Le metamorfosi dell’economia: La convertibilità del tempo

L’economia, fin dai tempi di Aristotele e probabilmente anche da prima, si è occupata della moneta giudicandola come l’espediente che le società avevano trovato per facilitare lo scambio di beni e servizi. Poiché è difficile capire quanto del bene A corrisponda al bene B, usiamo lo schermo monetario per prezzare l’uno e l’altro, e così facendo scopriamo il prezzo monetario relativo dell’uno nei confronti dell’altro. Se un chilo di pane costa cinque euro e una matita un euro, vuol dire che una matita paga 200 grammi di pane o, il che è lo stesso, che un chilo di pane compra cinque matite. E siccome non è detto che abbiate 200 grammi di pane a disposizione per comprare una matita, il fatto che disponiate di un euro facilita la vostra acquisizione. Tutto qua. A bene vedere l’economia cosiddetta monetaria è una raffinata forma di baratto.

Se la moneta è l’intermediario – almeno limitatamente alla sua funzione di mezzo di scambio e unità di conto – ciò che conta ai fini dello scambio sono i beni e i servizi che tali scambi motivano. Sappiamo che ogni bene scambiato incorpora anche una certa quantità di lavoro per essere prodotto, ossia di tempo dedicato alla produzione. E perciò quando scambiamo un bene per moneta, non facciamo altro che convertire il tempo incorporato in quel bene con denaro. Il tempo, quindi, è già stato reso convertibile. Solo che al momento è convertibile solo in moneta ufficiale.

Ciò non vuol dire che dobbiamo limitarci a questo. Se quando scambio beni e servizi in fondo non faccio che scambiare tempo sotto forma di moneta, nulla vieta che si possa immaginare una convertibilità del tempo più ampia, che insieme alla moneta ufficiale generi altri facilitatori degli scambi – ossia sostanzialmente crediti – che chi spende il suo tempo in un’attività utile può utilizzare all’interno di un circuito che tale credito accetta a saldo delle sue transazioni. In tal modo la nostra moneta esistenziale – ossia il tempo – finisce col coincidere con la moneta sociale, che tale tempo prezza in beni o servizi.

Sistemi contabili che usano il tempo invece della moneta per regolare gli scambi, vi parrà strano, ma esistono già. Chi conosce le banche del tempo avrà già imparato ad apprezzare in pratica ciò che qui appare astrusamente teorico. Ciò che fanno le banche del tempo è squisitamente semplice: una persona deposita tempo – che incorpora una particolare competenza professionale e quindi un’utilità – e preleva tempo altrui, sotto forma di altre competenze che le abbisognano. Quindi se siete scrittori potete, ad esempio, depositare tre ore al giorno del vostro tempo. E se qualcuno ha bisogno della vostra capacità di scrittura può prelevarle. In cambio voi potete prelevare tre ore di qualche altro, magari un giardiniere che vi sistemi il portico.

Solitamente nelle banche del tempo le ore hanno valore uguale. Quindi le attività si equivalgono per valore. Lo scopo è evidente: il tempo, reso convertibile in servizi, viene scambiato senza bisogno di una moneta. Come vedete le economie a-monetarie esistono già, solo che sono piccole e poco osservate. Ma si basano su alcuni principi che l’Economia 2.0 non dovrebbe sottovalutare: la condivisione, il riconoscimento del valore del tempo come costituente del valore del lavoro, l’inerenza all’economia reale degli scambi, l’impossibilità di capitalizzare lo strumento dello scambio – ciò che nell’economia 1.0 si chiama moneta – e, in un qualche modo, la gratuità.

L’esempio della banca del tempo dovrebbe aiutarci a capire che si può immaginare di andare oltre. Pensiamo ad esempio a un sistema in cui le preferenze individuali espandano ulteriormente le possibili fonti di servizi – capace insomma di creare nuove competenze non ancora censite ma che siano già possedute da qualcuno – ed esista un’organizzazione che sul modello della banca del tempo le raccolga e le metta a sistema secondo una logica di compensazione. Si può arrivare al punto – e dovrebbe essere il meno – che chiunque lavori per altri aderenti al sistema riesca, senza bisogno di vendere il suo tempo sul mercato del lavoro, ad avere di che vivere dignitosamente.

Gli esempi possono essere infiniti. Ma a fare la differenza, rispetto a una normale banca del tempo, è che il sistema deve essere in grado di fornire non solo servizi, ma anche alcune forme di beni. Il tempo, insomma, deve essere pienamente convertibile. Un’ora di lavoro deve equivalere a un’altra sia che io fornisca lezioni di inglese, sia che io produca pane. E’ sufficiente che i beni siano prezzati in tempo, e non più in moneta. E che gli aderenti al sistema abbiano una qualche forma di interesse a parteciparvi. Ad esempio un incentivo fiscale. In tal senso lo Stato può contribuire al sistema, ma senza intervenirvi direttamente, salvo che nell’ambito dei suoi doveri di prenditore e controllore della legalità.

