La terza notizia buona notizia arriva dall’Agcom, che ha presentato la sua relazione annuale. Qui leggo che addirittura il settore delle Tlc si è persino ripreso nel 2016 e non faccio fatica a crederlo, visto che, dicono, “la spesa media annua nei servizi di comunicazione è la seconda spesa delle famiglie dopo la casa”. Penso che noi italiani siamo diventati dei cervelloni, ma poi questo grafico mi disillude.

In pratica spendiamo per comprarci tv e telefonini. Anzi, più che altro tv, visto che siamo ancora al 60% della popolazione che va su internet, i penultimi in Europa. Poi vi lamentate perché vi mettono il canone in bolletta…

A domani.

Cronicario: L’Ue flirta coi giapponesi, ma dopo arriva Mister T

Proverbio del 5 luglio Amore e odio sono bevande inebrianti

Numero del giorno: 4.200 Esuberi previsti, secondo i sindacati, per Mps

Stavolta i cerimonieri sono partiti da lontano. Qua e là twittavano, postavano, ma molto discretamente, per ricordarci che domani, alla vigilia del G20 di Amburgo, Ue e Giappone si incontreranno per affrontare alcune questioni commerciali che hanno a che fare con il mercato automobilistico. Roba che bisogna davvero essere ottimisti . Per chi non lo ricordasse, il mercato dei motoveicoli è uno dei pochi dove ancora gira la ciccia, e gli europei sono quelli con le eccedenze di export più alte del mondo, mentre i giapponesi sono i secondi.

Al contrario, gli Usa sono quelli che hanno il disavanzo settoriale più alto al mondo e quindi rappresentano, metaforicamente, la bistecca che Giappone ed Europa – e vi faccio grazie della Corea del sud e del Messico – si devono dividere provando persino ad andare d’amore e d’accordo.

Ora ci potrebbero pure riuscire, se non fosse che il ruolo della bistecca è stato affidato a un tizio che ha dimostrato assai chiaramente di non volerlo più interpretare: il terribile Mister T.

No questo. Quest’altro.

Scusate, colpa dell’atteggiamento simile.

Mister T, dicevo, sarà anche lui in Europa per il vertice del G20 e certo ricorderete che una delle prime cose che fece appena eletto fu proprio quella di indirizzare un saluto affettuoso al premier giapponese Abe. Se non ve lo ricordate, ve lo dico io. Adesso deve incontrare Putin e siccome sono uomini di tempra vigorosa è probabile si piaceranno, arrivando persino a odiarsi cordialmente. Le premesse d’altronde ci sono tutte. Che fine credete che farà la nostra conventicola col Giappone?

Detto ciò ci sarebbe poco da aggiungere al Cronicario di oggi, salvo il fatto che trapelano i dettagli del piano Mps, per il quale tutti consumano barili di ottimismo mentre si annunciano esuberi, e poi che si apprendono delizie statistiche dal presidente Istat Giorgio Alleva audito in Parlamento. Vi do giusto un paio di indicazioni. Se pensate che una laurea vi salverà dal lavoro atipico, modo educato per definire un lavoro ce oggi c’è e domani boh, vi sbagliate: il 35% dei laureati lavora a gettone, quando ci riesce. Mentre fra i diplomati gli atipici sono il 21%, fra i laureati arrivano al 35%. Della serie studia che ti fai una posizione.

Vi farà piacere sapere che nel 2016 un terzo degli atipici, quelli che una volta si chiamavano precari, ha fra 35 e 49 anni, e il 41,5% delle donne che sono in questa situazione sono anche madri. Poi dovremmo stupirci che l’Istat stima in sette milioni in meno i residenti in Italia da qui al 2065?

Anzi, ora che ci penso: faccio la valigia.

