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Cronicario: Btp, Buono che non Tira Più
Proverbio del 29 novembre Gettando polvere non si può nascondere la luna
Numero del giorno: 6.700.000.000 Risorse impegnate dal governo per la riforma quota 100 nel 2019
E insomma per cose che succedono mi capita sotto gli occhi una di quelle robe che scrivono quelli dei piani alti che per noi abitanti dei seminterrati della cronaca equivale a leggere un pezzo scritto in turco con caratteri cirillici, avendo a disposizione un vocabolario (d’italiano) per giunta limitato.
E infatti alla terza riga ho abbandonato. Ho capito il titolo però (e già sospetto d’essere sopra la media nazionale): l’anno prossimo il governo del cambiamento dovrà piazzare 400 miliardi di Btp là fuori che non ci vogliono più tanto bene, e infatti hanno alzato i prezzi.
Me ne dimentico subito distratto dal cicaleccio di vicepremier Uno (o Due fate voi) che giura è spergiura che mai e poi mai toglieranno più dello 0,2% al deficit del 2,4% promesso per l’anno prossimo (a fronte di una crescita prevista dell’1,5% alla quale non credono neppure gli adoratori del divino, che pure sono di bocca buona), rimanendo come al solito estasiato dalla capacità dei nostri governanti di vellicare il popolo bue che infatti muggisce sui social. Senonché a un certo punto arriva puntuale la realtà, nella forma ormai consueta di un’asta di titoli di stato. I nostri Btp, che sta per Buoni del Tesoro Poliennali. Di quelli che una volta in asta c’era la fila, pure al netto degli specialisti.
Fra capo e collo arriva la nota che dà conto dell’esito dell’asta, e finalmente capisco che il cambiamento promesso dal governo è davvero cominciato. I tassi scendono un filo, pur rimanendo belli alti rispetto a solo sei mesi fa, ma in compenso crolla la domanda. Quella per i titoli a 5 anni è in calo a 1,34 volte da 1,48 precedente, ai minimi da giugno, e quella per i titoli a 10 anni in calo a 1,41 da 1,49. Il cambiamento comincia dall’acronimo dei titoli di stato. Ora Btp sta per Buono che non Tira Più.
A domani.
Cronicario: Lo scudo tedesco anti-spread di Capital America
Proverbio del 23 novembre Il gatto anche se è cieco continua a desiderare i topi
Numero del giorno: 52 Quotazione della mattina del petrolio WTI (-5%)
Poiché ormai le cromiche (cronache comiche, ndr) battono senza possibilità di rivincita il nostro Cronicario mi tocca rassegnarmi. La realtà supera la mia capacità di cazzeggio. Di buono c’è che posso smetterla di sforzarmi per strapparvi una risata. Mi basta riportare quello che leggo uguale uguale a come lo dicono, i lor signori di una volta divenuti d’improvviso cabarettisti insuperabili per la gioia del pubblico pagante (nel senso di tax payers). Una delle migliori di giornata la dice uno dei tanti sottosegretari d’incerto pedigrée ma notevolmente dotato di talento cromico. Costui a un giornale che riesce persino a non scoppiare a ridere rilascia la seguente dichiarazione: “Trump tifa per noi. Non abbiamo bisogno di soccorsi esterni, tantomeno li abbiamo chiesti. Ma sono sicuro che, qualora un aiuto fosse indispensabile, gli Stati Uniti ce lo darebbero”.
Già ce li vedo i capitali americani a fare la fila per comprare Btp. Vengono subito dopo quelli russi sparati in prima pagina di un noto quotidiano salmonato di gossip, e quelli cinesi, promessa costante mai mantenuta del debito pubblico italiano in costante ricerca d’acquirente. D’altronde bisogna capirli i nostri talentuosi cabarettisti: ieri un Btp per giunta targato Italia è rimasto a secco e a gennaio ci aspetta un botto di emissioni. Quindi che fare?
Esatto. E infatti poco dopo Vicepremier Uno (o Due fate voi) se n’è uscito dicendo – letterale giuro – che “oggi lo spread è sceso di decine di punti” perché gli investitori stanno finalmente iniziando a capire la complessità della nostra manovra del cambiamento che, gli fa eco Vicepremier Due (o Uno fate voi) una volta digerita farà tornare il sereno e sarà tre volte Natale.
