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Cronicario: Per lavorare al MEF serve l’inglese, ma la scuola se ne infischia
Proverbio del 28 marzo Se vuoi imparare qualcosa ascolta i bambini
Numero del giorno: 1,4 Crescita pil prevista nel 2018 da Prometeia
Visto che dovete fare un governo, che uno s’immagina serva a qualcosa, vorrei farvi sapere, cari signori della politica, che il MEF, ossia il ministero dell’economia e finanze che qualcuno di voi andrà ad occupare ha indetto un concorso per 400 funzionari ai quali si richiede, oltre alla laurea, anche la conoscenza dell’inglese.
Ora va bene la laurea: ci mancherebbe altro che un funzionario del MEF non abbia studiato almeno una ventina d’anni. Quello che fa specie è che si pretenda la conoscenza di una lingua che il sistema scolastico pubblico non è stato in grado di insegnare.
In pratica il 40% della popolazione italiana conosce almeno una lingua, e sorvoliamo sul come la conosca. E pure ipotizzando che sia l’inglese, il bando del MEF sancisce una chiara discriminazione aggravata dal fatto che in settant’anni di istruzione pubblica non siamo stati neanche in grado di insegnare agli italiani a parlare bene l’italiano, figuriamoci l’inglese. Con la conseguenza che chi ha potuto si è pagato i corsi privati e ha svoltato. Gli altri si sono arrangiati cantando Let it be e speriamo che se la cavano a orecchio, visto che, oltre alla scuola carente, siamo cresciuti pure sotto il tallone di ferro della consorteria dei doppiatori, che impedisce tuttora al pubblico italiano di godersi un film o una serie tv in lingua originale – che di certo avrebbe giovato all’apprendimento linguistico – con i sottotitoli come accade in gran parte del mondo, avanzato ed emergente. Per dire mi è capitato di vedere in Nordafrica un film in inglese sottotitolato in francese e arabo. Poi vai a stupirti che laggiù parlino più lingue di noi.
Di buono c’è che qualche progresso l’abbiamo fatto.
Nella scuola primaria, dice Eurostat, più di nove bambini su dieci studiano una lingua straniera. Magari sarà un’ora a settimana, ma vabbé: è il pensiero che conta. Perciò non state a preoccuparvi, cari politici. Non sforzatevi a pensare di farci studiare l’inglese dall’asilo, visto che l’italiano è una lingua morta che non basta manco per il ministero. Male che vada il concorso al MEF lo vinceranno gli alunni delle elementari. Fra trent’anni.
A domani.
Cronicario: Salvate il soldato Facecook
Proverbio del 21 marzo Chi frena la lingua ha somma prudenza
Numero del giorno: 10 Aumento % compensi capi aziende Usa nel 2017
Lo stanno proprio cuocendo a puntino, il povero Facebook, che per anni ha coccolato e ancora adesso solletica la vanità di quegli stessi che lo mettono all’indice, accusandolo di aver sovvertito la democrazia, provocato la fame nel mondo e magari anche l’estinzione dei rinoceronti bianchi, per colpa dei suoi post. Anche oggi la borsa lo punisce. E così il povero Facebook, stracotto al punto da esser diventato Facecook, trascina nella sua ombra anche i suoi cugini social, che improvvisamente vengono riconosciuti per ciò che sono: fabbriche di dati personali (i nostri) estorti subdolamente manovrando la debolezza della nostra vanità, usati a fini più o meno leciti, a cominciare da quello basico di fare soldi.
Tralascio il fatto che questa storia è troppo ridicola persino per il vostro amato Cronicario: pensare che i voti della gente possano essere deviati subdolamente da un post di Facecook è la versione 2.0 della tivvù brutta e cattiva che faceva vincere Berlusconi, ma su scala globale. Segno evidente che il rincitrullimento italiano ormai è pandemico.
