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L’alba del secolo americano dell’energia
Figurarsi il futuro è esercizio prediletto delle persone dotate di grande immaginazione che, insospettabilmente, si annidano anche all’interno di blasonatissime organizzazioni tutt’altro che frivole. La complessità della nostra realtà, d’altronde, sembra sia fatta apposta per fornire alimento alle visioni di costoro, pudicamente definiti analisti, che con grande sussiego tentano l’impossibile: osservare il futuro a uso del presente. Ci sarebbe da sorridere di questo sforzo estenuante, se non fosse tremendamente serio. E lo dimostra il fatto che queste previsioni si aggiornano ogni anno generando grandi suggestioni che fluttuano aeree su grandi masse concrete di dati. E sono queste ultime a suscitare l’interesse maggiore degli osservatori come noi. Il futuro germina dal presente, ma è quest’ultimo che ha dignità di cronaca, appartenendo il resto al variopinto mondo delle opinioni, la cui maggiore o minore fondatezza dipende proprio dall’accuratezza della base dei dati a cui vengono riferite. In tal senso la lettura dell’ultimo World energy outlook dell’IEA è sicuramente fonte di grande ispirazione, visto che l’Agenzia raccoglie e ordina con grande accuratezza i dati del mercato energetico mondiale. Giocoforza le sue osservazioni sulle possibili evoluzioni del settore energetico diventano degne di attenzione elevandosi quasi al rango di previsioni fondate. Tanto più come quando, in occasione della recente edizione 2017, si individuano trend globali che l’Agenzia è convinta caratterizzeranno sempre più il futuro per la semplice circostanza che stanno già caratterizzando il presente, uno dei quali riguarda la crescente importanza della produzione statunitense nel mercato del petrolio e del gas. Gli Usa sono diventati da un pezzo i maggiori produttori del mondo e solo la nostra costante distrazione ci impedisce di cogliere la portata straordinaria di questa rivoluzione.
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La lunga marcia dell’esercito dei robot
Come in un brutto film di fantascienza, l’armata dei robot marcia verso il futuro con i suoi arti meccanici e il suo cervello di sicilio, appena raffinato dal pensiero artificiale che promette di diventare intelligenza, e con ciò rendere gli umani definitivamente superflui. Costoro, gli uomini, guardano attoniti quest’esercito che sembra inarrestabile, domandandosi cosa mai sarà di ognuno di loro. Ossia di noi. Saremo finalmente liberi dalla schiavitù del lavoro, grazie alla fatica di questi sub-umani meccanici, o si prepara per l’uomo un’altra forma più sottile di sottomissione? Gli scrittori di distopie sono all’opera, e lo sono da più di mezzo secolo, da quando la fiction ha iniziato a inglobare l’uomo artificiale nelle sue trame. Diversamente, i modesti osservatori della realtà devono accontentarsi di affastellare numeri e storie per provare a comprendere questa rivoluzione davvero storica che sta investendo le nostre società. Comprendere il dove, il come, il quando, il perché e il chi: le famose domande base del buon giornalismo che sono state cancellate dalla pratica sensazionalistica e dalla ricerca compulsiva di un’attenzione sterile e superficiale. Tutto il contrario di quello che facciamo qui su Crusoe. E per capire la rivoluzione dei robot, dobbiamo ripartire proprio dalle domande fondamentali.
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La crescita inarrestabile del debito delle famiglie
Le famiglie non hanno smesso di accumulare debiti. Anzi, la montagna del debito privato che fa riferimento a questa categoria sociale è cresciuta, come ha notato il Fmi nel suo ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria. Una tendenza che da una parte trova alimento nell’innovazione finanziaria e dalle condizioni vantaggiose di alcuni classi di prestiti – i mutui per esempio – conseguenza delle politiche monetarie accomodanti messe in campo nell’ultimo decennio dalle banche centrali. Ma conseguenza probabile anche della crescita stentata dei salari, della quale ci siamo occupati nell’ultimo numero di Crusoe, che trova nell’aumento dell’indebitamento un meccanismo di compensazione che serve in molti casi a tenere in piedi la contabilità familiare. Ma qualunque siano le ragioni, che ovviamente possono essere molteplici, il fatto rimane: “Globalmente il debito delle famiglie ha continuato a crescere nell’ultimo decennio”. E chi ricorda un po’ di storia, sa bene che all’origine della crisi Usa del 2008, c’era proprio il debito immobiliare delle famiglie subprime. Segno evidente che la storia insegna poco.