A domani

 

 

 

Cronicario: Boeri e l’Istituto Nazionale PS

Proverbio del 4 luglio Se c’è da andare, vai bene

Numero del giorno: 2.404 Spesa sanitaria pro capite in Italia

E il vincitore è…Tito Boeri. Che ha vinto? Ora ve lo dico. In questo periodo di relazioni annuali, rapporti e resoconti che ogni entità burocratica si premura di presentare, che già ti fa capire che l’anno professionale sta terminando e che si fa verso il cazzeggio estivo, abbiamo pensato di indire il premio Genio al Lavoro, per omaggiare chi la spara più grossa e così facendo aumenta la consapevolezza dei cittadini e focalizza la missione dell’istituto eccetera eccetera

E insomma vince Tito Boeri, al secolo presidente dell’Inps che oggi, mentre presentava il suo bravo rapporto annuale dell’Istituto ha detto una cosa folgorante: dobbiamo cambiare nome all’INPS. Basta col vecchio nome. Niente più Istituto nazionale della previdenza sociale, ma Istituto nazionale della protezione sociale.

Davvero sì. D’altronde manco è la prima volta. Ci sono precedenti illustrissimi. Pensate che nel ’33 il governo Mussolini aveva trasformato la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali, che risaliva alla fine del XIX secolo, in Istituto nazionale fascista della previdenza sociale (INFPS). Nel dopoguerra la defascistizzazione dell’Inps fu facilissima: via una F e arriviamo a oggi. Ma da allora a ieri il mondo è cambiato, dice Boeri, ormai l’INPS eroga 440 prestazioni agli italiani, delle quali quelle previdenziali, ossia di natura pensionistica, sono appena 150. Quindi la soluzione non è separare la previdenza dall’assistenza, ossia la madre di tutti i disastri contabili degli ultimi cinquant’anni, ma cambiare nome all’INPS. Che rimane sempre INPS – mica abbiamo più quel piglio anni Trenta – ma la previdenza diventa protezione, anche perché in fondo chi protegge è previdente.

Ora però chi protegge oltre ad essere previdente è anche di solito un tipo pensieroso, preoccupato, ma è capace anche di essere positivo. E’ paziente, pragmatico, ma anche pazzerello. Insomma, la P di INPS è più difficile da trattare della F dell’INFPS. Una P può voler dire tante cose. Perciò ci permettiamo un emendamento all’editto Boeri: Chiamiamolo Istituto Nazionale PS, che evoca anche la sicurezza, che in fondo è una variante della previdenza, ma anche post scriptum, perché in fondo c’è sempre un cavillo e/o un comma che allunga le competenze dell’Istituto al quale le nostre fortune sono affidate da oltre un secolo.

Detto ciò vi do giusto un altro paio di chicche perché oggi Boeri era in splendida forma. La prima sugli immigrati, tema per tutti noi molto caro, anche nel senso di costoso.

Se bloccassimo gli immigrati da qui al 2040 avremmo 73 miliardi in meno di entrate contributive a fronte di 35 miliardi in meno di prestazioni sociali erogate a loro vantaggio. Traduco: ci perdemmo 38 miliardi. E’ una simulazione, ovviamente. Ma basta a Boeri a dire che ci risparmiamo una manovrina l’anno per tenere in piedi i conti dell’Inps, che non è che siano fantastici. La seconda perla: i tempi sono maturi per l’introduzione del salario minimo. Che sarà pure giusto, se non fosse che da noi rischia di coincidere con quello massimo.

Lascio il Genio al lavoro perché voglio concludere con un’altro conteggio stavolta dell’Istat che ha dissezionato il sistema dei conti sanitari italiani. Viene fuori che la spesa sanitaria totale in Italia è pari a 149,5 miliardi, pari all’8.9% del Pil. Questa spesa viene sostenuta per il 75% dallo Stato – di cui la metà solo gli ospedali – il resto dal privati, che quindi spendono circa 37 miliardi l’anno per curarsi.

La nostra spesa sanitaria è bassa nel confronto con Francia e Germania. E stendo un velo pietoso sulla qualità. Mica è roba da Cronicario.

A domani.