Il ridicolo diventa tragico quando leggo che alcuni leader del mondo occidentale, che poi sarebbero quelli che hanno tratto vantaggio dal dataleak di Facecook, sono indignati, e che il popolo bue come sempre social-reattivo, posta a rotta di collo su questa straordinaria fesseria. Sicché, vittima anch’io della pulsione cliccarola, conio un hashtag: #SalvateIlSoldatoFacecook (a seguire una foto dei tempi buoni, così vi commuovete).
Perché in fondo il giovane Zuckenberg è soltanto un soldato eroico del nostro tempo, dove il denaro ha assunto la sua forma più pura, quella dell’informazione, finendo col confondersi con essa. E soprattutto ha usato la nostra vanità, e soprattutto quella del potere, per avere potere. Esattamente come fanno molti di quelli che oggi ipocritamente lo criticano e lo accusano di nefandezze che sono anche le loro. Per dire: mentre i socialesagitati postano contro Facecook, o annunciano che si cancelleranno, finiscono nell’ombra notizie un filo più interessanti, come quella rilanciata dal Financial Times, secondo cui nel 2017 le fusioni e acquisizioni di imprese globali hanno superato i mille miliardi di dollari. D’altronde mai come oggi le multinazionali sono state così gonfie di liquidità.
Prendersela con Facecook, che è solo uno di queste entità, e dargli la colpa, come suggerisce il linciaggio mainstream, dell’avanzata del populismo, che dipende da fattori un filo più complessi di un quelli che possono entrare fra le righe di un post, serve ad assolvere le altre 99 grandi imprese rappresentate nella linea rossa di questo grafico, che hanno raccolto ampie messi di denaro dalla globalizzazione e fatto incazzare alcuni decine di milioni di cittadini che si sfogavano sui social. Poveracci loro e poveraccio Facecook. E chissà chi sarà il prossimo.
A domani.
Cronicario: E dopo l’orientamento accomodante, arriva il dazio flessibile
Proverbio dell’8 marzo Pensare due volte è sufficiente, tre è utile
Numero del giorno: 30,8 Età media della prima maternità di una donna italiana
Si preparano tempi duri, gentili signore e signorine che oggi festeggiamo intanto per il buon carattere, visto che la società remunera con paghe più basse degli uomini e lavoro gratis il vostro paziente e faticosissimo (sulle ordinate del grafico trovate le ore settimanali di lavoro) contribuire alla sua edificazione.
Si preparano tempi difficili perché – udite udite – oggi la Bce ha cancellato l’easing bias.
Si dai, quella formuletta nel papello che ogni maledetto giovedì in cui la Bce si riunisce viene confezionato per spiegare le decisioni di politica monetaria. Mica roba da poco. Si è creata una categoria di interpreti per questa liturgia. C’è un albo professionale informale e si vagheggiano cattedre universitarie dedicate proprio all’ermeneutica della comunicazione nel central banking. Capite subito perché i professionisti si siano subito accorti che dalla stele di Francorte era scomparsa l’espressione che il QE sarebbe stato aumentato “in termini di entità e/o volume” in caso le cose fossero andate storte. L’interpretazione unanime è stata: la Bce ha fatto un altro passo in avanti verso la normalizzazione monetaria.
E niente: Supermario s’è sgolato poco dopo in conferenza stampa a dire che i tassi bassi dureranno praticamente per sempre e che gli acquisti di titoli, fissati a 30 miliardi al mese fino a settembre, potrebbero anche proseguire. Ormai il dado era tratto. L’easing bias, chiamiamolo orientamento accomodante, è terminato. Niente sarà più come prima.
E c’è di più, gentili signore e signorine. Oggi il terribile Mister T. dovrebbe svelare gli arcani del suo piano di dazi col quale vuole punire tutti i malnati che fanno commercio con gli Usa e ci guadagnano. In pratica tutto il mondo.
Si ci siamo anche noi. E quindi capirete perché a qualcun gli fischiano le orecchie. Ma non agitatevi troppo. Lo stesso mister T vi spiega bene come andrà questa cosa dal suo podio di grande tuittero.
