Lezioni indiane sulla cittadinanza (e la finanza) digitale
Poiché pochi dubitano della circostanza che il futuro del mondo passi da quello dell’Oriente, dovremmo prendere l’abitudine di scrutare le cronache che lentamente, ma con crescente assertività, stanno componendo il secolo asiatico che purtroppo spesso rimangono inosservate o frettolosamente archiviate da noi occidentali, ancora in fregola di supremazia, malgrado l’accidia e i capelli bianchi.
Il problema semmai è riuscire a individuare, in quel tanto che succede, le linee sottili che compongono la fisionomia di questo secolo orientale, che con molta probabilità finiranno col diventare il futuro anche per noi occidentali distratti dal futile al punto da aver smarrito il senso dell’utile.
E poiché il discorso qui inizia a farsi lungo, meglio prendere una scorciatoia e segnalare subito un bel paper della Bis che illustra molto bene la rivoluzione finanziaria in corso in India. Ed essendo la finanza un fatto squisitamente politico, parliamo anche di una rivoluzione sociale, che passa inevitabilmente dal Grande Driver di questi cambiamenti: la tecnologia. Tutto si tiene, ovviamente. E in Oriente ancora di più, per una serie di motivi che non serve riepilogare qui.
Meglio concentrarsi sui fatti. E il primo è che l’India fin dal 2009 è impegnata in un progetto di identità biometrica di massa – Aadhaar programme – che in un decennio ha contribuito parecchio a cambiare il panorama dei servizi, rappresentando uno dei pilastri dell’iniziativa delle autorità per aumentare – ad esempio – l’inclusione finanziaria. Che questo porti con sé un aumentato livello di controllo non deve stupire: fa parte della visione asiatica, che ormai si è estesa all’Occidente liberale (di una volta), l’idea di scambiare la propria libertà – concetto che poco ha di orientale – con una maggiore connessione al sistema per le più svariate ragioni. La sicurezza, ad esempio. Ma anche avere accesso a un sistema dei pagamenti digitali può essere un ottimo incentivo.
E questo probabilmente è il caso dell’India. Qui mezzo miliardo di adulti ha aperto un conto corrente fra il 2011 e il 2017, colmando quindi in parte quel gap che ancora rimane ampio fra i paesi dove avere un conto corrente rappresenta una normalità e quelli – segnatamente quelli più poveri – dove ancora non lo è. Abbiamo già visto altrove che assicurare una maggiore inclusività finanziaria è uno degli obiettivi del FinTech, non a caso molto diffuso in Africa.
Si calcola che nel mondo ci siano ancora 1,7 miliardi di persone senza conto corrente. Ciò, oltre ad essere segno di povertà economica, rappresenta anche un universo di consumatori potenziali che rimane fuori dall’economia globalizzata. Per dirla semplicemente: questi consumatori potenziali devono entrare nel sistema per contribuire a farlo funzionare bene.
Torniamo in India. Insieme al programma Aandhaar, il primo del suo genere al mondo, il paese ha infatti sviluppato “diverse piattaforme digitali innovative, costruite come beni pubblici”, spiega la Bis. “Ogni piattaforma risolve una singola esigenza come identità, pagamenti o condivisione dei dati. Messe insieme, queste piattaforme creano una potente pacchetto di applicazioni”. Il tutto – e questo è il punto “politico” – è stato fatto all’interno del sistema regolatorio vigente. Quindi sotto il controllo dei poteri pubblici, che includono non solo il governo, ma soprattutto la banca centrale.
Questo pacchetto di applicativi “rafforza l’innovazione privata nel settore fintech, supportando mercati aperti, liberi e contestabili nella finanza digitale”. In questo modo “il settore ufficiale ha creato un sistema di pagamenti caratterizzato innanzitutto dall’interoperabilità”. L’identità digitale, ad esempio “non solo ha notevolmente aumentato l’inclusione finanziaria, ma ha anche offerto procedure robuste contro il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo”.
Ricapitoliamo: un sistema governativo identifica il cittadino, per adesso su base volontaria, quindi lo “spinge” verso l’utilizzo di applicazioni di diversa natura alcune delle quali, sviluppate dal settore privato e disegnate sotto la sorveglianza delle autorità monetarie. Queste app aggiungono alla qualifica di cittadino digitale, quella di soggetto economico digitale, ossia capace di assumere obbligazioni ed esprimere domanda di consumo di beni o servizi. E alla fine tutti vivono felici e contenti. Se solo fosse una favola.
(1/segue)