Il lungo inverno del mercato immobiliare

Chi ha comprato ha comprato, si potrebbe dire mutuando il vecchio detto, a proposito del mercato immobiliare. E oggi si trova semmai a dover gestire un debito inflazionato e una rata del mutuo altrettanto, se ha avuto la saggezza di scegliere il tasso fisso. E d’altronde con i tassi pressoché a zero è difficile immaginare chi abbia voluto scegliere tassi variabili – che potevano solo crescere – a meno che non si entri nel misterioso mondo dei mutui esotici concessi a debitori incerti, diciamo così.

E poiché chi ha comprato ha comprato, e ormai comprare non è più conveniente, visto che l’euforia ha fatto salire per anni il corso degli immobili e adesso la depressione causata dall’inflazione sta facendo salire i tassi, ecco che il mercato prepara il suo inverno, con prezzi non certo in caduta libera, ma in deciso regresso sicuramente si.

Il Fmi, nel suo Global financial stability report di aprile scorso parla di domanda “congelata”, con prezzi delle case in calo nel 65 per cento delle economie emergenti, nel terzo quarto del 2022, e nel 55 per cento di quelle avanzate. Tendenze che i trimestri più vicini a noi hanno confermato e che difficilmente si invertiranno nel breve periodo. Anzi il Fondo calcola un 5 per cento di probabilità di cali del 7 per cento dei prezzi nei paesi avanzati nel prossimo triennio, e addirittura del 19 negli emergenti. Un lungo inverno, insomma.

Peraltro, proprio le economie con una quota elevata di tassi variabili, osserva il Fondo, “hanno registrato alcuni dei maggiori declini nei prezzi reali”: E il fatto che vengano citati come esempi la ricca Svezia e la assai meno ricca Romania ci dice tutto quel che si deve sapere sugli opposti estremismi del debito facile.

Questi scenari vanno presi come sempre con giudizio. Ci sono diversi fattori all’opera per mitigare i rigori della brutta stagione. Ad esempio l’offerta di abitazioni, che in alcune economie rimane insufficiente, o le difficoltà a costruire, retaggio della pandemia. Peraltro il Fondo stima che molti risparmiatori dispongano ancora di risorse finanziarie capaci di neutralizzare gli aggiustamenti di prezzo. Ma si tratta di ragionamenti astratti, che vanno verificati caso per caso.

I fatti puri e semplici ci dicono che in alcuni paesi come Belgio, Francia, Corea e Svezia il debito delle famiglie è molto cresciuto dal 2019 in poi. E ci dicono inoltre che l’esposizione delle banche al mattone è maggiore nei paesi avanzati che in quelli emergenti. Le due cose insieme congiurano per generare calo dei consumi, da una parte, e stretta creditizia. In sostanza minore crescita.

Di fronte a una situazione del genere il buon senso suggerirebbe prudenza. Non bisogna né creder troppo alle previsioni, né ignorarle. E soprattutto limitarsi a guardare i dati.

Uno, in particolare, che riguarda non le case per le famiglie, ma il settore degli immobili commerciali. Il Fmi ha calcolato che le transazioni globali sono diminuite del 17 per cento rispetto alle rilevazioni di un anno prima, con un picco del 26 per cento in Nord, Centro e Sud America, del 30 in Europa e del 18 nella regione Asia-Pacifico. Qui, dove il debito è tanto e la sensibilità all’andamento dei tassi tantissima, l’inverno è già arrivato. E fa molto freddo.

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