Com’è che si diceva da noi? Le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici. Siamo sempre avanti. I dazi flessibili di Trump sono la prova che il presidente deve avere qualche italiano nel suo albero genealogico.
E prima di salutarvi, una notizia probabilmente esagerata che proviene dal sud, che d’altronde è esagerato pure lui. Dicono che alcuni, molti dei quali giovani, si siano presentati al Caf di un paesino pugliese a chiedere i moduli per avere il reddito di cittadinanza, visto che ormai i 5 stelle hanno vinto le elezioni. Vera o falsa che sia, questa storia, è chiaro a chiunque abbia un grammo di cervello di cosa si tratta: una bella minchiata. Purtroppo sulle minchiate nessuno paga dazio.
A domani.
Cronicario: La maggioranza rumorosa dei benestanti
Proverbio del 7 marzo La lepre va dove nemmeno pensi
Numero del giorno: 30,1 Età media di permanenza dei giovani italiani nella casa dei genitori
E come da libretto evangelico, il terzo giorno è risuscitato.
Cosa?
Come cosa?
Tralascio il dibattito sul futuro del Pd perché sono certo ne avrete abbastanza, e mi concentro sul dibattito, assai più seducente, sulle ragioni dell’ennesima spinta elettorale verso le posizioni cosiddette populiste: mi fa morir dal ridere e spero anche a voi. Perché mai la gente vota i cattivissimi populisti/sovranisti/protezionisti? Facile: la crisi, gli esclusi, l’economia, le opportunità, il lavoro precario, la proletarizzazione (ma rigorosamente senza figli) del ceto medio: la solita solfa, con l’immancabile riferimento alla diseguaglianza e alla mancanza di opportunità che butta lo sconfortato e disilluso, e soprattutto impoverito, ceto medio fra le braccia dell’arruffapopolo di turno. Il tutto lo racconta questo grafico che stamattina una persona di indubitabile intelligenza ha postato on line nel bel mezzo del dibattito esploso come un fuoco d’artificio sulla rete.
Ed ecco là il nostro teorema in bella vista: i paesi in cima alla retta, ossia Uk, Usa e Italia, sono quelli che si segnalano per peggiore diseguaglianza o bassa mobilità sociale, secondo l’elaborazione che ne hanno fatto gli autori. Ed infatti hanno sperimentato nell’ordine la Brexit, Trump e adesso chissà cosa in Italia, con la Germania e la Francia a un pelo, mentre il Giappone chissà perché no. Ma vabbé, nessun teorema è perfetto. Vi convince?
Ma siccome mi piace pure guardare i dettagli, ecco che mi trovo a notare come i tre paesi incriminati per sospetto populismo siano al tempo stesso nella top ten dei paesi più ricchi del mondo, pure al netto delle numerose situazioni di disagio dissimulate dalle medie e dai valori mediani. A proposito: se poi vogliamo credere alla favoletta che il populismo segni la rivolta dei poveri contro i poteri forti della globalizzazione, allora vi faccio notare che i poveri, in Italia (e sono pure aumentati), secondo i dati raccolti da Eurostat sono all’incirca il 12% della popolazione. Che è un numero enorme, ma assai meno dei voti presi dai populisti.
Se poi volessimo dirla tutta, questa antipatica evidenza, dovremmo osservare che il pieno dei voti populisti ha riguardato anche la parte economicamente più ricca e vitale del nostro paese, dove lavorano praticamente tutti e si cresce al livello della Germania e forse più. Più che la rivolta dei poveri, la nostra, sembra la rivolta dei benestanti che temono di star male domani. La maggioranza silenziosa ha votato compatta, e ha fatto un notevole rumore.
Tanto forte che se sono accorti pure in Europa, dove oggi fra le altre cose si presentava il nuovo winter package dove si fa il punto sull’evoluzione economica dell’area e soprattutto della corrispondenza degli obiettivi dei paesi con quelli fissati. Figuratevi le risate.