 

 

 

Cronicario: Miracoli italiani: polizze dormienti e assicurazioni rischiose

Proverbio del 23 giugno Quando compare la barba scompare l’infanzia

Numero del giorno: 0,5 Pil francese primo trimestre rivisto al rialzo

Solo in Italia si leggono meraviglie come il rapporto Ivass, che non è una storia di spie russe ma il più noioso resoconto annuale dell’Istituto di vigilanza delle assicurazioni, una sorta di Banca d’Italia che ficca il naso nelle assicurazioni anziché nelle banche, ma comunque Banca d’Italia rimane, visto che il presidente è quel Salvatore Rossi che fa pure il direttore generale di Bankitalia

e spero per lui che lo paghino doppio.

Ora, alcune informazioni sull’augusta relazione ve le devo dare, ma non tanto sul noiosissimo mercato assicurativo, del quale al massimo si occupano i cervelloni del piano di sopra. Quanto su alcune speciosità che mi hanno fatto urlare al miracolo italiano. E cominciamo con la più spettacolosa: le polizze fantasma.

Esistono nelle brughiere contabili italiane polizze dormienti ormai fantasma la cui origine si perde fra le nebbie del detto e dimenticato o del non detto affatto, visto che gli italiani, popolo misteriosissimo, usano fare polizze a destra e manca senza che gli intestatari ne sappiano nulla. Ogni tanto questi misteri vengono rivelati, ma la gran parte rimangono nascosti e vengono semmai evocati nei racconti degli anziani ai più piccoli nelle notti buie e tempestose dell’inverno al caldo del focolare familiare.

Oggi il ruolo del contastorie è toccato al nostro direttore-presidente, che spero cumuli pure l’indennità da nonno, che ci ha fatto sapere che esiste un numero imprecisato di polizze fantasma che si aggira nei meandri dei bilanci assicurativi dal valore presunto di quattro miliardi – ma provateci voi a contare i fantasmi – che sta lì, ormai scaduto, e quindi passato a miglior vita,  e che ospita le anime morte di polizze mai pagate, e quindi insepolte, perché nessuno le ha richieste.

E perché mai? Chiede il nipotino. I beneficiari non sanno di esserlo, risponde paziente nonno Rossi, carezzando la testa bitorzoluta del nipote scemo che sarei io. Dal che deduco che potrei essere beneficiario di una polizza  – e magari pure ricca – e non saperlo. Potrei essere ricco e invece vivo a rate. Qui serve un aiuto specialistico.

Ora che il mio pomeriggio ha assunto il colorito azzurro della speranza,

posso passare al secondo miracolo: le assicurazioni rischiose.

Lo so che è chiedere molto alla perspicacia proponendo quest’ossimoro, ma non ho trovato di meglio da dire, visto che siamo l’unico paese al mondo in cui le assicurazioni guadagnano di più perché rischiano di più, ossia facendo il contrario di quello che dovrebbe fare un’assicurazione. Sentite che dice nonno Rossi, ora nelle vesti di presidente Ivass. Le assicurazioni italiane son “molto più profittevoli di quelle francesi e tedesche” anche per la “concentrazione dei loro investimenti nei titoli pubblici italiani, più redditizi perché giudicati più rischiosi dai mercati finanziari”. Insomma: le assicurazioni hanno in pancia 360 miliardi di investimenti in bond pubblici, su un totale di 810 miliardi di investimenti, di cui la gran parte sono italiani. Quindi siccome il governo italiano (quindi le nostre tasse) paga bene e puntualmente, ecco che le nostre compagnie ci investono e fregano i tedeschi, che magari comprano i bund a tassi negativi.

E a proposito di genio locale, concludo con l’ultimo miracolo del giorno, stavolta auspicabile. Draghi ne ha accennato parlando ai leader dell’Ue della nuova speranza nel progetto europeo. E mentre sollevava speranze, il nostro beneamato ha ricordato che per avere inflazione più alta – la missione della Bce – servono stipendi più alti. Quindi da noi serve più di un miracolo. Visto che prima dobbiamo trovare lavoro.

