Caccia al tesoro dei fondi pensione e delle assicurazioni
In un mondo dove prevale l’eterogenesi dei fini, è buona prassi interrogarsi sulle conseguenze non intenzionali di scelte – al contrario – non soltanto volute ma serratamente perseguite. Decisioni sistemiche che diventano esistenziali e che solitamente non occupano la nostra attenzione finché non si trasformano in coordinate reali della nostra vita.
E’ già accaduto più volte e il copione si sta ripetendo. L’unione monetaria è diventata un tema popolare solo dopo l’esplodere della crisi, e quella bancaria solo quando, entrata in vigore la normativa sul bail in, le persone comuni hanno scoperto che la moneta bancaria in comune cambiava antiche consuetudini – la socializzazione delle perdite bancarie ad esempio – e ne hanno sofferto le conseguenza non appena si sono verificati alcuni problemi con le banche.
Lo stesso accadrà non appena l’Europa completerà l’ambizioso progetto che è stato chiamato Capital Market Union (CMU), che ormai da mesi sta sviluppando una narrativa purtroppo ancora confinata nel recinto del sapere specialistico, ma in costante e coerente evoluzione.
Grande protagonista di questo racconto è la Commissione Ue, che rilascia continuamente documenti che temo siano letti da pochi, fra i quali segnalo un action plan diffuso alla fine del settembre scorso, e, più di recente, un altro approfondimento pubblicato in aprile in cui vengono svolte alcune analisi, relative al mercato finanziario europeo, delle quali una in particolare ha attirato la mia attenzione, visto che calcola l’impatto sul mercato dei capitali europeo dei fondi pensioni privati e dei fondi di riserva delle pensioni pubbliche. La qualcosa ha interesse non solo perché ci dà la misura di come questi investitori – i cosiddetti investitori istituzionali – impattino sui mercati europei, ma soprattutto – ed è qui che il discorso diventa interessante – come potrebbero contribuirvi in un’ottica di unificazione dei mercati di capitali.
Queste risorse, pare di capire, potrebbero essere utilizzate per ottimizzare la capacità finanziaria dell’economia europea. Dal che deduco che queste entità, custodi di tesoretti di milioni accumulati dai lavoratori nel corso della loro carriera, saranno chiamate a contribuire di più e meglio alla finanza europea e scovo in questa strategia un pensiero perfettamente coerente con lo spirito del nostro tempo: poiché la finanza è malata, dobbiamo fare più finanza per farla guarire. L’eccesso, come cura dell’eccesso: vale d’altronde per la liquidità e i debiti, perché non dovrebbe valere per gli strumenti finanziari che in fondo sono l’una e l’altra cosa insieme? L’esempio americano, che è la pietra di paragone costante dell’analisi della Commissione Ue, è chiaramente ciò a cui dobbiamo tendere perché giudicato, in ultima analisi ottimale. Peccato sia soggetto a guasti, di tanto in tanto.
Staremo a vedere. Intanto è utile ricordare i dati presi a prestito dall’analisi. Alcuni grafici aiutano a dimensionare il problema. Il primo dà una metrica dell’ammontare di questi asset disponibili. Assicurazioni e fondi pensioni cumulano insieme quasi 10 trilioni di euro. Per la precisione sono 9.300 miliardi, dei quali la maggior parte, pari a 7.300 miliardi, sono in pancia alle assicurazioni. E’ utile sapere che queste ultime investono assai più in bond che in fondi di investimento (circa il doppio) mentre i fondi pensione hanno la politica opposta, quindi privilegiano i fondi di investimento. Il secondo grafico ci misura il peso specifico rispetto al Pil di queste entità nei singoli paesi.
E’ proprio questo tesoretto l’oggetto del desiderio dei nostri decisori. Il pensiero è che, in un contesto di unione dei capitali, queste risorse potrebbero essere usate con maggiore efficienza per dare ossigeno agli investimenti e al mercato dei finanziamenti. Cosa comporterebbe per i legittimi proprietari di queste risorse, però, è tutto da vedere.
(1/segue)