La commissione ha riscontrato che 11 paesi su 12 paesi esaminati hanno una qualche forma di squilibrio. Si salva solo la Slovenia. E non vi devo dire nient’altro. Di fronte a questo notevole esempio di disciplina finanziaria, che peraltro arriva in uno dei momenti di espansione più forte degli ultimi decenni, noi italiani brilliamo come sempre. Ma non state a preoccuparvi di quello che dicono a Bruxelles. Preoccupatevi di quello che succede a Roma.
A domani.
Cronicario: Fate l’amore, non il governo
Proverbio del 6 marzo I saggi si accontentano di poco
Numero del giorno: 17.000.000 Barili di petrolio prodotti negli Usa nel 2023
In pieno delirio lisergico, i nostri analisti politici, sempre più calati nel loro ruolo di osservatori di buchi neri, stanno provando a miscelare in tutti i modi possibili le sigle dei partiti pur di tirare fuori una qualche poltiglia governativa da servire agli elettori, che tanto comunque saranno scontenti, perché siamo scontenti per principio e chi dice il contrario dice una fesseria. Siamo arrivati al punto che sogniamo un salvatore della patria per poterlo prima adorare e subito dopo lapidare. Solo che invece di curarci coi farmaci, o almeno coi rimedi omeopatici, pensiamo di usare le urne.
Detto ciò, siccome esattamente come voi sono soggetto al rincoglionimento post-elettorale ho passato le ultime 24 ore ad ascoltare/leggere/discutere dei 5S che si dovrebbero alleare col Pd, ma anche con LeU oppure con la Lega senza FI, ma chissà se anche con Fratelli d’Italia, e peccato che Potere al popolo non ha preso seggi sennò era l’ideale visto che i 5S sono quelli del potere al popolo del web. Qualcuno ha disegnato come scenario probabile un’alleanza di pezzi del centrodestra con pezzi del centrosinistra e altri pezzetti dei 5S e trasformare questo spezzatino in un governo, col povero Mattarella a ruminare ‘sta minestra, visto che tutti si aspettano che faccia il miracolo di sposare l’acqua con l’olio, con rischio di saltare dalla finestra di nuove elezioni.
Poi a una cert’ora, proprio mentre qualcuno vagheggiava un monocolore a 5Stelle con l’appoggio esterno del PD, che intanto continuava a spaccarsi, ma anche della Lega e pure no, è arrivata l’Istat che ha pubblicato la sua nota mensile sull’economia: un raggio di sole nella nebbia del dopovoto.
Eccole, proprio nelle prime righe, le paroline magiche, che hanno acceso dentro di me la luce della speranza e finalmente dissipato il rammarico della confusione post elettorale: “Per i prossimi mesi si conferma uno scenario espansivo”. Boom. E il caso vuole che mentre leggo queste parole profetiche, trovi quest’altra perla in uno studio.
In perfetta coerenza col costume nazionale, ci salva l’eredità. Quella statistica intendo, almeno per quest’anno. E siccome partiamo da un +0,5 di Pil, a occhio e croce, e c’è pure un profilo espansivo la cosa migliore che possano fare, i fortunatissimi eletti di Camera e Senato, è assolutamente nulla. Lasciate che l’Italia superi il Belgio che qualche anno fa rimase senza governo per più di 500 giorni mentre l’economia macinava buone notizie. O almeno provi ad imitare l’Olanda, che ci ha messo un po’ più di 200 giorni prima di averne uno, mentre il pil galoppava, esattamente come la Spagna, dove dopo un anno senza ministri è finita con un governo di minoranza, anche se il mio sogno proibito è la Germania che ha votato a settembre e forse il governo arriverà dopo Pasqua, mentre il paese chiudeva il 2017 con il pil al suo massimo e in surplus fiscale per oltre 36 miliardi.
