La globalizzazione emergente. La riscossa delle rotte di terra

La vicenda del blocco di Suez ha indotto molti osservatori a sottolineare i numerosi punti di fragilità che insistono sulle rotte marittime internazionali, sulle quale “scorre” oltre il 90% del commercio globale, ostaggio non solo di colli di bottiglia noti, ma anche di un’infrastruttura economica che in occasione – o a causa – della pandemia ha mostrato limiti evidenti che hanno finito col ripercuotersi sui prezzi del trasporto merci.

Secondo i dati diffusi dagli osservatori agli inizi dell’anno i costi dei noli, determinati dalle politiche di blank sailing – riduzione o cancellazione di servizi di trasporto che finiscono col provocare l’aumento delle tariffe – sono cresciuti notevolmente. Si parla addirittura di un aumento del 300% di quelli fra Asia ed Europa settentrionale, ossia la rotta che stava facendo la portacontainer incagliata a Suez.

A ciò si aggiunga la carenza di container vuoti. Il blank sailing, spiegano, “riducendo i viaggi riduce anche i ritorni dei contenitori privi di carico”. Il che genera altre tensioni lungo la catena logistica.

In questo contesto si comprende perché i produttori cinesi abbiano fatto maggior ricorso alle rotte di terra l’anno passato. I trasporti terrestri lungo l’Eurasia tramite ferrovia, secondo quanto osservato da Ispi, sono aumentati del 50% l’anno passato, Ma se si confrontano con il 2016, il dato è ancora più notevole: si parla di un incremento di sette volte.

Non è certo una novità. Come abbiamo già osservato altrove, da tempo è in corso una attività molto sostenuta per riesumare le vecchi rotte terrestri che attraversano l’Eurasia che per secoli sono state le grandi protagoniste dei commerci fra Asia ed Europa prima che la scoperta delle rotte atlantiche e l’evoluzione tecnologica determinata dalla navigazione d’altura, nel secolo XV, provocasse il loro tramonto.

Non a caso la Bri cinese fa riferimento a queste vecchie vie della seta che attraversavano il continente dalla Cina fino a Roma. Esistevano già da allora anche rotte marittime, ovviamente, che replicavano in parte quelle di oggi, pure se con i notevoli limiti della tecnologia marittima di allora. La Cina partecipava a questi traffici e lo ha fatto fino a quando l’imperatore Ming, intorno a metà del XV secolo, non vietò l’utilizzo di navi da altura di fatto isolando il paese dalle rotte internazionali.

Oggi la Cina si trova non solo a sponsorizzare una serie di rotte terrestri, che trovano solidarietà non solo nelle popolazioni centro-asiatiche, che grazie a queste rotte hanno prosperato nel passato, ma soprattutto nella Russia, che “sovrintendendo” geograficamente la grande massa euroasiatica, e nella Turchia che vuole interpretare il ruolo di terminal verso l’Europa. E questo spiega perché la cronaca riporti sempre più frequentemente di progetti ferroviari che nascono e nuove spedizioni di treni da Oriente a Occidente. Alcune compagnie di trasporto, secondo quanto viene riferito, starebbero seriamente pensando di spostarsi dal mare al treno, visto che la maggiore onerosità di quest’ultimo viene compensata dai minori tempi di spedizione e in parte dall’aumento dei costi delle spedizioni marittime.

Da qui a dire che le rotte terrestri soppianteranno quelle marine, però, il passo è molto lungo. Anche la Cina lo sa perfettamente, al punto che la sua Bri include anche una maritime silk road che ricalca di fatto quella di mezzo millennio fa e somiglia a quella che attualmente viene percorsa dagli spedizionieri.

La riscossa delle vie di terra, tuttavia, si può dire sia cominciata. Che riesca a diventare una reale alternativa a quello su mare è improbabile. Ma mezzo millennio fa nessuno avrebbe scommesso sul contrario.

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