A lunedì.

Cronicario: Non capite il denaro? Ve lo spiega la Bce (in tutte le lingue)

Proverbio del 22 giugno Chi è esperto negli inganni non conosce pudore

Numero del giorno: 3.500.000.000 Costo stimato per lo stato italiano per banche venete

Money, get away cantavano i milionari rocchettari degli anni ’70, salvo poi intascarne a pacchi e continuare a farlo pure adesso grazie a royalties praticamente eterne. E a furia di cantare diventavano veri esperti della materia.

Ma voi/noi, che di soldi ne vediamo pochi, come facciamo a farcene un’idea chiara? Neanche il tempo di scrutarli e quelli fuggono fischiettando nel vento come diceva quell’altro milionario cantante che dicono tarocchi i discorsi per i Nobel. Ma il fatto è un altro: il fatto è che il denaro è una merce misteriosa. Anzi non dite che è una merce perché s’impenna tutta una polemica coi cartalisti che poi sono anche amanti del torchio eccetera eccetera.

Per tagliare la testa al toro, il Cronicario di oggi ha determinato di elevarvi dalla misera quotidianità, anche perché sennò dovrei raccontarvi che qualcuno ha stimato in 3,5 miliardozzi il costo della bad bank dove far confluire la spazzatura delle banche venete  e non voglio mettere la solita battuta facile.

vabbé l’ho messa. Come si fa a resistere?

Comunque dicevo che oggi il Cronicario vuole sollevarvi dalla misera quotidianità e fare opera di evangelizzazione sul denaro, illustrandovi tutti i perché e tutti i per come, approfittando di una roba messa on line dalla Bce che peraltro è stata tradotta in 24 lingue o giù di lì e aggiornato di recente. Perciò non avete scuse: leggetelo.

Ho capito che non vi interessa nulla della teoria ma siete interessati alla pratica. Ma anche lì la Bce può regalarvi bellissime soddisfazioni. Vi faccio un esempio. Proprio oggi è stato pubblicato l’ultimo bollettino che contiene alcune informazioni che mostrano come l’uso intelligente del denaro, a patto di conoscerne i segreti, sia fonte di grandi gioie. Almeno per le banche. Se foste una banca, ad esempio, anche voi avreste contributo alla vendita di quei 217 miliardi di euro di titoli di stato che le banche dell’EZ hanno scaricato nel bilancio della Bce fra la metà del 2015 e la fine del 2016 prendendo in cambio moneta sonante.

E se non siete ancora convinti, considerate che questo miracolo, noto alle cronache come QE, ha consentito al settore privato, quindi anche a voi, di far diminuire il suo debito sul pil dell’EZ dal 147% del 2009 al 139% del 2016, con sollievo notevole per i pagamenti, visto che i tassi sono crollati.

Uno si può anche stupire osservando che il Lussemburgo, che è un paese ricco, si sia liberato di più debiti di quanto abbia fatto la Grecia, che è un paese povero. Ma solo perché non ha letto le spiegazioni della Bce in tutte le lingue.

Cambio argomento ma solo perché voglio resuscitare la questione meridionale, o quella settentrionale se preferite, prendendo a pretesto i dati del pil italiano suddiviso per aree diffuso da Istat.

Adesso che avete dati freschi, scatenatevi sulla tastiera. Ma prima leggeteli però.

A domani.

 

Cronicario: Evviva la pensione, e chi non ce l’ha emigri

Proverbio del 21 giugno La necessità è madre di ogni invenzione

Numero del giorno: 2,1  Investimenti pubblici in % del Pil in Germania nel 2016

Ma io che gli ho fatto al mio paese, mi domando preda d’un vittimismo insensato – visto che a detta di tutti vivo nel paese più bello del mondo – che però mi cattura come un genio maligno appena mi capita sotto gli occhi l’ultima fatica dell’Istat che tratta della redistribuzione del reddito in Italia.