Insomma, nel mio viaggio al termine delle elezioni sono arrivato a una decisione: rivolgere un appello ai 945 fortunatissimi che per i prossimi cinque anni non avranno il problema di lavorare, venendo peraltro remunerati in maniera signorile (capite l’invidia): “Cari deputati e senatori, non abbiate fretta. Prendetevi tutto il tempo che vi serve per conoscervi, iniziare a volervi bene, scambiarvi opinioni e punti di vista su ciò che serve al paese senza neanche provare a realizzarlo. Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che un governo è capace di fare danni straordinari. Fatelo per noi, ma soprattutto per voi stessi, che poi una volta che il governo è fatto vi tocca giocare a maggioranza e opposizione, prendervi gli insulti dei cittadini e recitare a soggetto davanti alla stampa. Una prospettiva che spaventerebbe chiunque. Ora che siete eletti riposatevi. Fate l’amore, non il governo. Noi ce la caviamo benissimo senza.
A domani.
Cronicario: Siamo poveri di conoscenze, ma ricchi di amicizie
Proverbio del 22 febbraio Per chi è affamato il pane cuoce lentamente
Numero del giorno: 1.300.000.000 Utile 2017 della Bce
Persino i geniacci sbagliano mi viene da pensare mentre sfoglio il rapporto sulla conoscenza che Istat ha pubblicato oggi. Sbagliano perché mentre leggo scoraggiato che siamo ancora in questa condizione,
con alcuni problemi nella conoscenza di quelle cose banali come leggere e scrivere e far di conto
con la conseguenza che siamo il paese più esposto alla concorrenza dei robot per il lavoro, visto che abbiamo un sacco persone low skilled adatte solo a lavori routinari,
ecco, di fronte a tutto questo mi accorgo che le 115 pagine dell’Istat non tengono in alcuna considerazione la via italiana che supplisce al deficit di conoscenze: sostituirle con le amicizie.
Capisco che l’Istat, come gran parte della nostra intelligencija, è frutto di un fraintendimento culturale. Noi italiani ce la caviamo benissimo a non studiare e a far nulla.
Rimane la domanda come facciamo a tirare avanti. Vi do giusto un paio di dritte. La prima arriva direttamente dall’Eurozona, e quindi ci riguarda da vicino.
Le famiglie europee sono uscite più ricche dalla crisi, e quelle italiane non hanno nulla di cui lamentarsi, visto che hanno debiti più bassi e asset più alti della media.
E soprattutto sappiamo come alimentarla, la nostra ricchezza. Anche per questo abbiamo tutte le conoscenze che servono.
A domani.
Cronicario: E tutto d’un tratto arrivano 200 mila posti di lavoro
Proverbio del 21 febbraio Alla volpe addormentata non cade niente in bocca
Numero del giorno: 400.000.000 Valore mutui per spese mediche in Italia
E tutto d’un tratto capisco che ho sbagliato tutto. Traviato dalla malmostosità gufesca dei commentatori da salotto, mi sono perso l’autentico sentimento che anima una qualunque campagna elettorale che si rispetti, quindi la nostra in particolare: la gioia. E quando ci ricapita di sentire tante buone notizie in un arco di tempo così limitato? In un pugno di settimane ci hanno promesso e raccontato di tutto, dalle pensioni a dodici anni all’aumento del reddito nell’anno che verrà.
Il tripudio durerà ancora poco purtroppo. Ancora una decina di giorni e poi le urne si chiuderanno e con loro i buoni propositi. Tornerà la mestizia nazionale che dura circa cinque anni al netto dello scioglimento anticipato delle camere, purtroppo sempre più raro. Perciò mi sono detto: goditela finché dura, la bella stagione, e regala anche oggi una dose di ottimismo agli amatissimi che perdono il loro tempo a leggere le tue fregnacce raccontando loro quelle dei politici. Serviva giusto una buona ispirazione. E tutto d’un tratto…il coro: è arrivato il ministro Delrio.
