Cronicario: Spazio (fiscale), ultima frontiera per l’Enterprise
Proverbio del 24 novembre: Chi vuole tutto perde tutto
Numero del giorno: +0,6% crescita delle retribuzioni italiane in un anno
Verso l’infinito e oltre, come Buzz, l’eroe di Toy Story, o, meglio ancora: là, dove nessuno è mai giunto prima, sulle orme dell’Enterprise del capitano Kirk. Come preferite. Purché sia chiaro che lo spazio è davvero l’ultima frontiera dove lanciare lo scassato vascello dell’economia globale.
Ma non quello spazio. Lo spazio fiscale.
Oggi il ruolo di fionda tocca all’Ocse, da tempo pioniere dell’espansionismo fiscale (per chi può permetterselo ovviamente) che ormai ha contagiato tutti, dopo che l’allentamento monetario è finito fuorimoda. E’ tempo di spiegare le leve fiscali, dice l’organizzazione, intendendo ovviamente le vele del vascello che, gonfie di denaro pubblico, lo condurranno là dove nessuno è mai giunto prima: sul crinale di una crescita decente. Un’impresa. O Enterprise se preferite l’inglese.
Applausi.
Ma gli applausi più fragorosi se li merita la dottoressa Mann, capo economista Ocse, che ha prodotto questa perla utilissima per parlare a nuora affinché suocera intenda.
Occhio perciò: da soli fate peggio. serve un’iniziativa collettiva per crescere sul serio. Mister T. è avvisato, farà bene a trovare dei nuovi amici.
Ah, giusto perché lo sappiate: sempre l’Ocse ci fa notare che la conquista dello spazio (fiscale) è tutto merito dei banchieri centrali, ormai negletti, visto il peso specifico dei tassi di interesse reali sui portafoglio dei governi.
Gli diranno grazie? Macché: fired.
prima però un’alzatina di tassi a fine 2016.
Mi preparo al viaggio quando d’improvviso mi sbuca davanti la Bce, l’unica cosa europea che conosco. Il caso ha voluto che proprio nel giorno in cui l’Ocse lanciava la sua missione spaziale uscisse il rapporto sulla stabilità finanziaria di Francoforte dove, fra le varie scampanellate d’allarme, ne trovo una che cade a fagiolo.
La sostenibilità del debito. Già: che ne sarà dello spazio (fiscale) per l’Enterprise una volta che i tassi torneranno su?
Mi ci arrovello un po’, ma poi mi distraggo perché dall’Asia mi arriva una notizia che conferma la nostra fine d’anno assai #MesChina: gli Usa hanno detto che non riconosceranno lo status di economia di mercato ai cinesi. Ora dobbiamo dirlo solo noi europei. Ah ah ah.
Torno ad arrovellarmi sull’Europa, preoccupato per colpa di quei gufi della Bce. Mi rassicuro scoprendo che la Spagna conta di raggranellare un 3,2% di crescita annua e poi che lo zerodue tedesco di questo trimestre, che così tanto ha fatto gioire i nostri sovranisti, è dipeso dal fatto che i tedeschi consumano di più ed esportano di meno, Ossia ciò che volevano tutti, quando dicevano che serviva al bene comune, salvo preoccuparsi perché succede. Poi arriva la vera notizia.
Se ne va. Si candida alle elezioni tedesche e lascia la guida del Parlamento Ue.
Nei panni di Schulz mi preoccuperei di un’altra cosa, visto che adesso vuole giocare in casa: Mps ha fatto 13. Miliardi ovviamente. Ora penserete che il caso Mps non vi riguardi – e figuriamoci se importa ai tedeschi – perché non siete stati talmente sprovveduti da acquistare la carta subordinata dell’istituto. Il fatto è che la questione travalica i confini della Rocca. Il redde rationem di Mps ne prepara un altro assai più illustre.
I più avveduti già l’hanno osservato. La vigilanza europea, che adesso deve valutare il piano di salavataggio di Mps, molto presto sarà impegnata nel valutare la ristrutturazione di DB. E come nel team di Mps non ci sono italiani, in quello di DB non ci saranno tedeschi. Ma questa storia, che segnerà la tregenda europea, Cronicario ve la racconterà nei giorni a venire.
Prima di salutarvi un aggiornamento sulla vicenda petrolifera, ovvero il nuovo gioco delle tre carte globale che il prossimo 30 novembre andrà in scena a Vienna.
La prima carta la gioca l’Arabia Saudita. Oggi ha assicurato che farà qualunque magia per spingere i produttori a tagliare la produzione. Gli altri. Magari Iran e Iraq. Ma guardate quanto produce l’Arabia e quanto loro.
Questa carta l’Arabia la gioca con la Russia, che infatti dice di voler fare un accordo ma poi fissa la sua produzione al livello più alto dai tempi sovietici.
La seconda carta la tiene nella manica l’America e già lo sapevate. Se l’Opec tagliasse davvero la produzione si può ipotizzare cge gli Usa aumenterebbero la propria, ossia esattamente ciò che l’Arabia non gradisce.
La terza carta se la gioca un grande Player dei mercati petroliferi
Che mi fa GS? Fa circolare la straordinaria intuizione che servono prezzi del petrolio più alti per rilanciare l’economia, ossia sempre la nostra Enterprise, ormai in viaggio verso i luoghi più remoti dell’immaginazione.
Le tre carte sono queste. Provate a mescolarle. La partita ovviamente è truccata.
A domani.
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