Che ci capite voi da questa tiritera? Io solo che vivendo in coppia con figli minori, a me il governo toglie molto più di quello che dà e perciò sono a rischio povertà. Perciò: ma che gli ho fatto io all’Italia?

Vabbé, mi consolo pensando che forse andrà meglio ai figli. Ma poi arriva Ocse e mi disillude.

Ora non dico che ambivo alla Norvegia, che spende quasi il 2% del sul pil per la cura e l’educazione dell’infanzia. Ma neanche ad essere il sestultimo con lo 0,4% suppergiù però. Poi dice che i figli crescono maleducati.

Mi arrovello e mi tormento quando d’improvviso mi capita sott’occhio una ricerca presentata dai consulenti del lavoro secondo la quale fra il 2008 e il 2016 oltre 500 mila italiani sono scappati all’estero, e vi faccio grazia dei 300 mila stranieri che hanno fatto la stessa cosa, confermando che chi non ha alle spalle un patrimonio familiare, o almeno una pensione, ormai piglia e ne va. Se ne vanno pure i pensionati, a dirla tutta. Si godono i soldi nei paesi che tassano e costano meno.

Dove? Solo quest’anno 20 mila hanno scelto la Germania, terra che attrae i nostri fin dai tempi dei Magliari. Gli altri oscillano fra GB e Francia. Ci penso sopra e mentre che cerco la valigia viene fuori che Banca Intesa ha fatto sapere che rileverà a un prezzo simbolico attivi e passivi delle banche venete, salvo la spazzatura tipo npl, obbligazioni subordinate e rapporti societari disfunzionali e quant’altro. E allora mi ricordo: in Italia non serve solo una pensione. Bisogna avere anche una banca.

A domani

 

 

Cronicario: Aiuto mi s’è ammosciato il commercio

Proverbio del 16 giugno Essere cortesi non vuol dire fuggire la lotta

Numero del giorno: 158.720 Richieste di sfratto in Italia nel 2016

E niente, sarà colpa della primavera, ma ad aprile s’è ammosciato il nostro commercio estero che rispetto al mese prima perde l’1,8% di export e lo 0,6% di import. Ci ha detto male il commercio extra Ue, dimagrito di 4,9 punti e un po’ meglio quello verso l’Ue, cresciuto dello 0,7, ma la congiuntura è stata bruttina. Senonché pure nel tendenziale – ossia il confronto su base annua – il nostro export è vagamente orrido.

Va un po’ meglio se confrontiamo il primo quadrimestre 2016 con quello del 2017. Ma il combinato disposto delle informazioni ci dice una cosa semplice: il nostro commercio s’è ammosciato ad aprile e potrebbe ammosciarsi di più in futuro. Il saldo commerciale di aprile, infatti, rimane positivo per 3,6 miliardi ma c’è la componente energetica a pesare: senza sarebbe stato 6,1 miliardi. Nei primi quattro mesi dell’anno i due saldi aumentano, rispettivamente, a 10,2 miliardi e 21,6, al lordo dei prodotti energetici e questo rimane il nodo principale dei nostri conti commerciali, malgrado compriamo in euro e a un prezzo del petrolio moderato.

Altro aspetto interessante, i nostri partner. L’Eurasia si conferma la nostra cassaforte di export, e l’Opec il nostro più esoso esportatore.

A penalizzare il nostro export è stata principalmente la minor vendite di autoveicoli e macchinari, mentre, in controtendenza col resto delle nostre esportazioni, è cresciuta la nostra domanda verso l’Opec. Caschiamo sempre su petrolio e gas.

Noiosetto eh? Ok cambio argomento. Anzi no: prima vi finisco di stroncare col commercio internazionale.