A ben vedere usare il tempo come moneta per lo scambio di beni e servizi è semplicemente un atto di chiarezza. Esiste già, per dire, la paga oraria. Ma è evidente che sarebbe utopistico pensare che l’economia del tempo soppianti completamente quella monetaria. Secoli di storia non trascorrono invano. E neanche sarebbe utile. Non serve rinunciare alla moneta ufficiale. Può essere utile affiancargliene un’altra che faccia cose estremamente diverse, ma che condivida uno dei fini della moneta ufficiale, aumentando, facilitandoli, gli scambi.

Far funzionare questo doppio sistema, di conseguenza, vuol dire avere più possibilità di scambiare beni e servizi. Quindi aumentare il potere di scambio e, in sostanza, far crescere l’economia, che non è altro che la somma di queste transazioni. Disporre della moneta del tempo gioverebbe moltissimo anche all’economia monetaria, innescando quei processi moltiplicativi che le teoria macroeconomica contrabbanda da circa ottant’anni.

Soprattutto, affiancare all’economia del tempo una sua moneta significa restituire dignità alle persone, che non hanno semplicemente bisogno di un salario, ma innanzitutto di avere rispetto di se stesse. Lavorare secondo le proprie inclinazioni è il miglior modo per esprimersi. E poiché lavorare, in un’economia di scambio, è necessario, dovremmo ambire a lavorare come se non stessimo lavorando, quindi senza fatica e pena, ma con piena soddisfazione, al netto delle inevitabili seccature. Nell’Economia 2.0 non basta avere un reddito. Serve un lavoro di cittadinanza.

(26/segue)

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Un Commento

    • Maurizio Sgroi

      salve,
      il fatto che nessuno impedisca a nessuno di scambiarsi tempo non vuol dire che non si possa immaginare un sistema – come infatti in parte è stato fatto – dove lo scambio del tempo sia talmente istituzionalizzato da divenire consuetudinario e insieme alternativo O complementare) a quello dell’economia monetaria.
      quanto al subdolo, sinceramente non capisco.
      ma grazie comunque per il commento

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      • share economy

        il subdolo sta nella dicitura “talmente istituzionalizzato” che nasconde appunto che state proponendo non l’invenzione di una cosa che già esiste come voi stessi ammettete ma semplicemente il suo controllo e annientamento attraverso appunto un sistema istituzionalizzato cioè la fine di quella libertà

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      • Maurizio Sgroi

        salve,
        rispetto la sua opinione, ma non è quello che propongo. le istituzioni non sono un vessazione della libera iniziativa, ma servono proprio a favorirla e promuoverla.
        grazie per il commento

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      • Nico

        Buongiorno,
        mi perdoni se la correggo, lei avrebbe dovuto dire….le istituzioni DOVREBBERO favorire la libera iniziativa e non promuovere favoritismi, attualmente la fiducia dei cittadini nelle istituzioni e’ al 53% il minimo storico dalla proclamazione della Repubblica…
        Buona giornata

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      • Maurizio Sgroi

        salve,
        il problema è che siamo abituati a pensare le istituzioni come quelle rappresentate dalla politica. tecnicamente un’istituzione è un’organizzazione che ha certi scopi e certe regole di funzionamento. Anche il terzo settore, di cui ho accennato in un capitolo precedente, è formalmente un’istituzione. Lei ha ragione quando dice che i cittadini hanno scarsa fiducia nelle istituzioni. Io aggiungerei, in alcune istituzioni.
        grazie per il commento

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  1. share economy

    per sgroi,
    non precisando di che tipo di istituzioni si parli non si può in effetti rispondere. ecco perché l’articolo sembra “subdolo”…non si capisce quale istituzione debba controllare una cosa che è già è nella libertà dei cittadini (scambiarsi il tempo).

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  2. blik

    le istituzioni non sono contro la libera iniziativa? allora non si capisce perché nascono tutti questi mondi “paralleli” alla disperata ricerca di libera iniziativa ovviamente. e non si capisce perché i giovani scappino da paesi socialisti che sono buoni e bravi e vicini ai poveri e vanno nei paesi capitalisti che dovrebbero essere brutti e cattivi per definizione. è ovvio che c’è qualcosa che non quadra. forse la verità è un’altra.

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    • Maurizio Sgroi

      Salve,
      Come ho avuto modo di sottolineare si tende a confondere le istituzioni con la loro manifestazione più nota, ossia a quelle che si sono realizzate all’interno del perimetro dello stato. Ma mentre tutto ciò che è stato e’ un’istituzione non tutto ciò che può essere istituzione deve essere stato. Anche i mercati lo sono per fare un esempio. E anche un’associazione fra privati può esserlo.
      Grazie per il commento

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  3. blik

    Qualunque istituzione nasce per impedire e non per favorire altrimenti non avrebbe senso farla nascere. La differenza sta solo nella furbizia o stupidità di chi gestisce le cose e quindi è in grado di farle girare o di distruggerle. Due cittadini che si scambiano tempo sono un mercato ma non sono una istituzione perché il rapporto finisce alla fine dello scambio.