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Il business del XXI secolo: Total entertainment
Ci troviamo a vivere in un mondo paradossale, che chiede sempre meno lavoro a fronte della necessità di un reddito crescente. Il progresso tecnico ha messo fuori mercato diversi mestieri, liberando insieme milioni di ore che prima erano dedicate al lavoro, e contemporaneamente ha alzato il costo del biglietto che dobbiamo pagare semplicemente per essere cittadini del nostro tempo. I nostri padri, per fare un esempio, dovevano pagare una sola bolletta del telefono. Oggi in una famiglia, ogni persona ha la sua, e in più bisogna pagare una connessione per l’abitazione, acquistare diversi dispositivi e buona parte dei contenuti che propongono. Vivere è più caro non perché beni e servizi costino di più, anche se magari in molte casi accade, ma perché ci sono più cose da pagare rispetto appena a venti anni fa. Chi ha qualche capello grigio ne converrà.
A fronte di questo, si è liberata una quantità di tempo che fino a un secolo fa sarebbe stato inimmaginabile. Non solo perché gli orari di lavoro si sono ridotti notevolmente. Ma anche perché, crescendo l’età media, si è allungata l’età di ingresso nel mondo del lavoro e sono aumentati gli anni in cui si sta in pensione. Le società occidentali sono popolate da un numero enorme di persone che – letteralmente – non fa nulla, che, pure qui, non ha precedenti nella storia. Una condizione che J.M.Keynes, in uno scritto degli anni ‘30, aveva immaginato e che già allora gli sollevava diverse preoccupazioni. Nessun governo dovrebbe sottovalutare l’impatto del tempo libero su una popolazione, aveva ammonito.
L’economista inglese non poteva certo immaginare che l’industria del tempo libero, la vera innovazione del XX secolo, avrebbe assunto da lì a un trentennio le dimensioni che ne fanno oggi una delle più importanti arene nelle quali i grandi capitalisti si confrontano per l’egemonia. Oggi, che esistono milioni di persone che – letteralmente – non fanno nulla, occupare il loro tempo intrattenendoli è autenticamente l’affare del secolo. E anche qui le nuove tecnologie sono il campo di battaglia.
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La (quasi) riscossa dell’acciaio europeo
La tenue ripresa europea sembra giovi al mercato continentale dell’acciaio, almeno secondo le ultime rilevazioni diffuse di recente da Eurofer, l’associazione dei produttori europei che proprio la settimana scorsa ha indetto L’European steel day, l’edizione 2017 dell’appuntamento che i produttori dedicano a illustrare le sfide che attendono il settore.
Ma è evidente, come sanno i lettori di Crusoe che ricordano l’approfondimento dedicato all’acciaio che abbiamo pubblicato nel numero 13, che non è solo, o almeno non solo, la sostenibilità ambientale il problema di fondo della produzione europea. La questione principale rimane sempre la stessa: la sua sostenibilità economica, in contesto internazionale di grande competizione con i paesi emergenti – Cina in testa – e gli Usa, dove la nuova amministrazione ha fatto capire chiaramente di voler intervenire pesantemente, e soprattutto il grande problema della sovracapacità di produzione, da tempo all’attenzione di Ocse per i rilevanti effetti che provoca sull’economia internazionale.
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Il nuovo numero di Crusoe: La fine del denaro a costo zero. Grazie a @FabioGhironi per la splendida Chat
Questa settimana Crusoe racconta di come il mondo si stia preparando alla fine di un’epoca durata più di sette anni: quella del denaro a basso costo, per non dire a costo zero. Ormai la normalizzazione monetaria della Fed è iniziata e sembra avviata a proseguire con altri due rialzi di tassi quest’anno, e questo dà occasione al Fmi, che ha presentato questa settimana il suo rapporto sulla stabilità finanziaria globale, di proporre alcuni approfondimenti che riguardano la sorte dei paesi emergenti, da un lato, e la sempre più difficile tenuta del sistema finanziario di fronte a tassi di interesse che ancora sono molto bassi, dall’altro. La normalizzazione dei tassi di interesse è insieme auspicata e temuta, non solo da banche e intermediari, ma anche dai governi, che comunque dovranno gestire imponenti stock di debito, accumulato in conseguenza della crisi, con un costo crescente. La Chat di questa settimana con Fabio Ghironi (@FabioGhironi) è piena di straordinari spunti di riflessione che va dall’evoluzione del dibattito macroeconomico ai tormenti del commercio internazionale all’epoca di Trump. Soprattutto è un accorato appello a recuperare la dimensione della responsabilità individuale, che è la chiave non solo della nostra rinascita economica, ma soprattutto di quella sociale e civica. La lettura consigliata di questa settimana è il Fiscal monitor del Fmi, che contiene un approfondimento molto interessante sul rapporto fra sistema fiscale e produttività. Come sempre chiudono la newsletter i fatti della settimana selezionati da Crusoe e le notizie invisibili, quelle che trovi solo qui. Buona lettura. Ci rivediamo il 21 aprile.
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