Etichettato: quanti sono i debiti nel mondo

L’irresistibile avanzata dell’asset management

Per quanto tendiamo a dimenticarlo, a fronte dell’incredibile montagna di debiti che il mondo ha cumulato esiste, uguale e contraria, una montagna di crediti che in quanto tale, richiede di essere gestita per originare rendite.

Quest’attività, che ormai ha generato un’industria globale, del tutto al di fuori del circuito bancario tradizionale, ormai è diventata una delle componenti fondanti del sistema finanziario, tanto che il Fmi, nel suo ultimo Global financial stability report, ha reputato necessario dedicarle un approfondimento, limitandolo peraltro solo a un segmento: l’asset manegement.

In particolare, nel settore non vengono inclusi i fondi pensione e le compagnie di assicurazione, comprendendo quindi genericamente i veicoli di investimento come i mutual funds, gli exchange traded funds, i money market funds, i private equity funds e gli hedge funds.

Bene, questa pletora di intermediari, che lavorano al fresco dello shadow banking gestiscono masse di risorse ormai per 76 trilioni di dollari, pari al 100% del Pil mondiale. Se vi sembra una cifra eccezionale, considerate che stiamo parlando solo del 40% del totale degli asset finanziari che girano per il mondo, che quindi possiamo quotare circa 190 trilioni di dollari, circa il 250% del Pil mondiale.

Il fatto che il Fmi si occupi dell’asset management, al di là dei valori assoluti che pure son rilevanti, dipende dalla circostanza che queste entità, insieme con i numerosi e dichiarati vantaggi che derivano dal loro operare, rappresentano anche un notevole rischio sistemico.

I più vecchi ricorderanno il disastro provocato dal crack del Long Term Capitale management nel ’98, uno di quegli hedge fund, che tuttora rappresentano una piccola quota dell’asset management, circa il 3% del totale, senza che ciò impedisca loro di mettere a repentaglio il sistema globale.

Se guardiamo ai dati storici, si può notare come la straordinaria crescita di quest’industria si sia concentrata sostanzialmente nell’ultimo decennio. Ancora nel 2002 l’asset management gestiva meno di 40 trilioni di dollari, a livello globale. Ma già dall’anno successivo l’industria conobbe il primo boom, portandosi quasi a 50 trilioni.

Nel 2007, anno del picco prima della crisi, le masse gestite sono arrivate a 70 trilioni, per poi crollare poco sopra 50 nel 2008.

Ma la crisi ha fatto bene all’industria. Nel 2009 il totale era già superiore ai 60 trilioni e da lì, salvo un leggero ritracciamento nel 2011, la crescita non si è più fermata. Fino ad arrivare all’ultimo dato disponibile, relativo al 2013, di 76 trilioni. Oggi saranno di sicuro di più

Il Fmi nota anche come gran parte di questo sviluppi, nell’ultimo decennio, sia stato concentrato nelle economia avanzate. Da soli, Canada, Germania, Irlanda, Giappone, Lussemburgo, Stati Uniti e Regno Unito hanno masse gestite per oltre 25 trilioni, nel 2012.

Interessante anche notare come il 41% di questa montagna di denaro sia investito in prodotti finanziari plain vanilla, ossia a strutturazioni standard e non esotica, per lo più tramite l’adesione con mutual funds open end, a fronte di un altro 36% che invece viene gestito privatamente con  separate accounts.

Il Fmi nota inoltre come l’attività di queste entità, e in particolare dei mutual funds, sia fortemente cresciuta dopo la crisi. E al contempo come questo abbia aumentato anche i rischi per la stabilità finanziaria. E basta una semplice constatazione per capire perché: “Al momento – spiega il Fmi – gli asset gestiti dalle più grandi compagnie di asset management sono grandi quanto quelli gestiti dalle grandi banche e mostrano simili livelli di concentrazione”.

A questo livello è assai facile fare danni. Anche i prodotti plain vanilla, che pure dovrebbero rassicurare per la loro semplicità, “sono esposti a rischi di liquidità”, nota il Fmi. Quanto al settore più rischioso, basta ricordare oltre al già citato caso LTCM, il comportamento di alcuni fondi monetari all’esplodere della crisi del 2008.

Ma, aldilà delle tecnicalità, che pure abbondano, sono le relazioni pericolose delle compagnie di asset management a suscitare l’attenzione del Fmi. Queste ultime (AMCs) sono in larga parte (16 su 25 top AMCs) possedute dal banche e assicurazioni, ossia dall’altra metà del cielo del sistema finanziario e, come nota il Fmi “le implicazioni sulla stabilità di questi accordi sono poco chiari”. A cominciare dalla circostanza che i fondi raccolti dai gestori, in assenza di norme apposite, possono essere utilizzati come veicoli per il funding della banche “parenti”. Ossia una raffinata elusione del rischio di trasformazione, inerente alla tipica attività bancaria, che si indebita a breve e presta a lungo, facendolo passare per un gestore di fondi, che si indebita a lungo.

Non a caso “i mutual funds sono il più importante provider di finanziamenti a lungo termine per le banche negli Stati Uniti”.

Come si vede, la linea di confine fra banche ombra e banche normali si assottiglia, quando i volumi delle transazioni crescono. In questo raffinato gioco delle tre carte è chiaro chi vince.

Noi di sicuro no.

 

 

 

 

 

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I debiti nel mondo superano quota 100 trilioni di dollari

La Storia, in fondo, si compone di piccoli momenti. E quando gli storici di domani arrancheranno cercando di capire la follia del nostro tempo, di sicuro si imbatteranno in questo dato che è davvero storico. Nel senso che mai eravamo arrivati così in alto: 100 trilioni di dollari. Ovvero 100 mila miliardi di dollari. Sto parlando del livello globale di debiti, ossia obbligazioni, che girano intorno al pianeta. Che quindi equivalgono a 100 trilioni di crediti.

