Le metamorfosi dell’economia: L’oligopolio dei monopolisti
I mercati dunque, con la loro mitologia così poco conosciuta, vengono indicati come il luogo dove la nostra vicenda economica deve sostanzialmente trovare il suo compimento. Una moderna agorà globale dove il diritto di cittadinanza si esprime nella costituzione materiale del consumo, che infatti ormai viene vissuto come l’atto più eminentemente politico di cui siamo capaci. “Si vota col carrello”, ripetono molti convinti pure di dire cosa arguta.
Peccato che gli stessi ignorino o vivano con indifferenza la circostanza che i mercati somigliano sempre più a circoli chiusi dove a fronte di pochi che fanno il bello e il cattivo tempo ci siamo noi, i cittadini-consumatori, in evidente confronto impari di fronte al quale non possiamo che soccombere. Una caduta dolce, tuttavia, accompagnata dalla pletora di oggetti inutili dei quali ci compiaciamo e con i quali riempiamo il vuoto di una condizione umana ridotta ormai al nostro stomaco. Senza più testa e col cuore inaridito, ci riempiamo la pancia e tiriamo la carretta un giorno via l’altro.
E’ in questa pratica routinaria che il mercato nasconde la sua ulteriore seduzione e le sue pratiche ingannevoli, che una semplice ricognizione servirà appena a tratteggiare, ma che pure dovrebbe bastare a comprendere con quanta prudenza dovremmo considerare quando ci dicono che il mercato è efficiente, che premia il merito, che è il migliore dei mondi – in sostanza – nel quale ci poteva capitare di vivere.
Il mercati, dunque, con la loro mitologia basata sui prezzi perfetti che significa miglior bene al miglior prezzo, e quindi garanzia di produzione efficiente grazie alla concorrenza.
Ai tempi di Smith, come sa chiunque abbia letto il suo apologo sulla fabbrica degli spilli, poteva avere senso pensare che la formazione del prezzo favorisse quei mercati capaci, in virtù della divisione del lavoro e della specializzazione, di essere maggiormente competitivi. In fondo se devo comprare spilli, che mi importa dove li producono? Uno spillo è uno spillo.
Ai tempi di Smith, infatti, le merci venivano considerate, anche per semplificare, sostanzialmente assimilabili. Ciò permise di sviluppare la teoria della perfetta concorrenza, visto che ci può essere competizione fra i produttori solo nella misura in cui i prodotti siano assimilabili. E se c’è concorrenza c’è formazione efficiente dei prezzi, ossia del miracolo che mette d’accordo tutti.
Gli antichi però non erano mica stupidi. Covava nei loro peggiori incubi quello del monopolio, ossia del produttore unico che col suo agire sconsiderato falsava il livello dei prezzi, implicando una remunerazione distorta dei fattori delle produzione e quindi, come in un’eco, la distorsione del meraviglioso equilibrio generale che sempre i mercati avrebbero dovuto assicurare.
Nel tempo il concetto del monopolio si è evoluto e si è raffinato generando anche vigorose reazioni istituzionali nella forma di legislazioni antitrust. Nei vari generi di monopolio che la teoria economia ha analizzato, due forme in particolare, mescolandosi, raccontano bene la nostra realtà: l’oligopolio e la concorrenza monopolistica. Torniamo alla nostra Treccani. L’oligopolio viene definito come una “forma di mercato che si caratterizza per un numero ridotto di imprese che producono un bene omogeneo e che fronteggiano una domanda formata da molti consumatori. L’ingresso di altre imprese è impedito dalla presenza di barriere all’entrata”. La concorrenza monopolistica viene definita come un “mercato che, pur presentando molte caratteristiche in comune con quelli di concorrenza perfetta, come, per esempio, la presenza di un numero elevato di imprese e di consumatori, la conoscenza completa e perfetta di ciò che avviene nel mercato, e la libertà di entrata e di uscita delle imprese, costituiscono tuttavia il luogo di produzione e di scambio di prodotti differenziati, non identici come avviene in concorrenza perfetta. Per i consumatori, i prodotti sono sostituti imperfetti”.
La situazione in cui noi ci troviamo a vivere somiglia invece a un mercato dove pochi producono beni teoricamente omogenei ma in realtà profondamente differenziati. Un oligopolio di monopolisti. Ossia la perfetta nemesi di ciò che la mitologia del mercato mette alla base della sua legittimità istituzionale.
Già Galbraith negli anni ’50 ne La società opulenta notava il sostanziale conformarsi dei mercati in regimi oligopolistici, sottolineando anche nella sua Storia dell’Economia che l’unico mercato che avesse una parvenza di concorrenza perfetta, quello agricolo, era stato praticamente distrutto dalla logica dei sussidi statali che ormai data quasi un secolo. Perché ciò che non si può dire, ma che risulta evidente, è che il mercato tutti lo amano, ma nessuno lo vuole, perché prevale negli operatori il desiderio di sicurezza economica, che motiva l’intervento statale.
Ai giorni nostri, quindi, i mercati si sono conformati secondo una logica oligopolistica, relativamente ai produttori, e in una logica di concorrenza monopolistica, relativamente ai prodotti. Per capirci: nessuno dice che vuol un’automobile. Dice che vuole comprare una particolare automobile. Il bene automobile è omogeneo, quanto alla sua categoria ideale, ma profondamente differenziato quanto alla sua manifestazione reale. Non a caso si investe così tanto in pubblicità. Il prodotto ormai coincide col marchio. L’apparenza dell’oggetto ha divorato la sua sostanza. E poiché ogni marchio è unico, e all’interno del marchio convivono prodotti unici, il nostro mercato somiglia a una concorrenza fra pochi monopolisti che devono investire, per differenziare i prodotti da quelli omogenei per categoria che producono altri, e fidelizzare – come si dice con una brutta parola – il compratore.
Nel nostro mercato, perciò, non è il semplice prodotto fisico l’oggetto dello scambio, ma il suo logo, ossia l’incarnazione di ciò che rappresenta. Non compro un telefono, compro un I Phone o un Samsung. E questo spiega bene perché la guerra sul copyright sia diventata uno degli elementi determinanti dell’evoluzione economica globale.
La personalizzazione dei prodotti è il capolavoro dei mercati e anche il sogno di ogni produttore, che automaticamente diventa un monopolista, con buona pace per Adam Smith, godendone i vantaggi, a cominciare dalla fissazione del prezzo che, in una logica di oligopolio, conduce fatalmente al cartello.
In questa deriva, che chissà quanto piacerebbe a Marx, l’economia di mercato esprime tutta la sua straordinaria potenzialità di generare ricchezza sostanzialmente a vantaggio dei produttori, visto che il consumatore non può godere i benefici della concorrenza classica, ossia il ribassare dei prezzi, mentre i lavoratori vengono messi in concorrenza fra loro per avere un posto, potendo contare su disponibilità sempre meno ampie di impiego. L’oligopolio monopolistico dei produttori, a fronte di una concorrenza dei lavoratori per avere un posto, non può che svolgersi a svantaggio di questi ultimi, come infatti le cronache si premurano di confermarci ogni giorno.
Questo però non è soltanto un problema. A ben vedere è anche un’opportunità.
(14/segue)