Perché l’inflazione Usa spaventa più di quella Ue

Osservare da vicino gli sviluppi del movimento inflazionistico che sta terremotando il mondo, e in particolare quello che non era più abituato ad averci a che fare, è un ottimo esercizio per provare a indovinare come cambieranno di conseguenza molte cose che davamo per scontate. La tolleranza delle banche centrali per un certo andamento dei prezzi, per dirne una.

Peraltro tale osservazione ravvicinata, di recente svolta dalla Bce nel suo bollettino economico, conferma quanto avevamo già intravisto in precedenti analisi, ossia la maggiore virulenza dell’accelerazione dei prezzi negli Stati Uniti rispetto all’Ue. I motivi sono diversi e già discussi, ma vale la pena tornarci sopra, forti dei nuovi dati usciti nel frattempo, che sono una semplice conferma dei trend.

Cominciamo dai primo: l’andamento inflazionistico complessivo in Europa e negli Usa. I grafici sotto sono aggiornati al secondo semestre 2021 e sono leggibili le diverse componenti.

Il 7% dell’indice dei prezzi al consumo statunitense, in crescita di 5,5 punti rispetto a gennaio 2021, si confronta col +5% europeo, in aumento del 4,1% rispetto a gennaio.

Pure al netto delle componenti energetiche, il dato è superiore ai target. Infatti la componente energetica ha pesato 2,2 punti negli Usa e 2,5 nell’area euro, dove peraltro anche a gennaio l’inflazione compessiva ha proseguito la sua accelerazione (+5,1%). I grafici sotto illustrano gli andamenti inflazionistici al netto di energia e cibo.

Come si può osservare , la componente inflazionistica che dipende dalla cosiddette strozzature negli approvvigionamenti è ancora molto elevata, specie negli Usa. Mentre in Europa ha pesato la riduzione temporanea dell’Iva in Germania.

Negli Stati Uniti, inoltre, ha influito molto l‘andamento degli affitti, che hanno una notevole importanza nel paniere inflazionistico americano, mentre le strozzatura sul lato dell’offerta hanno aumentato i prezzi delle auto, nuove e usate, le componenti delle auto, gli arredi e le attrezzature per la casa. Insomma: abitare, mangiare, muoversi (in auto) negli Usa: tutto è diventato più caro, e neanche di poco: “I prezzi di questo gruppo di articoli sono aumentati vertiginosamente durante il secondo trimestre del 2021 e, dopo un breve allentamento, hanno ripreso slancio nell’ultimo trimestre del 2021”, scrive la Bce. Per dare un’idea: solo i prezzi delle auto hanno avuto un peso di 1,6 punti sull’indice.

Questa drastica accelerazione dei prezzi, in componenti fondamenti per la vita di tutti i giorni, non poteva che generare tensioni al costo del lavoro, già surriscaldato da un ripresa del ciclo economico più avanzata di quella europea:: il pil pre-crisi in Europa è stato recuperato solo nel quarto trimestre 2021, mentre negli Usa nel secondo. Questo contribuisce a spiegare perché il costo del lavoro statunitense, al netto dei fattori istituzionali che lo distinguono dall’Ue, sia aumentato nel secondo semestre 2021 molto più che in Europa.

E spiega anche perché si guardi con maggiore preoccupazione agli sviluppi statunitensi. Se c’è un candidato alla spirale salari/prezzi, quello sta oltre Atlantico, non qui da noi. Infatti le previsioni, per quanto siano attendibili – negli ultimi trimestri sono risultate sempre sottostimate – stimano l’inflazione Usa al di sopra del 2% per un tempo assai più lungo di quanto non prevedano in Europa.

E questo spiega la conclusione. “Il grado di incertezza sulle prospettive per l’inflazione sembra essere molto più ampio per gli Stati Uniti che per l’area dell’euro”. Incertezza che è un veleno per l’economia. E per la banca centrale.

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