La sfida fra Usa e Cina passa anche dall’industria dei farmaci
Poiché, piaccia o meno, la disputa fra Usa e Cina fa parte dell’imponderabile – per quanto molto ponderato – che decide della nostra quotidianità, è buona prassi provare a farsi un’idea quanto più possibile compiuta della vastità del legame che avvinghia le due potenze, nel quale – paradossalmente – risiede una delle ragioni del conflitto.
Per iniziare questa opera di apprendimento, vale la pena dedicare un po’ di tempo al lungo rapporto che la US-China Economic and security Review commission – e già che ci sia un organo del genere è indicativo – ha indirizzato al Congresso Usa l’anno scorso. L’ultimo di una lunga serie iniziata nel 2002, ossia un anno dopo l’ingresso della Cina nel WTO, che ci comunica alcune informazioni importanti. A cominciare proprio dal fatto che alla commissione servono ben 593 pagine per esaurire – e solo per il 2019 -il quaderno delle doglianza contro la Cina. Alcune delle quali persino sorprendenti.
Se infatti ormai non è più una novità che fra le tante ragioni dei dissidi vi siano questioni legate alla tecnologia di domani, espressioni di tensioni geopolitiche più profonde, per molti sarà stupefacente scoprire che una delle fonti delle tensioni fra i due paesi, addirittura indicata come scaturigine di rischi per la sicurezza nazionale Usa, è l’industria farmaceutica. O, per meglio dire, la profonda dipendenza degli Usa dalle produzioni cinesi.
Il rapporto, frutto di lunghe audizioni della commissione, disponibili on line per chi volesse inerpicarvicisi, parte da una constatazione molto semplice che non ha bisogno di molti commenti: “La Cina è il maggiore produttore mondiale di active pharmaceutical
ingredients (API). Gli Stati Uniti sono fortemente dipendenti dai farmaci che provengono dalla Cina o includono API proveniente dalla Cina”. In sostanza, la Cina produce massicciamente farmaci e i principi attivi che vengono utilizzati dall’industria Usa per produrre farmaci. Questa dipendenza “è specialmente vera per i farmaci generici”.
La preoccupazione della Commissione deriva anche dalla circostanza che la normativa Usa non prevede che le compagnie farmaceutiche abbiano l’obbligo di dettagliare la zona di provenienza delle API che utilizzano. Quindi, “i consumatori americani possono inconsapevolmente accettare i rischi associati a farmaci che derivano dalla Cina”. Uno potrebbe dire che basterebbe obbligare le compagnie produttrici a indicare la provenienza delle API. Ma se fosse così semplice, il mondo, non servirebbero rapporti di 593 pagine.
La questione si arricchisce di contenuti se si ricorda che “il governo cinese ha designato le biotecnologie come un’industria prioritaria nel suo 13° piano quinquennale e nell’iniziativa Made in China 2025“, con l’aggravante che “lo sviluppo dell’industria farmaceutica cinese segue un pattern già visto in alcune delle sue industrie, come quella chimica e delle telecomunicazioni, dove il supporto dello stato promuove le compagnie domestiche a spese dei competitori esteri”.
C’è quindi una questione di metodo. Ma anche di merito. “L’industria farmaceutica cinese non è regolata dal governo cinese”. Nel senso che il governo “non ha risorse adeguate per sovrintendere migliaia di produttori, anche se Pechino ha fatto di questa supervisione una sua priorità”. Ciò spiega perché la Food and Drug Administration (FDA) Usa, anche lei a corto di personale, fatichi così tanto a garantire la sicurezza dei principi e dei farmaci (drug) importati dalla Cina. Con l’aggravante che “data la dipendenza degli Usa dalla Cina per moti farmaci critici, fermare certe importazioni per frenare il rischio di contaminazioni, può provocare una carenza di farmaci negli Usa”.
Conclusione, doverosamente apocalittica: “l cittadini americani, comprese le forze armate, sono a rischio di esposizione a medicinali contaminati e pericolosi. Se Pechino scegliesse di usare la dipendenza degli Stati Uniti come arma economica e tagliasse l’offerta di scorte di droghe essenziali, avrebbe un effetto serio sulla salute dei consumatori statunitensi”. America, oggi.