Le strade della globalizzazione: La rete terrestre dell’Eurasia

Non avrebbe alcun senso politico né tantomeno economico scomodare una categoria astratta come quella dell’Eurasia se a questa entità non corrispondesse già un coacervo di relazioni fra gli stati che la compongono. Queste relazioni sono del genere più svariato, ma condividono il principio base di ogni relazione sociale: un interesse comune. L’economia, che di questi interessi è semplicemente quello più visibile, trova nel commercio la sua principale manifestazione pratica e perciò letteralmente si rappresenta nelle vie di collegamento che, unendo gli stati, permettono loro di coltivare gli interessi comuni sotto la forma degli scambi. Se vuoi diventare ricco costruisci una strada recita un proverbio cinese.

Per tale ragione osservare la rete dei collegamenti terrestri che formano l’economia degli scambi dell’Eurasia ci consente di capire a che punto sia davvero arrivato il processo di consolidamento di questa entità. E ci consente anche di capire la portata strategica dell’ambizioso progetto cinese della Belt and Road initiative, che prima ancora di essere uno strumento tattico di penetrazione delle imprese cinesi (e quindi sostanzialmente del governo) in territori sempre più ampi – dall’Asia centrale, al Medio Oriente e all’Africa – è innanzitutto una manifestazione del pensiero che l’immenso continente euro-asiatico è nulla se non sarà possibile percorrerlo in tempi compatibili con le frenesia dei tempi moderni, come diceva un vecchio spot.

Per tale ragione è una ottima introduzione alla rete terrestre dell’Eurasia, intesa come il sistema dei grandi corridoi di trasporto che attraversano questo territorio, un paper pubblicato qualche mese fa dall’International Institute for applied system analiysis (IIASA), che ci consente di avere una buona visione d’insieme e anche una conoscenza approfondita di quanto pesi la rete terrestre, relativamente alla portata degli scambi che conduce, rispetto a quella marittima, che è ovviamente preponderante. Il colpo d’occhio è già illuminante.

Questa immagine ha il pregio di concentrare la nostra osservazione sulla porzione più vasta dell’Eurasia (senza l’Europa occidentale), ossia la parte più problematica da un punto di vista infrastrutturale. Al tempo stesso è la parte dove si concentra il maggiore sforzo per creare collegamenti, che significa relazioni economiche e quindi politiche. A parte la BRI cinese, c’è l’Eurasian Economic Union (EAEU) di Putin che di recente ha siglato accordi commerciali sia con l’Iran che con la Cina, ossia la premessa per infittire la rete di collegamenti che tali scambi portano necessariamente con sé.

Partiamo da alcuni elementi di fatto. Il trasporto marittimo al momento e nel futuro prevedibile domina gli scambi commerciali fra Cina e Unione Europea. Alcune stime collocano il mare come strada di collegamento per il 98% dei cargo che viaggiano dalla Cina all’Ue. Il trasporto aereo e quello ferroviario si contengono il resto, più o meno in parti eque a seconda delle stime. Circa l’80% dei carichi che viaggiano dall’Ue alla Cina sono trasportati in container. In particolare circa il 90% dei cargo importati dall’Ue dalla Cina e il 70-75% delle importazioni cinesi dall’UE. Questi numeri ci confermano l’importanza strategica del mare per il futuro della Cina e spiegano bene il grande sforzo cinese per lo sviluppo dell’economia del mare al quale ho dedicato un lungo approfondimento.

Detto ciò sarebbe un errore pensare che questa situazione non possa subire evoluzioni. Abbiamo già visto un caso concreto che illustra come interessi economici specifici abbiano condotto allo sviluppo di un collegamento ferroviario fra la Cina e la Germania. Non si tratta di un caso isolato. Il paper sottolinea come “negli ultimi quattro anni, i flussi di merci dalla Cina verso l’Europa per ferrovia attraverso l’EAEU sono raddoppiati ogni anno”. Si partiva da una base molto, ma comunque è il segnale di una tendenza destinata a infittirsi mano a mano che diverranno sempre più fitte le relazioni fra gli stati del continente. Nel 2016 sono stati spediti 97.000 container dalla Cina all’Europa tramite ferrovie e nella direzione opposta si è arrivati a 147.000. Abbastanza da poter convincere i tre “grandi azionisti” dell’Eurasia, ossia Cina, EU, e EAU, a mettersi seduti attorno a un tavolo per ragionare su come facilitare questi collegamenti, gravati da notevoli colli di bottiglia burocratici e tecnici. Parrà strano ai non addetti ai lavori, ma anche la diversa lunghezza dei treni da paese a paese complica la percorrenza dei grandi corridoi, per non parlare delle diverse regolazioni alle quali sono soggette le compagnie ferroviarie dei vari stati.

Uno dei punti nodali che deciderà il futuro di questi collegamenti ferroviari, secondo quanto riportano i nostri specialisti, sarà lo sviluppo delle ferrovie polacche e dai punti di attraversamento delle frontiere fra la Polonia e la Bielorussia. Questioni tecniche legate alla conformazione delle infrastruttura ferroviaria polacca costringono i treni che viaggiano lungo l’EAEU a rallentare notevolmente, aumentando i tempi di percorrenza. E inoltre il confine polacco-bielorusso, Brest–Małaszewicze non ha più capacità di contenere i flussi di merci, in tal modo indebolendo la capacità di carico del corridoio centrale euroasiatico.

Poi c’è la questione dei sussidi cinesi al trasporto ferroviario, che rappresentano insieme “un’opportunità e un rischio per il transito dei container trans-Eurasia”. Ciò per la semplice ragione che sussidiare il trasporto ferroviario, che ha molto migliorato l’economia dei trasporti in molte regioni euroasiatiche, rischia di far dipendere da questi ultimi lo sviluppo dei transiti terrestri, esponendoli ai capricci della politica, piuttosto che a quelli del calcolo economico, che almeno ha il vantaggio di essere prevedibile. Infine c’è la considerazione che le grandi aree che compongono l’Eurasia sembrano poco interessate a investire sui grandi corridoi. Diffidenze reciproche – l’Ue è molto prudente sull’ingresso di capitali cinesi nelle infrastrutture di trasporto europee e al tempo stesso è sempre meno riluttante a investire in Russia – e interessi preminenti – la Cina preferisce investire su petrolio, gas e miniere piuttosto che sui binari – rendono l’investimento sulle reti ferroviarie trans-eurasiatiche pressoché nulli. Gli sforzi finora vengono compiuti a livello domestico. “Un’indagine condotta su 30 società dell’UE (esportatori, imprese di trasporto e logistica) nell’ambito del progetto ha confermato fortemente queste conclusioni”, scrivono gli autori del paper. Significa soltanto che i mercanti scavano la loro via della seta e che i governi se ne tengono ancora ben lontani. Non è necessariamente un male. E’ così che comincia una civiltà.

(1/segue)

Puntata successiva : Le merci che viaggiano sulle reti dell’Eurasia

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