Ora prima che pensiate, come fate di solito, che è tutta colpa dei politici, che hanno deciso di rubare il mestiere ai comici visto che ormai i comici l’hanno rubato ai politici, vi faccio notare che c’è gente che ha votato e mandato in parlamento quell’altro tale che oggi ha definito “un’idea intelligente dare il reddito di cittadinanza alle imprese”, ossia “trasferire alle imprese il reddito di cittadinanza di un disoccupato in cambio dell’assunzione”. Se anche voi siete convinti che sia un’idea intelligente siete voi il governo del cambiamento.
Potrei raccontarvene altre, ma è venerdì di un giorno da cani, pure se lo spread ripiega a fine giornata (cit.) e tanto ormai l’antifona è chiara. Ma siccome vi so cazzari di gusto fine, vi saluto con la migliore supercazzola con scappellamento a centrodestra che manco fosse ‘ntani che invece è di un altro pezzo grosso della maggioranza del cambiamento noto soprattutto perché dotato del talento di far piacere l’economia ai cretini – e quindi con grande seguito – che di sicuro hanno esultato di fronte al grido di battaglia “scudo anti-spread”. Tanto più trattandosi di uno scudo di marca tedesca. “Puntiamo ad adeguare le regole alle norme tedesche”, dice. Ma mica si riferisce al fare sparagnino della Mutti in via di smobilitazione. Macché. Si parla di regole bancarie. In Germania, dice, “solo il 5% delle banche applica i principi contabili internazionali” (dimenticando di farci sapere quanto pesi questo 5% sul totale degli asset tedeschi) “mentre le banche italiane si adeguano al 90%”. E siccome le “queste regole sono procicliche” ecco che bisogna alleggerirle per evitare che la possibilità di far credito venga a mancare alle nostre banche del territorio, noto esempio di efficienza italiana.
“Dobbiamo ridurre l’asimmetria”, ha esortato il nostro fenomeno. E chiaramente non si riferiva al fatto che i tedeschi sono in surplus fiscale malgrado abbiamo speso un paio di centinaia di miliardi per salvare le proprie banche. Al contrario: l’importante è che noi spendiamo perché la spesa è reddito e blablabla. Se poi dovessero venir fuori problemi non vi preoccupate: c’è sempre lo scudo tedesco antispread di Capital America.
Buon week end.
Cronicario: L’export scricchiola, ma ci salveranno i ricchi (e i ciclisti)
Proverbio del 16 novembre La bocca non si addolcisce parlando di miele
Numero del giorno: 2,2 Accelerazione % inflazione in ottobre nell’EZ a ottobre
Per fortuna è venerdì, mi dico esausto scorrendo il cronicario, oggi come ieri pieno di notizie estenuanti. Mica solo per colpa nostra. I nostri cugini inglesi sono alle prese con la Brexitmachia e perdono ministri come noi miliardi per colpa dello spread (i nostri ministri resistono invece, a conferma della tempra italica). E ce ne potremmo pure infischiare se non fosse che prima o poi i guai della May, che abbiamo tenuto fuori dalla porta, entreranno dalla finestra, come possono capire i feticisti dei grafici.
Ma poiché a molti questo pensierino sembrerà campato in aria, vi riporto subito sulla triste cronaca che è a prova di cretino. Basterà scorrere l’ultima release sul nostro commercio estero riferita a settembre, che racconta di flessioni dell’export sia su base mensile (-2,1%) che su base annuale (-2,8). Il grosso di questo calo si concentra fra i paesi extra Ue. In particolare il calo delle esportazioni sono scesi negli Stati Uniti (-8,6%), Turchia (-31,0%), Russia (-24,7%), Cina (-17,2%) e paesi OPEC (-11,2%). L’asse sovranista che tanto ci vuole bene.
Il riassunto è edificante: “Si stima che il surplus commerciale si riduca di 2.983 milioni di euro (da +4.257 milioni a settembre 2017 a +1.274 milioni a settembre 2018). Nei primi nove mesi dell’anno l’avanzo commerciale raggiunge +28.482 milioni (+58.422 milioni al netto dei prodotti energetici)”. Dal che si deduce che abbiamo speso 30 miliardi per i beni energetici. Ma il governo del cambiamento avrà sicuramente una ricetta per risolvere questo problema. Si può averne contezza leggendo le parole illuminate di uno dei massimi esperti della maggioranza del cambiamento via Twitter, incidentalmente presidente di commissione, secondo cui ridurre le importazioni” di energia “è sicuramente di importanza capitale”.