Macché bravo, bravissimo: un ministro coi baffi (e pure col pizzo). Oggi è toccato a lui accendere il nostro entusiasmo così come ieri era toccato all’amabile Padoan con la storia dell’aumento di reddito da mille euro nel 2020. E Delrio, bravo com’è, non si è fatto pregare. Perla numero uno: Il piano infrastrutturale decennale messo a punto dal governo creerà 200 mila posti di lavoro in dieci anni (che immagino si aggiungeranno al milione già creato col Jobs Act di cui alla nota vulgata governativa). Una promessa decennale come un Btp. Solo che differenza del Btp dei duecentomila posti fra dieci anni non si ricorderà più nessuno, neanche Delrio che per allora avrà infrastrutturato chissà cosa. Ma tranquilli li ritireranno fuori in tempo per la campagna elettorale del 2028 e per allora saranno pure aumentati con gli interessi composti. Seconda perla: a fine 2017 siamo tornati a 290 miliardi di investimenti per le opere pubbliche, pure se gli investimenti pubblici, strano a dirsi, fanno ancora fatica a decollare malgrado abbiano tutte le carte in regola per spiccare il volo.
Percepisco un avvio di scricchiolio al buonumore che per fortuna viene subito obliterato dalla perla numero tre: “La prossima settimana sbloccheremo un miliardo per la ferrovia Ionica”, sottolineando che l’ultimo a spendersi per questa ferrovia era stato Cavour, che comunque fa tanto Risorgimento.
Se ne parla da un annetto di questa ferrovia a dirla tutta. Ma tant’è. La quarta perla ve la dico io: il nuovo governo, chiunque esso sia, tutto d’un tratto farà arrivare anche i treni in orario. E’ giunta l’ora fatale.
A domani.
Cronicario: Vino e pecorino si vendono meglio del telefonino
Proverbio del 15 febbraio Meglio un nemico intelligente che un amico sciocco
Numero del giorno: 36 Aumento % debito pubblico Italia nel 2017 sul 2016
Stai a vedere che la notizia del giorno è che abbiamo esportato un sacco di roba nel 2017, mi dico, osservando l’ultima release Istat sul commercio estero, prima di essere distratto da una notizia succulenta arrivata dall’estero.
E che ci può essere di più interessante di 47,5 miliardi di surplus commerciale in un anno, che sarebbero stati 81 senza la componente energetica, a parte il fatto che gas e petrolio si sono mangiati quasi la metà dei nostri profitti commerciali?
Gli Usa: what else? Accade tutto laggiù. Mentre i nostri teleradiowebgiornali ci stupidivano con le minchiate da campagna elettorale – se vi appassiona quella roba avete sbagliato canale – a un certo punto i capi di Fbi, Cia e Nsa, ossia i Grandi Spioni americani, lanciavano al Congresso Usa un allarme risuonato in tutto il mondo, come merita un allarme lanciato dai meglio ficcanaso conosciuti (quelli sconosciuti sono più bravi ovviamente): non comprate smartphone cinesi come quelli di Huawei o gli ZTE, rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. “Il rischio principale – ha detto il boss dell’Fbi – è quello di permettere a società vicine al governo di Pechino di infiltrarsi nella rete tlc Usa, con la possibilità di rubare o modificare informazioni e di fare spionaggio”.
Vi sembra una cosa seria? A Verizon, che un paio di settimane fa ha deciso di non associare più Huawei alle sue offerte commerciali, facendo il paio con quanto deciso a inizio gennaio da AT&T, deve essere sembrata serissima. Ma il vostro Cronicario, che sente a miglia la puzza di fregature, non ci è cascato. La storiella che gli Usa temono lo spionaggio dei telefonini cinesi, in un mondo pervaso da una crescita costante di device e microchip prodotti in Asia, mi ha ricordato un bel paper diffuso qualche tempo fa dal Fmi dove si notava l’incredibile crescita dell’export cinese di smartphone, col picco del +150% raggiunto ai primi del 2016, con il mercato Usa a far la parte del leone col 28% del totale delle importazioni.
Questo in un mercato che nel 2016 ha contato un miliardo e mezzo di smarthone venduti, uno ogni cinque abitanti nel mondo, maturato in un pugno di anni tanto da far sospettare che ormai sia saturo.