Che ci dice questo disegnino? Che nel 2017 il commercio estero cinese è tornato frizzantino, ma soprattutto che sono cresciute parecchio le importazioni cinesi dall’Ue mentre ad ammosciarsi stavolta è toccato all’export Usa verso la Cina. In generale sembra che i cinesi comprino di più all’estero e questo fa il paio con quello che dicono i sapientoni, ossia che i cinesi stanno imparando a spendere i loro soldi (o almeno a portarli all’estero).

Per concludere in bellezza ancora un paio di cosette da Eurostat. La prima: la crescita del costo del lavoro. Notate la differenza fra i rumeni e i finlandesi e poi spiegate a vostro figlio piccolo cos’è l’Ue.

La seconda, sempre made in Eurostat, è il dato annuo sull’inflazione, confermata all’1,4% a maggio. Confrontate l’inflazione estone con quella irlandese, e poi dimenticate quello che pensate di sapere sull’Ue.

A lunedì.

 

 

 

 

 

Cronicario: Neanche Weidmann ci toglie il sorriso, figuratevi la Fed

Proverbio del 14 giugno Non è mai tardi per fare qualcosa di buono

Numero del giorno: 46 Aumento % traffico dati mobile in Italia nel 2016

L’estate sta arrivando e un anno di lavoro se ne va. Sto diventando grande (è pure il mio genetliaco) e in fondo mi va, perché ho deciso di invecchiare felice. E perciò in questo giorno di gioia neanche le intemerate del cattivissimo Weidmann riescono a togliermi il buonumore.

Come chi è Weidmann? Davvero non lo conoscete? Eccovelo qui in tutta la sua teutonica bellezza.

No, non è un modello. Di mestiere fa il banchiere centrale e peraltro sta a capo della Bundesbank, la banca centrale più cattiva dell’universo centrale, che già nel secondo dopoguerra cazziava tutti e se infischiava dei governi. La mamma della Bce, insomma.

Capite perché molti lo vedano al posto del nostro amato Supermario, una volta che lui finirà il mandato.

E che vuole Weidmann? Le solite cose: lo ripete a ogni pie’ sospinto. Vuole che la Bce smetta di largheggiare col denaro – quella roba astrusa che si chiama QE – e non vuole che passi inosservato qualsiasi espediente – tipo quella roba degli European Safe Bond – che punta a mutualizzare il debito europeo. Attenzione: non è che il boss della Buba dica di essere contrario a condividere i debiti. Dice che dobbiamo sapere quello che stiamo facendo, ammettendo persino che “non sono le banche centrali a poter mettere l’economia su un percorso di crescita forte”.

Supero Weidmann in scioltezza, perché il buonumore mi porta là dove splende il sole, e in particolare dalle parti di Eurostat che lancia due buone notizie di fila. La prima:

la produzione industriale cresce dello 0,5% su base mensile e dell’1,4% su base annuale. Per il migliore dei mondi possibili in cui viviamo (quello del pil) è una buona notizia. La seconda è una sorta di corollario.

Nel primo quarto del 2017 ci sono 234,2 milioni di europei che hanno un lavoro, secondo Eurostat “il più alto livello mai registrato”. L’occupazione è cresciuta persino da noi, che è tutto dire. E anche l’Ocse si è stupita osservando il dato del mese successivo, quello di aprile, con la disoccupazione in calo dello 0,4% “il calo più significativo” insieme a quello del Spagna dicono da Parigi. Sicché la disoccupazione adesso è arrivata all’11,1%.

Non vi basta tutto questo per essere felici. Allora beccatevi le banche venete. Stanno lavorando per noi. Niente bail in. Anche oggi ce l’hanno ripetuto. E faranno pure presto, così almeno ha chiesto anche il vice direttore di Bankitalia Panetta. Quindi

Poi ci sarebbe la notizia che uscirà stasera, quella che ormai tutti sanno come andrà a finire, con la Fed ad alzare ancora un pizzico i tassi e qualcuno che si preoccupa. Ma se non riesce Weidmann a intristirmi, figuratevi se ci riesce la Yellen.

A domani.