Che fare? Ma è l’uovo di Colombo: bisogna “produrre in casa quella energia che, superficialmente, tante volte abbiamo pensato fosse più facile importare dall’estero”.
Quindi non state a preoccuparvi, anzi siate felici. Perché nel tempo che tornate a camminare in bicicletta – risparmiamo anche sulle palestre che sono un’aberrazione liberale – e magari tornate a scaldarvi con la lana di pecora, il nostro esecutivo ha le idee molto chiare su come si debba risolvere il nostro annoso deficit di investimenti (leggi: strade sbreccolate, case pericolanti e ponti pericolosi). A parte i potentissimi investimenti pubblici, con moltiplicatore superX, il governo ha un piano che oggi il ministro che rima con economia e che casualmente abita nello stesso ministero ha sintetizzato con queste parola davvero edificanti: “L’impiego dei capitali privati al servizio del futuro del paese funge da collante sociale per recuperare la legittimità della funzione che la ricchezza ha sempre avuto”. E quindi l’invito ai ricconi – che sono notoriamente generosi ai confini della tirchieria – a “dare il contributo alla strategia del governo attraverso gli investimenti”.
Che dite? E’ la migliore della settimana vero? Lo so. Infatti chiudo bottega.
A lunedì.
Cronicario: Si prepara l’Italia dello Zeroquattro
Proverbio del 12 novembre Un cuore felice fabbrica l’oro
Numero del giorno: 0,63 Tasso % Bot annuale venduto all’asta di oggi
Grandi cose si preparano sotto il cielo. Il poderoso Governo del Cambiamento sta mettendo le basi per trasformarci nei campioni d’Europa, e li voglio proprio vedere quei cattivoni nordeuropei a rosicchiarsi d’invidia per i nostri moltiplicatori di crescita a deficit che manco alle nozze di Canaan.
Il vostro Cronicario qui, è l’alfiere di questo cambiamento, nonché antenna finissima che capta l’aria che tira. E dall’alto di questa visione illuminata, vi posso anticipare la grande trasformazione che si prepara. Scordatevi la triste Italia dello Zerotré, Quella che rincorreva i decimali di pil. Oggi per vie traverse è stata annunciata la rivoluzione che si prepara e i cui effetti saranno visibili già nei primi giorni del 2019, come ha annunciato fieramente il vicepremier uno e bino: l’Italia dello Zeroquattro.
Lo so, è incredibile, ma bisogna sapere unire i fili. Stiamo qua apposta. Ve la faccio breve. Sapete già che qualche giorno fa abbiamo fatto uno bello zero di crescita, che peraltro poco dopo è stato arricchito (si fa per dire), da un robusto calo delle vendite al dettaglio e oggi dal terzo calo consecutivo della produzione industriale trimestrale…
Bene: era tutto previsto. Il potente cervello elettronico del governo del cambiamento era talmente consapevole che sarebbe andata così che si è premurato a presentare ai partner europei una potente manovra economica, che ovviamente non è stata compresa come sempre accade all’inizio alle cose geniali. Ma chissenefrega, ci capirano dopo o se ne faranno una ragione (semicit.): grazie alla manovra del popolo il cambiamento lungamente atteso si innescherà nel corpo della nazione come un poderoso ricostituente, i cui effetti si vedranno già prima che entri il vigore il provvedimento, perché sennò che cambiamento è? La strada peraltro è già stata tracciata. Poco fa in audizione uno statistico dell’Istat ha detto al Parlamento che per avere l’,1,2% di crescita previsto dal governo quest’anno, quello che incidentalmente è stato scritto nella poderosa manovra, servirà un pil in crescita dello 0,4% l’ultimo trimestre di quest’anno.
