Italia a stelle e strisce contro l’eurodepressione

Per sfuggire all’eurodepressione mi sono rifugiato negli Stati Uniti, concedendomi qualche ora di lettura dei loro dati economici più recenti. Lo spunto me l’ha fornito il discorso, pubblicato sul sito della Fed di Boston, di Eric S. Rosengren
President & Chief Executive Officer, dal titolo impegnativo: Monetary policy and financial stability.

Il succo delle 13 cartelle e della mole di grafici allegati al discorso è molto semplice: gli Usa, anche se lentamente, stanno uscendo dal tunnel della crisi grazie al vasto programma di acquisti di asset da parte della banca centrale (85 miliardi di dollari al mese fra titoli di Stato e obbligazioni immobiliari).

Provenendo pro domo propria, l’analisi della Fed di Boston può sembrare interessata e forse lo è. Però i dati parlano chiaro.

Secondo le stime fatte dalla Fed, tanto per fare un esempio, ogni 500 miliardi di acquisti fatti dalla Fed ha abbassato per un quarto di punto il tasso di disoccupazione. Quindi tale spesa origina in media circa 400.000 posti di lavoro. Per la cronaca,le ultime previsioni della Fed stimano che, nel 2013, la disoccupazione americana sarà intorno al 7,5%, ancora un punto in più rispetto all’obiettivo fissato dalla banca centrale.

Per deduzione, possiamo calcolare che se la Fed acquisterà altri 2.000 miliardi nei prossimi mesi, quindi entro i prossimi due anni, l’obiettivo della disoccupazione al 6,5% sarà raggiunto più o meno a metà 2015. In quel momento, se del caso, inizierà l’exit strategy della banca centrale, con tutte le conseguenze di cui abbiamo già discusso in un atro post.

Altri dati rafforzano l’opinione che i benefici della strategia espansiva della banca centrale americana stiano dando i primi corposi risultati. Con una premessa: a dispetto dei pessimisti, che temono impatti superinflattivi, l’inflazione americana è ferma all’1,2%, ben al di sotto del target previsto.

In cambio i risultati sono evidenti. Oggi la borsa americana ha superato il suo record di sempre, che risaliva al 2007. E sempre oggi il dipartimento del commercio ha modificato al rialzo (0,4% anziché 0,1) le stime di crescita americane per il quarto trimestre 2012.

Se non vi basta, il presidente della Fed di Boston fa una ricognizione del mercato immobiliare che, se pur lontano dai valori di bolla del 2007, mostra chiari segni di ripresa con prezzi e transazione in crescita dappertutto.

Il “viaggio” in America ha spiegato i suoi effetti sul mio umore fino a quando, stamane, non è uscito l’ultimo Economic outlook dell’Ocse. Ancora una volta l’eurodepressione ha avuto il sopravvento. Già dal titolo: l’economia globale sta migliorando, ma l’Europa rimane indietro.

Ci risiamo. Dal sole nascente dell’economia americana al tramonto incipiente dell’eurozona. Per noi italiani, poi, il discorso è ancora più deprimente. L’Ocse stima che i primi due trimestri del 2013 saranno negativi: -1,6% il primo e -1% il secondo. Siamo l’unico paese del G7 ad ottenere questo risultato.

Siamo i peggiori della classe.

Persino la Francia, che pure è previsto chiuderà il primo trimestre in recessione (-0,6%) si riprenderà nel secondo (+0,5). Mentre a noi ci è già toccata una revisione al ribasso della stima del Pil per il 2013, da -1 a -1,3%, e Bankitalia ha detto pure che la crescita stimata del Pil per il 2014 (+1,4%) è sopravvalutata di un buon 30%. Questo mentre l’Istat, sempre oggi, calcolava che la lunga recessione italiana, iniziata sei trimestri fa, ha riportato il Pil al livello del 2000.

Tredici anni persi.

Questo mentre, sempre l’Ocse notava con rinnovata preoccupazione che “c’è una rinnovata divergenza tra la crescita in Germania e quella degli altri Paesi”. Già. Mentre noi franiamo, le previsione dei primi due trimestri 2013 per la Germania sono di un +2,3 e un +2,6%. Un risultato che compete con quello del Giappone, previsto un +3,2% e un +2,2% per i due prossimi trimestri, e con gli Usa (+3,5% e +2%).

E lasciamo da parte, per amor di patria, gli altri dati sulla disoccupazione, che nell’eurozona svetta verso il 12% a fronte del 4% giapponese e di quello Usa che abbiamo già visto.

Poiché siamo in periodo pre-festivo, e quindi per qualche giorno il blog rimarrà chiuso, abbiamo pensato, dopo aver letto tutti questi dati, di regalarci una suggestione sulla quale riflettere fra una fetta di colomba e un uovo pasquale.

Poiché facciamo parte, anche se non sappiamo per quanto ancora, dei paesi avanzati, dobbiamo guardare ai migliori di noi per decidere del nostro futuro. I campioni li abbiamo visti: Germania, Usa e Giappone.

Lasciando da parte quest’ultimo, troppo distante da noi per una serie di ragioni (non ultima la ventennale deflazione), rimangono solo la Germania e l’America. A chi vogliamo somigliare?

Personalmente credo che nel nostro stato di Grandi Debitori, ricordo che abbiamo un saldo estero negativo del 30% sul Pil, un debito pubblico che sfiora il 127% del Pil e un debito privato crescente, sia nel nostro legittimo interesse inflazionare il debito, piuttosto che provare a deflazionarlo con l’austerità indotta.

L’America il suo debito lo sta già inflazionando, visto che i suoi tassi d’interesse a lungo sono sotto il livello di inflazione, e una volta che partirà la ripresa la crescita abbatterà anche il debito.

La Germania, al contrario, ha tutto l’interesse a mantenere il valore dei suoi crediti, che sono i debiti altrui, fra i quali i nostri.

Quindi la risposta dovrebbe essere automatica: usciamo dall’Ue e entriamo negli Usa. Potremmo diventare la 51° stella, come si auspicava per la Sicilia nel dopoguerra. 

Vu’ cumpra?

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