Un mercato dove Apple fa la parte del leone. A proposito, ma gli IPhone (tutti) prodotti in Cina sono meno pericolosi dei Huawey? O il fatto che la Samsung abbia stracciato la Intel nella vendita di semiconduttori è un pericolo per la sicurezza nazionale?
Siccome nessuno sa dove si annodi il bug che ti spia quando c’è di mezzo l’hi tech, mi sorge il sospetto che l’allarme proditorio risuonato nelle aule del Congresso (a quando quello sugli antivirus russi?) sia il modo contemporaneo di declinare la competizione commerciale nel mercato dei telefonini, che si sospetta abbia raggiunto il picco nel 2015, tanto che Apple ormai deve rilasciare almeno tre telefoni l’anno per accendere la libidine dei consumatori.
Più che guerra di spie, guerra da bancarella, insomma. Una sensazione che mi viene confermata dal fatto che la Huawey poco dopo la sparata degli 007 abbia pubblicato una nota nella quale ha accusato il governo Usa di voler inibire il loro business, con chicca finale per gli appassionati delle risse: “Huawei gode della fiducia di governi e clienti in 170 paesi in tutto il mondo e non pone rischi di cyber security più elevati di qualsiasi altro fornitore del settore tlc, condividendo la catena distributiva e capacità produttive”. Come dire: chi non spia scagli la prima pietra.
Di fronte a questa sciarada, mi convinco che ancora una volta che la prima impressione è davvero quella che conta. Avevo colto il succo prima che gli spioni mi distraessero: la vera notizia del giorno è il nostro surplus commerciale, specie quando leggo che secondo Coldiretti abbiamo fatto il record, oltre 41 miliardi, di export dall’agroalimentare. Praticamente quasi quanto il totale del surplus. Primeggiano le esportazioni di formaggi (+9), salumi (+8%) e vino (+7%). Altro che smartphone. Il mercato per vino, prosciutto e pecorino non si satura mai. Al massimo si sazia.
A domani.
Cronicario: Cresciamo poco, ma meno intensamente
Proverbio del 7 febbraio Meglio mezzo pane da libero che un banchetto in prigione
Numero del giorno: 1.700.000 Famiglie italiane che hanno difficoltà a pagare l’affitto
Certe cose fanno bene all’orgoglio nazionale, non c’è dubbio. Leggere le previsioni d’inverno della Commissione Ue è un esercizio spirituale che consiglio ai tanti sapientoni che oggi si buttano in politica: è insieme una punizione e una scuola di comportamento. Quello degli altri. Per dire, sapevate che nell’eurozona ci sono anche i cinesi del Mediterraneo?
Già. La piccola Malta è cresciuta quanto la grande Cina, nel 2017. E ci sono anche le tigri celtiche, che si fanno un baffo di quelle asiatiche.
Peccato che con l’Irlanda noi condividiamo solo un pezzo di tricolore.
Di fronte al 7,3% irlandese, il nostro sparuto unoemezzo, che ci colloca ancora una volta come gli ultimi della classe, mi ricorda il commento degli insegnanti alle mie pagelle: è bravo, ma non si applica. Per dire, persino la Grecia ha fatto un decimale più di noi.
Di fronte a tutto ciò, la Commissione, che deve pur dispensare una qualche parola per tutti, se ne esce così: “La ripresa è partita, leggermente”.
Mi dico che questo nostro esser ultimi nasconde la saggezza profonda di chi primeggia in tante altre qualità che quello stupido del pil non è in grado di considerare. Chessò: le meraviglie dell’ozio o l’aurea mediocritas del pensionato baby. E che in fondo, chi va piano va lontano e tutte quelle menate lì che ci fanno fessi e contenti. Ma poi mi ricordo che alcune seccature nostrane – tipo la salute del nostro debito pubblico – hanno a che fare con l’andamento di quel malnato indicatore. E soprattutto arriva l’Istat.
“Si delinea uno scenario di minore intensità della crescita economica”. Cresciamo poco, ma meno intensamente. Mi sorge il sospetto che ci applichiamo assai più di quanto siamo bravi.