Mai il mondo ha conosciuto un livello di ricchezza così elevata. E neanche di debiti così alti.

Se considerate che secondo gli ultimi dati della Banca Mondiale il Pil del mondo del 2012 è stato di circa 74 trilioni, pure al netto dell’approssimazione, viene fuori che il mondo ha un rapporto debito/pil intorno al 138%. Se fosse solo debito pubblico ne verrebbe fuori che noi italiani siamo quasi virtuosi. Ma nella montagna ci stanno tutti: stati, cittadini, imprese, banche. Il debito coatto non risparmia ormai nessuno.

Prima di confondervi con gli zeri, che sono davvero troppi, soffermatevi a riflettere sul fatto che quantità siffatte di solito albergano nell’infinitamente grande – le distanze stellari, ad esempio, – o nell’infinitamente piccolo. Si stima, ad esempio, che 100 mila miliardi sia il numero di cellule presenti nel corpo di un adulto di stazza media. I trilioni di carta che girano per il mondo, perciò, s’iscrivono di diritto nella categoria degli assurdi reali. Ossia di cose che ci dicono esistano, ma di cui è assai difficile trovare una prova. Dobbiamo fidarci. Ossia avere fede in quello che ci dicono. E d’altronde se non ci fidassimo, tutti questi debiti non potrebbero camminare per il mondo. Diverrebbero evanescenti.

Fidiamoci dunque. E poiché il dato arriva dalla Bri, che ha raccolto una serie di statistiche in un pregevole articolo del suo ultimo quaterly report, dobbiamo concedere a questo dato una fiducia rafforzata. Contempliamolo. Immaginiamo di camminare su questa montagna di debiti che mai potrà essere ripagata, e che si contenta di perpetuarsi al semplice scopo di rafforzare il dominio di chi questi debiti può esigerli. Ossia i creditori. Facile soffrire di vertigini.

Ma la vera vertigine è un’altra. Se la guardiamo da un punto di vista politico, un livello di debito così elevato autorizza un corrispondente esercizio del potere da parte di chi questi crediti li detiene. Il potere dei creditori, insomma, si esalta al crescere dei debiti. Così come le misure che possono mettere in campo per esigerli.

Detto in parole ancor più chiare, al crescere dei debiti aumenta il livello di tirannia nel mondo. Questo però la Bri non lo dice.

Se tralasciamo le considerazioni morali, che pure dovrebbero essere all’origine del ragionare economico (Adam Smith era un filosofo morale, lo ricorderete), rimane solo da contemplare esterrefatti la montagna di debito che solo nel 2001 valeva “appena” 40 trilioni e che in poco più di un decennio è più che raddoppiata.

In particolare, la massa debitoria aggregata, che era 70 trilioni nel 2007, è arrivata a 100 nel 2013. Quindi in sei anni è cresciuta quasi quanto era cresciuta nei decenni antecedenti al 2001.

Se non è storia questa…

Scopriamo, guardando i dati disaggregati, che il grosso di quest’esplosione di debiti si deve alle amministrazioni pubbliche, che dal 2008 in poi hanno dovuto moltiplicare le emissioni di bond per tappare le falle aperte dai debitori privati nelle varie banche. Con la conseguenza che sul totale stellare (o cellulare, fate voi) di 100 trilioni, circa la metà sono debiti pubblici. Per essere precisi, parliamo di 43 trilioni di dollari, cresciuti dell’80% rispetto al 2007.

E scopriamo in questa storica socializzazione delle perdite private la sostanziale acquiescenza degli stati ai desiderata dei creditori che, come ci insegna sempre la storia, scrivono le cronache, compresa questa che state leggendo. E’ pressoché impossibile sfuggira alla tirannia del creditori. Troppo ampia è l’ipoteca che hanno acceso sulla Storia.

Chi sono gli investitori che hanno assorbito gli ingenti volumi di nuove emissioni? Secondo gli studiosi della Bri, ben 27 trilioni di titoli di debito erano detenuti da investitori non residenti, che pesano quindi circa il 25% sul totale delle consistenze globali. il resto, quindi circa il 75% era riconducibile a investitori nazionali.

Anche questa è una delle conseguenza della crisi. Gli investimenti transfrontalieri, vuoi a titolo di riserva o di semplice investimento di portafoglio, si sono contratti del 29%, facendo sospettare a molti studiosi che sia in conrso una processo di profonda revisione della pratica dell’integrazione finanziaria che ha guidato gli albori del XXI secolo. Ma potrebbe pure essere una circostanza momentanea, come pure lascia ipotizzare il fatto che il grosso della contrazione negli investimenti transfrontalieri l’abbia vissuta la zona euro.

Già: la disponibilità transfrontaliera di titoli di debito dell’eurozona, a fine 2012, era di circa il 47% del totale, circa dieci punti in meno rispetto al picco del 2006. E lo stesso è accaduto nel Regno Unito. Sicché è  toccato agli investitori nazionali sottoscrivere questa montagna di debiti, sperando che gli stati ce la facciano a reggere la ripida pendenza.

Al contrario è accaduto per i titoli di debiti americani che in gran parte sono finiti in mano a investitori esteri. La stessa cosa è accaduta per i titoli di debito emessi da prenditori delle economie emergenti. La quota totale in mano agli investitori esteri è salita al 12%, il doppio del 2008. E’ su quest’ultima montagnola di debiti che adesso si è acceso il faro degli investitori, sempre più preoccupati che i paesi emergenti non riescano a rispettare i patti.

Ma per adesso la resa dei conti è lontana.