Ora lo statistico audito ha ricordato che l’indicatore anticipatore “registra una ulteriore flessione” preludendo alla “persistenza di una fase di debolezza del ciclo economico”. Ma questi sono cascami della vecchia Italia che sottostimava il potere della volontà. Di quella per dire che sta a vedere il pelo nell’uovo, tipo che “un mutato scenario economico potrebbe influire sui saldi di finanza pubblica potrebbe influire sui saldi di finanza pubblica in modo marginale per il 2018 ma in misura più tangibile per gli anni successivi”. Tanto più con una manovra che secondo la Corte dei Conti è fatta per l’80 per cento di spesa corrente e solo per il 17% da investimenti.
Dettagli, sfumature. La crescita di fine anno non solo confermerà gli obiettivi del governo per il 2018, ma darà l’abbrivio alle crescite che verranno e che le varie “defaillance tecniche” (cit.) hanno impedito di vedere agli occhiutissimi osservatori, a differenza di quanto accade a noi. “L’Italia dello Zeroquattro prepara quella dell’Unoecinque del 2019”. F.To il governo del cambiamento (cit. dalla lettera alla Commissione Ue del 13 novembre 2019, anticipata qui in esclusiva per voi).
A domani.
Ps A un certo punto L’ufficio parlamentare di bilancio dice che la crescita acquisita per il 2019, visto l’andamento attuale della nostra economia, è dello 0,1%, questionando quindi la previsione del governo sul 2019. L’Italia dello Zeroquattro è già un destino.
Cronicario: Calano le vendite, ma è un dettaglio
Proverbio del 7 novembre Il denaro sognato non si può spendere
Numero del giorno: 1,5 Crescita % Germania rivista al ribasso per il 2019
Siccome va tutto bene, e la manovra del popolo lo farà andar meglio, non dovete affatto preoccuparvi di leggere gli ultimi dati sulle vendite al dettaglio che la solita diabolica Istat, in pervicacia osservazione della realtà (che neanche è stata eletta) ha diffuso oggi.
Notate la finezza. Prima le buone nuove e poi le cattive. Tanto lo sanno tutti che si e no uno su cento legge oltre al terza riga. Chiamarle buone nuove, poi, è un po’ esagerato. A parte che il tendenziale sul trimestre luglio-settembre è negativo, è negativo pure il congiunturale mensile (-0,8% in valore e -0,7% in volume), quindi le vendite rispetto al mese precedente, sia il tendenziale annuo (-2,5% in valore e -2,8% in volume), ossia le vendite rispetto a settembre 2017.
Degno di nota il fatto che su base annua calano sia le vendite alimentari (-1,6% in valore e -3,1% in volume) sia quelle di beni non alimentari (-3,1% in valore e -2,6%in volume). Fra questi ultimi ” si registrano variazioni tendenziali negative in quasi tutti i gruppi di prodotti, ad eccezione di Elettrodomestici, radio, tv e registratori (+2,1%)”. Il gadget elettronico è proprio l’oppio dei popoli del nostro tempo.
Ai pochi che sono arrivati fin qui farà piacere inoltre sapere che “a livello tendenziale, il valore delle vendite al dettaglio registra un calo dell’1,2% per la grande distribuzione e una diminuzione ancora più sostenuta, del 4,3%, per le imprese operanti su piccole superfici. Il commercio elettronico registra una crescita del 2,7%”.
A parte questo, si conferma la meravigliosa eccezionalità italiana che non poteva lasciare indenni le vendite al dettaglio, specie da noi che siamo di natura sparagnina e abbiamo capito che il conto ancora ce lo devono presentare. Nell’Ue, infatti, è andata diversamente.
Su base annua – mi limito a questo sennò vi ubriaco di cifre – nell’eurozona le vendite al dettaglio a settembre sono aumentate fra lo 0,7 e l’1,1%, a seconda del settore considerato. A noi è andata peggio. Ma in fondo è un dettaglio.
A domani.
Cronicario: Le correzioni che rimano con sanzioni
Proverbio del 5 novembre Nessun ago è appuntito su entrambe le estremità
Numero del giorno: 2.200.000 Famiglie italiane che avranno reddito di cittadinanza secondo M5S
M’ero persino dimenticato che c’abbiamo una manovra economica che balla sui tavoli delle cancellerie europee – ma ce l’abbiamo davvero una manovra economica? – quando d’improvviso arrivano loro: i commissari Ue.
