Il futuro asiatico del gas russo
Diciamolo semplicemente: i russi hanno un problema col gas. Diciamolo meglio: i russi hanno un problema con l’Europa che finisce col provocare un problema col gas. Russia ed Europa, infatti, condividono ancora molti rapporti commerciali basati sul gas che però risentono sempre più delle tensioni politiche – il caso Ucraina ad esempio, dove passa molto del gas russo diretto in Europa – e delle preferenze crescenti (almeno a parole) dell’Europa verso le fonti rinnovabili. E per quanto il gas sia più pulito del petrolio, rimane sempre una risorsa fossile.
La storia dell’ultimo ventennio racconta di questo problema e dei tentativi fatti per risolverlo. E il fatto che le prospettive di mercato per il gas russo in Europa siano sempre meno incoraggianti, al netto di certe stagionalità che tirano al rialzo il prezzo del gas, lo conferma l’andamento della domanda, che per quanto ancora sostenuta si prevede stagnante se non addirittura in ribasso.

Le principali destinazioni del gas russo in questa parte dell’Europa sono Germania, Italia e Turchia, con la prima ormai ad assorbire quasi un quarto dell’export russo in quest’area, oltre ad incarnare il ruolo di paese di transito del gas russo nel resto dell’Europa, un po’ come la Turchia. Non a caso entrambi in entrambi paesi sono stati sviluppati gasdotti: Nord stream per la Germania, con il Nord stream 2 ancora in attesa di essere completato e al centro di numerose liti internazionali, e Turkstream per la Turchia, che dovrebbe portare il gas russo anche nella zona sudorientale dell’Europa.

Il grande protagonista di questi giochi è Gazprom, ovviamente. L’azienda gestisce gran parte delle esportazioni russe di gas, potendo contare su una notevole rete di infrastrutture sulle cui capacità di utilizzazione non si riesce ancora ad avere una visione ampia, per quanto se ne conoscano per grandi linee le dimensioni.

Rimane il problema: il futuro delle esportazioni di gas russo in Europa rimane instabile, esposto com’è ai capricci della geopolitica – il recente riavvicinamento fra Usa e UE potrebbe essere la pietra tombale per le ambizioni commerciali russe – e della transizione energetica. Le ultime previsioni dell’IEA contenute nel World economic outlook individuano il picco del consumo di gas russo in Europa già raggiunto nel 2019 e un calo costante del 5% fino al 2030. Un atterraggio morbido, insomma, ma comunque un atterraggio, che certo non invoglia i russi a puntare sull’Europa come mercato del futuro.
Il futuro, d’altronde, è sempre più asiatico. anche per il gas, a quanto pare. Anzi, cinese. Pechino infatti ormai è la Grande Speranza per il gas russo. E a Mosca lo hanno detto con chiarezza presentando il gasdotto di Altai che offrirà gas estratto dai campi della Siberia occidentale alla Cina occidentale. All’inizio i cinesi sembravano poco interessati, ma si è arrivati comunque ad annunciare, nel dicembre 2019, l’avvio del gasdotto Power of Siberia, che dovrebbe raggiungere una capacità produttiva di 38 miliardi di metri cubi di gas entro il 2025, portando al 15% l’export russo di gas in Cina. Altri gasdotti sono stati proposti a Pechino, per portare energia nella parte nord-orientale della Cina, dove la domanda di gas è alta. Ma questo “Power of Siberia 2” ancora non è stato pianificato.
In compenso la Russia, seppure con lentezza, ha saputo realizzare alcuni progetti di successo che coinvolgono il gas naturale liquefatto (LNG), partendo da quello organizzato nella penisola di Yamal che si collega al grande progetto della rotta artica. Ne abbiamo già parlato, ma forse un promemoria non farà male.
(4/segue)
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