A domani.
Cronicario: L’abbraccio cinese è peggio del braccialetto elettorale di Amazon
Proverbio del 2 febbraio Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità
Numero del giorno: 0,8 Crescita inflazione su base annua in Italia a gennaio 2018
No dico, ma questa storia del braccialetto di Amazon, ma davvero c’avete creduto? Io ho iniziato a dubitare appena mi sono accorto che i nostri politici in eterna campagna elettorale, sono arrivati a dire bestialità tipo che l’uomo non è un robot, non so se mi spiego…
Come se il taylorismo fosse un’invenzione di Amazon e non, appunto, di mister Taylor che, lo ricordo, scriveva dell’organizzazione scientifica della produzione nel 1911, 25 anni prima dei Tempi moderni di Charlot. Si lo so quello che state pensando: eh ma da allora ci siamo evoluti, mica possiamo più essere considerati ingranaggi di una macchina. E poi ci sono leggi, sindacati, regole di comportamento. Certo come no. Ma soprattutto, visto che la cagnara politica non accennava a diminuire, ho pensato di approfondire e ho scoperto che il braccialetto elettronico di Amazon, è un brevetto che non sappiamo se sarà mai utilizzato che serve a far riconoscere più velocemente i pacchi agli Charlot di Amazon, che ci sono come ci sono sempre stati e come ci saranno sempre almeno finché i robot davvero non prenderanno il loro posto, e non ha nulla a che vedere con l’evocazione da galera e da controllo di polizia che ispira la sua definizione coniata da politici e giornalisti, disperati seppure per diversi motivi. Più che un braccialetto elettronico è un braccialetto elettorale, diciamo, che di questi tempi fa brodo come tutto. A un certo punto anche il jobs act è entrato nei commenti ed è arrivata pure una smentita dal ministero…
Ora, ce ne potremmo pure infischiare di questa ennesima bolla (o meglio balla) mediatica se non fosse che distratti dal braccialetto elettorale, verso cui si è focalizzato il sacro fuoco della nostra indignazione, c’è sfuggito quello che sta succedendo al cambio cinese.
Già, la Cina. Le anime belle che si indignano per i brevetti del cattivo capitalista americano, dovrebbero ricordare il contributo sicuramente determinante che il capitalismo di stato cinese ha fornito alla civilizzazione dei rapporti di lavoro.
E poi magari osservare la curiosa evoluzione del cambio cinese quantomeno divergente nel suo rapporto con euro e dollaro. Guardate bene: nei confronti del dollaro lo yuan si sta rapidamente apprezzando, avvicinandosi sempre più al livello che nell’estate 2015 condusse alla svalutazione decisa dalle autorità di Pechino. Nei confronti dell’euro, al contrario, lo yuan si svaluta. Ora secondo voi farà più danno ai lavoratori italiani il braccialetto elettorale di Amazon, o l’abbraccio valutario cinese?
Fuocherello. Vi do un’altra notizia di giornata che completa il disegnino sulla Cina.
Fa un certo effetto scoprire, nell’epoca in cui tutti sperano che i consumi privati della Cina salveranno il mondo, a cominciare dalla Cina stessa che fa quasi metà del suo pil con gli investimenti, che i consumi privati della Cina erano più alti ai tempi di Deng Xiaoping. Vi sorge il sospetto che questa politica abbia qualche effetto anche su di noi? Fuochino: vi do un altro indizio.
Con grande scorno del nostro amato Supermario di Francoforte i prezzi hanno la vitalità di un gatto che abbia finito le vite. Dite che c’entra la Cina? Fuoco!
Ora magari vorreste pure che vi spiegassi questo grafico. Scordatevelo. E’ venerdì pomeriggio: non lavoro per Amazon e non sono cinese. Almeno finché posso.
A lunedì.



























