Uno di loro, nientemeno che vice presidente della commissione, rilascia una dichiarazione memorabile, che infatti riporto così ce la ricordiamo che fra pochi giorni ci serve: “La Ue è impegnata in una discussione con l’Italia e spera di raggiungere un risultato costruttivo, c’è qualche margine, ma val la pena notare che il bilancio italiano devia in misura considerevole dalle regole, e dunque serve una correzione considerevole”.
Sennò che fai ci cacci (semicit.)? “Non vogliamo fare speculazioni, abbiamo bisogno di una risposta dalle autorità italiane e stiamo anche guardando a una procedura di deficit eccessivo sulla base della regola del debito. Se l’Italia non rispetta il braccio preventivo del Patto di stabilità, ciò potrebbe indicare che non lo è con la regola del debito”. Aldilà del periodare involuto (ma sarà colpa dell’accoppiata giornalista+traduttore) il senso è chiaro.
Poiché la rima baciata ispirerà sicuramente molti dei bardi finiti loro malgrado a tutela della cosa pubblica, è bene che sappiano che il loro eroico resistere alle malizie del commissario cattivo potrà giovarsi delle amorevoli cure del commissario buono che dice di volere con l’Italia un “dialogo vigoroso, continuo e ininterrotto”.
Mentre prega per il dialogo ininterrotto, il nostro commissario buono ricorda che le sanzioni sono “sempre ciò che può succedere alla fine, ma sono la peggiore delle vie d’uscita”. E siccome al peggio non c’è mai fine, è bene ricordare che fra pochi giorni usciranno le previsioni d’autunno delle commissione Ue, ed è assai probabile che l’Italia Zero abbia modificato le prospettive di crescita per il 2019, facendo sballare il racconto edificante costruito dalla Nadef. E qua casca l’asino.
Perché il governo prevede l’1,5% di crescita l’anno prossimo grazie ai super-moltiplicatori del deficit che nessuno ha capito come funzionano però ci credono in tanti. Ma non i commissari, buoni o cattivi che siano. Figuratevi che batosta se viene fuori che secondo loro nel 2019 cresceremo – chessò – dello 0,9%. Succede che finiamo sotto le grinfie del più cattivo dei commissari.
Nel frattempo gli amanti del Btp avranno di che pascersi. A prezzi stracciati.
A domani.
Cronicario: Occupazione e risparmio gettano la spugna con gran dignità
Proverbio del 31 ottobre Gli stolti attraversano la vita senza curarsi delle bellezze del creato
Numero del giorno 330.000 Aumento lavoratori over 50 in Italia da settembre 2017
Ora io a quelli che ci dipingono maestri del piagnisteo vorrei dire: andatevi a leggere che dice il boss dell’Acri, che non è un ridente comune del cosentino né la gloriosa cittadella crociata in Terrasanta dei bei tempi andati, ma l’associazione delle casse di risparmio che oggi festeggia in grande spolvero la 94esima giornata del risparmio. Ancora per poco, pare, perché continuando di questo passo il risparmio degli italiani sarà una bella storia da raccontare attorno al fuoco.
E che dirà mai? Presto detto: “Il risparmio privato – e non solo – non può venire sacrificato sull’altare del debito pubblico”. Anzi “è innanzitutto responsabilità del Governo di non mettere a rischio il risparmio degli italiani”.
Dulcis in fundo: ” Questo risparmio nelle ultime settimane è già stato significativamente ridotto”. Che non lo sapevate? Dai sì che lo sapevate. Non solo ve l’ha detto il vostro Cronicario, ma poi vi sarete accorti dello sguardo vitreo del vostro bancario quando siete andati a chiedere un mutuo, o – peggio – a chiedergli conto dei vostri investimenti in quei bellissimi Btp che collezionate dai tempi della nonna.
Ecco, a questi che ci accusano di essere piagnoni io vorrei dire: provateci voi a perdere un paio di cento miliardi, e voliamo bassi, in sei mesi e non inscenare una Traviata o almeno un Rigoletto. Noi ci siamo riusciti. Abbiamo incassato la perdita con gran dignità. Si vocifera che il consenso del governo sia sceso sotto il 60%. Ma è di sicuro un’esagerazione. Ma come in questo periodo stiamo dando prova di teutonica fermezza. Per dire, siamo esposti a un costante bombardamento di minchiate: tipo la storia della terra ai genitori di terzogeniti (ma dal 2019).