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    • Maurizio Sgroi

      Salve,
      Quindi lei crede che l’istituzione mercato borsistico – esempio fra i tanti – sia nato per impedire e non favorire gli scambi. distinguere mercato da istituzione perché nel primo “il rapporto finisce alla fine dello scambio”, come lei dice vuol dire pure che il matrimonio, – altro esempio fra i tanti – dove mi pare ci sia un continuo scambio di tempo è un mercato ma non una istituzione. Opinioni rispettabili entrambi ma sulle quali non concordo.
      Grazie per il commento

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      • blik

        l’istituzione non nasce per favorire una cosa ma per gestirla e confinarla entro un ambito tenuto sotto controllo. non favorisce gli scambi ma la stabilità del sistema. tale stabilità viene confusa appunto come se fosse una agevolazione del mercato mentre in realtà è il contrario. è proprio diminuendo gli scambi che si raggiunge una maggiore stabilità e al tempo stesso una eccessiva stabilità distrugge il mercato stesso perché a quel punto non si muove più. anche l’istituzione del matrimonio riduce e sfavorisce gli “scambi” per raggiungere una stabilità sociale maggiore.

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      • Maurizio Sgroi

        salve,
        lei confonde lo strumento con le finalità. le istituzioni sono uno strumento. le finalità le decidono le persone. che siano il controllo per garantire la stabilità è possibile, ma è possibile anche il contrario. ma lo strumento rimane neutro.
        grazie per il commento

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  4. altor (@OccupyCoscienza)

    A mio avviso, tutti gli strumenti vengono strumentalizzati. (semplicistico)
    La natura umana, per quanto varia, non semplifica l’Esistenza ed anche quando si cerca di valorizzarla si finisce con lo sfruttarla. Gli esempi citati sopra, portano in mente due esempi di come, bene o male, si evolvono.
    Il primo sarebbe(ro) la profusione di Cooperative incentivanti, varie. (bene)
    L’atro sarebbe(ro) le organizzazioni criminali e includo anche le banche.
    Mentre lo Stato mette lo zampino nel primo esempio (strumentalizzazione) si fa mettere le zampe addosso, dal secondo. (corruzione, collusione ecc….malissimo)
    Se non erro, lei proporrebbe un “nuovo” Contratto Sociale, Meritocratico e Egalitario per un piú inclusivo “Common Good” per prevenire fughe verso il basso per evitare “underground” ed illeciti “businesses”. (Mercati Neri di tempo, denaro, ecc.) Forse mi sbaglio, ma sbagliando imparo, anche dai criminali…se non ci scappa il morto, io…:)))
    Ho avuto il piacere di vedere e sentire di parlare/discutere John K. Galbraith, spesso in “scontri” intellettuali, civilissimi. (Quando la TV “informava/educava”)
    Era un vero “patrimonio culturale” negli USA e per il Canadà, dove nacque.
    Piú che di Dx o Sx, mi sembrava un “Anarchico Sociale”, un gentile gigante, “servo” della Democrazia. Cosa direbbe ora? Lui, un fervente credente che l’Economia non può essere separata dai sistemi politici e sociali nei quali era incastrata.
    Oggi paghiamo l’oltranza fatta a quella “veritá”! Non di certo un “Liberista” – R.I.P.!

    Sig. Sgroi, lei é docente, insegna? La trovo tra le voci Italiane piú pure, tra quei 5 o 6 che scorrazzano Finanza/Economia su Twitter ecc. interessati piú alla politica che a teorie econ. e con tanto di EGO! (forse mi sbaglio di nuovo…”LEGO”?…altri tipi di “incastri”! LOL
    Grazie!

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    • Maurizio Sgroi

      salve,
      non sono un docente, ma un eterno discente. cerco di imparare dove posso, e restituire agli altri come posso: tutto qua. ma il lavoro di docente lo trovo molto bello, chissà che prima o poi nella vita non capiti di fare un’esperienza. nel frattempo scrivo qui le mie trovate sperando di fare cosa utile. quindi sono lieto che il mio faticoso lavoro trovi il suo apprezzamento. sto pensando a come farlo evolvere per stringere ancor più i rapporti con i lettori, e trasformarlo in un’attività a tempo pieno. ma, come al solito, bisogna pur mangiare nel frattempo.
      forse parlare di nuovo contratto sociale è un po’ esagerato. io sto cercando di immaginare un’evoluzione nel nostro stare insieme che migliori ciò che abbiamo già e sia capace, al tempo stesso, di assicurare un rinnovato benessere alle nostre povere (ricche) società. per questo ho sviluppato l’idea di lavoro di cittadinanza (https://thewalkingdebt.org/2016/05/25/le-metamorfosi-delleconomia-il-lavoro-di-cittadinanza/) che avvia il libro verso la sua conclusione.
      anche a me piace galbraith: è stato un ispiratore di molti dei miei pensieri e nelle mie metamorforsi dell’economia, ormai quasi al termine, tale debito viene ampiamente riconosciuto. sto pensando di raccoglierle in volume e provare a pubblicarle, ma qui in italia non ti pubblicano se non sei qualcuno. sicché pensavo a un’edizione estera, ma dovrei tradurle in inglese e non sono capace. se ha tempo e voglia e le è piaciuto il libro, ci faccia un pensierino.
      in ogni caso la ringrazio per il commento

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