L’Italia non ha un problema di spesa pubblica. Ne ha due

La recenti disavventure dei fondi Pnrr, che non è ben chiaro che fine faranno, ci ricorda una elementare verità contenuta nel grande libro del debito pubblico che però si legge solo se lo si guarda in controluce. Che il debito dipenda anche dalla gestione della spesa pubblica è chiaro a tutti, infatti. Meno che la spesa pubblica, volendo semplificare, si divida in spesa corrente e spesa in conto capitale. Questo vuol dire che se un paese ha un problema di spesa pubblica molto probabilmente ne ha due.
Prendiamo il nostro caso. L’Italia da anni non riesce ad esprimere una spesa efficiente sul versante degli investimenti. Prima perché – così almeno racconta la vulgata – non c’erano le risorse. Magari dimenticando la quantità di fondi europei che perdiamo ogni anno. Poi perché la stessa insipienza di molte delle nostre pubbliche amministrazione mette a rischio un paio di centinaia di miliardi sempre di provenienza europea. Peraltro smentendo un’altra annosa vulgata, ai confini del pensiero magico, secondo la quale se arrivassero tanti soldi risolveremmo tutti i nostri problemi.
Che sarebbe pure vera, questa affermazione, se fosse riferita al secondo problema che abbiamo, sul versante della spesa pubblica: quello delle spesa corrente. Consumiamo una grande quantità di risorse correnti, e tuttavia sembra non bastino mai. Peggio ancora, sembra non ci portino da nessuna parte.
Proviamo a dirlo semplicemente: se l’Italia fosse un’automobile, la spesa corrente sarebbe rappresentata da copertoni e benzina, ossia ciò che serve per farla camminare. Noi spendiamo moltissimi soldi per far camminare un’automobile che, pur consumando molto, cammina male e ci fa viaggiare in modo poco confortevole, proprio perché nel tempo non abbiamo investito ciò che serviva – problema di incapacità a spendere risorse – per tenere in ordine il motore e la carrozzeria.
Questo duplice problema, restando sempre al nostro esempio, ci porta alla conclusione che spendiamo molto per fare pochi chilometri. Siamo come un’auto d’epoca tenuta male. Bella, costosa e scomoda.
Fuori dall’esempio, bruciamo molte risorse ma produciamo poco pil. L’esempio del superbonus è abbastanza eloquente e non ha bisogno di altri commenti. Peggio ancora: sembra che siamo del tutto privi della consapevole che una spesa in conto capitale generi una spesa corrente. Se investendo mi compro un’altra auto, devono comunque garantirle benzina e copertoni che aumentano ciò che spendo per queste voci. Fuori di metafora: non basta fare un ponte, per essere felici: poi bisogna mantenerlo in efficienza spendendo ogni anno quel che serve. Cosa che tendiamo a dimenticare.
Avere una spesa pubblica corrente costantemente insufficiente e poco efficace significa produrre servizi scadenti e soprattutto costringe le autorità a spostare costantemente l’attenzione su questo versante della spesa trascurando quello degli investimenti. Per il quale, peraltro, non basta avere risorse disponibili, ma serve anche capacità di spesa: quindi di pianificare e gestire procedure complesse. Quindi personale in grado di fare questo lavoro. Ma se non si investe sulle persone, poi non si riesce ad investire i soldi quando è necessario. Insomma: uno dei tanti circoli viziosi nei quali ci agitiamo.
Avere due problemi sul versante della spesa pubblica genera il terzo: il debito pubblico. Che cresce non solo perché aumenta la spesa, ma anche perché non aumenta – o aumenta poco – il prodotto il cui tasso di crescita dovrebbe più che compensare il costo medio del debito per evitare l’effetto snowball, ossia la “palla di neve” che per pura inerzia fa aumentare lo stock del debito.
Questa situazione non ha soluzioni facili. Non c’è alcuno slogan che possa risolverla. E anche l’idea che basti avere tanti soldi per risolvere i problemi è fallace, come mostra il caso Pnrr.
Forse è più utile, con molta umiltà, ammettere le nostre difficoltà e, senza metterci in croce da soli, provare a risolverle facendo appello a un comune senso di responsabilità e a uno spirito collaborativo. Vaste programme.