Ma soprattutto c’è quel fastidioso rumore di sottofondo chiamato esageratamente realtà che continua insistentemente a punzecchiare il governo del cambiamento. Non bastasse l’Italia Zero di ieri, oggi sempre la solita Istat, che evidentemente è matura per candidarsi alle elezioni, se n’è uscita con i dati sull’occupazione, che non sono proprio bellissimi.
Il che praticamente all’indomani dell’approvazione del mitico decreto dignità non è che giovi alla narrazione del popolo. Vaglielo a spiegare che i dati mensili non fotografano un trend a quello che ha perso il lavoro perché non gli hanno rinnovato il contratto e per giunta legge sulla stampa di regime che il reddito di sanchopanza arriverà chissà quando nel 2019. E tuttavia, anche stavolta, nonostante la suonata di sveglia, neanche un tremolio di palpebra presso il popolo del cambiamento. Per gli italiani, a quanto pare, vale quello che diceva la buonanima.
D’altronde, lo stato siamo noi no?
A lunedì
ps: toglietemi tutto, ma non il mio ponte (semicit).
Cronicario: Abbiamo abolito la povertà, ora tocca alla ricchezza
Proverbio del 16 ottobre La felicità raramente si accompagna a uno stomaco vuoto
Numero del giorno: 5,1 Crescita export italiano ad agosto su base annua
E finalmente capisco che è tutta colpa della statistica che dice e non dice, spiega e finisce con l’alludere, usa la lingua comune e genera enormi fraintendimenti, visto che le definizioni statistiche non hanno senso comune. Se il Governo del Cambiamento inanellerà una serie di capitomboli dovremmo prendercela, fra gli altri, con Eurostat che proprio oggi, che la Grande Manovra del Popolo viene svelata in tutta la sua meravigliosa sostanza, se ne esce con questa roba qua:
Ora che dovrebbe fare un qualunque Governo del cambiamento di fronte a dati che illustrano un paese dove quasi uno su tre è a rischio di esclusione sociale o di povertà? Dove ci sono più poveri che in Spagna, Portogallo e persino in Estonia, che già ricordarsi dov’è è difficile?
Già. Far cadere la manna del denaro pubblico su una platea di affamati deve esser sembrato il male minore al Governo del cambiamento, e chi se ne frega dell’Europa, che però ha trascurato un’altra statistica, stavolta fatta in casa.
O forse no. Forse l’ha letta talmente bene questa statistica che ha pensato bene di fare un condonino (cito dal titolo di prima pagina di un noto giornale fustigatore) per consentire ai poveri italiani in stato di necessità e a rischio di povertà di risparmiare su quella cartellina esattoriale di quella volta che proprio non ce l’hanno fatta a presentare la dichiarazione dei redditi o a pagare le tasse perché il commercialista era morto, pioveva, gli alieni avevano invaso la tangenziale, non si sentivano tanto bene e a un certo punto sono arrivate anche le cavallette (cit.). Quale governo avrebbe mai potuto resistere?
E così il contribuente in nero e la giustizia fiscale si sono incontrati per il loro ultimo (di una lunga serie a venire) bacio, infischiandosene di quella pletora di utili idioti che è costretta dalla ritenuta alla fonte a pagare tutto, pure il canone televisivo senza avere la tv. Serve aggiungere altro? La retorica della povertà impregna il nostro dibattito pubblico come lo spirito santo nel Medioevo. La Grande Manovra promette il Rinascimento, ma forse c’è un equivoco. La povertà è stata già abolita per decreto. Adesso si tratta solo di abolire la ricchezza.
A domani.
Cronicario: E il naufragar m’è dolce in questo sommerso
Proverbio del 12 ottobre La felicità dura un minuto l’infelicità il resto del tempo
Numero del giorno: 34.100.000.000 Surplus cinese verso gli Usa a settembre (+13%)
Leggo l’Istat e penso all’Infinito di Leopardi. Dal che deduco che è stata una settimana difficile non solo per i nostri Bot e Btp, per il DEF e per tutti i tecnici che sono stati invitati a candidarsi, ma anche per me. Le minchiate logorano anche chi non le fa. Sicché leggo la release Istat sull’economia sommersa in Italia, che vale un duecento miliardi di euro, e l’unica cosa che mi risuona in testa è che l’infinito non è una seduzione poetica fuori moda ma una solida realtà. L’infinito esiste e abita da noi. Siamo infinitamente furbi.
Siamo talmente furbi che occultiamo il 12,4 di pil e ci piacciono i governi che fanno del loro meglio per fare aumentare questo nero anziché esporlo al sole. Molti si dolgono a parole, ma poi applaudono ai condoni.
La nota Istat è una compilazione delle nostre furbizie. Per dire: il sommerso, ossia quella galassia di comportamenti non spiccatamente criminali ma semplicemente “furbi” – l’abusetto edilizio, lo scontrino in bianco, il lavoretto in nero – pesano 11 volte (192 miliardi) il valore delle attività illegali (18 miliardi) propriamente dette. Le sotto-dichiarazioni, ossia quel vasto elenco di comportamenti che costituiscono elusione o evasione fiscale, rappresentano il 45,5%. Un altro 37,3 riguarda irregolarità collegate al lavoro. Abbiamo un mercato del lavoro con bassi tassi di partecipazione, duale (a dire poco) e stra-tassato, e poi un paradiso fiscale lavorativo dentro casa. Per dire: nel 2016 i lavoratori irregolari erano 3 milioni 701 mila, in prevalenza dipendenti (2 milioni 632 mila), in lieve diminuzione rispetto al 2015 (rispettivamente -23 mila e -19 mila unità). Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza delle unità di lavoro (ULA) non regolari sul totale, era pari al 15,6%. E pensiamo pure ai redditi di cittadinanza.
Quest’andazzo riguarda tutti i settori, dalla manifattura ai servizi.
Ma non dobbiamo mica giudicare, per carità. E’ di sicuro evasione di necessità e serve la pace fiscale, perbacco.
E poi c’è pure da considerare che il sommerso, pure se non paga tasse, ha contribuito per un robusto +02% alla dinamica positiva del valore aggiunto. Mica bruscolini. D’altronde anche per le attività criminali più robuste fanno bene all’economia. “L’indotto connesso alle attività illegali, principalmente riferibile al settore dei trasporti e del magazzinaggio, si è mantenuto costante, generando un valore aggiunto pari a circa 1,3 miliardi di euro”, stima Istat, secondo cui abbiamo speso 15,3 miliardi in droghe illegali, quattro miliardi in servizi di prostituzione e un 600 milioni per le sigarette di contrabbando. Complessivamente le attività illegali hanno generato un valore aggiunto per 16,7 miliardi nel 2016 con consumi finali per quasi venti miliardi, pari all’1,9% dei consumi finali. Niente male per un popolo di furbi. Capirete perché tra questa immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo sommerso.
Cronicario: Se lo spread fa il Bot
Proverbio del 10 ottobre Il saggio non commette due volte lo stesso errore
Numero del giorno: 0,6 Impatto di crescita sul Pil della manovra secondo il governo
Il governo insiste, infischiandosene della burocrazia economica statale che come un coro critica la NADEF. Caso più unico che raro. Sicché decido di credergli: la Manovra Del Popolo è bella, ricca, identitaria, coraggiosa ma non impavida (cit.) e soprattutto prudente. E chi dice il contrario l’Europa lo colga. La possessione sovranista incede a passo di carica nella mia immaginazione mano a mano che il ministro Mammamia, che una volta rimava con Economia e adesso con ordalia, snocciola i dati della manovra: miliardi qua, miliardi là, trallallerollerolà.
La sinfonia di miliardi cantata dal ministro s’impossessa della mia attenzione come lo spirto guerrier ch’entro mi rugge, come diceva sovranamente il poeta. Fin quando a un certo punto, steso sul divano un ricordo seducente fa partire la mia mano. L’algebra ha la meglio: prendo la calcolatrice. Dice il ministro che faceva Economia ma ora sempre meno che le misure della manovra valgono 36,7 miliardi. Arrotondiamo a 37 sennò ci confondiamo subito. Quindici miliardi di spesa sono coperte, 22 no. Quindi sono in deficit. Ce li dobbiamo fare prestare. La scopertura non è una scoperta in sé, ma lo sono le stime di impatto sul pil delle singole scoperture.
Ah attenzione: dei 15 miliardi coperti quasi sette sono tagli mentre 8,1 sono aumenti di entrate. Entrate battono tagli, 1 a 0. Ma pure al netto di questa facezia, e stendendo un velo lagnoso su ciò che celano questi tagli e queste maggiori entrate, sono le stime di crescita pil delle misure in sé che mi appassionano. Complessivamente i 37 miliardi di manovra consentiranno una maggiore crescita del pil dello 0,6% nel 2019. Quindi sto spendendo un capitale in denaro (e in credibilità) per crescere una decina di miliardi in più rispetto alle previsioni inerziali. Nel 2019 il non aumento Iva, che costerà 12,5 miliardi, farà aumentare la crescita dello 0,2% del pil, quindi un tre miliardi e rotti a fronte di una spesa del quadruplo. Il reddito di cittadinanza e l’anticipo della pensione per i miracolati 62enni con 38 anni di contributi costerà 16 miliardi e farà crescere il pil dello 0,3%, quindi un po’ meno di cinque miliardi a fronte di una spesa tripla.
La Flat tax , che il primo anno costerà 600 milioni spingerà il pil dello 0,1%, ossia un po’ meno di un miliardo e mezzo per una spesa della metà (ma allora perché non tagliare le tasse di più?) e 3,5 miliardi di investimenti varranno appena 0,2% di pil, quindi altri tre miliardi e spicci. Le coperture costeranno minore crescita per 0,4 punti di pil. Ora, pure prendendo per buone le previsioni del MEF – il ministro si è risentito perché nessuno crede alle previsioni del MEF che non solo ha gli stessi modelli degli altri ma anche cervelli sopraffini, e quindi perbacco, crediamogli – un semplice calcolo di costo/opportunità mi fa dubitare fortemente che abbia senso spendere 16 miliardi, ossia un punto di pil, e litigare con mezzo mondo (l’altro metà sta in Italia a quanto pare) per spuntarne 0,3. Ma mi rendo subito conto che il mio è un “ragionamento da contabile”, come ebbe a dire all’alba un illustre parlamentare della maggioranza riferendosi ai tecnici dell’ufficio parlamentare di bilancio, che come è noto si occupano di papirografia.
Figuriamoci se la Manovra del popolo si può occupare di certe pinzillacchere. Odo la voce tonante di uno dei massimi esponenti del governo dire che “noi tiriamo dritto: neanche uno spread a 400 ci fermerà”, come pure aveva lasciato credere un altro ministro ieri sera, in evidente eccesso di realtà, e mi rassicuro. I mercati capiranno e l’iceberg sui cui rischiamo di schiantarci si sposterà come le acque del Mar Rosso al nostro passaggio. Siamo il governo eletto, che diamine.
La mistica verdolina aggiunge un altro grado lisergico al mio scombussolamento. E mica solo a me. La borsa rivide un timido rialzo e persino lo spread sembra ritirarsi intimorito dalle brigati gialloverdi, oggi vieppiù ardite alla faccia dei ragionieri. Ma poi capisco che è stato un diversivo. Viene fuori che il Tesoro ha collocato 6 miliardi di bot annuali a un tasso che sfiora l’1% (0,949) a fronte dello 0,436 di settembre con un rapporto di copertura in discesa da 1,91 a 1,63. Il contabile ha la meglio: pago il doppio (anche) perché ho meno domanda di Bot. Sull’annuale. E domani c’è un’altra asta, stavolta sul medio lungo. E a fine ottobre si replica, per giunta a valle del giudizio sulla manovra della Ue e delle agenzie di rating. Novembre è il più triste dei mesi, per chi cerca credito e sta al governo di un paese che ha tanto debito e vuole farne di più. Vi ricordate cosa accadde a novembre 2011 ai Bot semestrali?
“Faremo di tutto per riconquistare la fiducia dei mercati”, dice il ministro dell’ex Economia. Che problema c’è? Basta pagarli di più. Almeno per un po’. Poi neanche quello.
A domani.
















































