Fenomenologie giapponesi. La civiltà delle macchine

Viene in mente la civiltà delle macchine di Leonardo Sinisgalli, espressione coniata ormai decenni fa, leggendo dei vaticini che riguardano il Giappone, di cui ha trattato nel suo ultimo staff report il Fmi. A dimostrazione del fatto che le idee dei visionari incrociano ogni tanto la storia. E purtroppo questa sovente non è una buona notizia. La civiltà delle macchine di Sinisgalli era un connubio fra l’uomo e la sua proiezione tecnologica. Mentre nel Giappone immaginato dal Fmi la macchina finisce col sostituire l’uomo, che – semplicemente – sta smettendo di esserci.

A che servono allora le macchine in società che si riempiono di città fantasma? Per dirla semplicemente servono a sostenere i superstiti. A fare il lavoro che le persone, che sono sempre meno, non possono più fare, provando persino a tenere in piedi la produzione economica, che il calo della popolazione penalizza, evidentemente, così come affatica il bilancio dello stato, che deve in qualche modo farsi carico di una pletora crescente di anziani. Magre consolazioni, a ben vedere.

Però così va il Giappone – o forse dovremmo dire il mondo? – in questo inizio di XXI secolo che si prevede disastroso per la demografia dei paesi avanzati, replicando copioni che la storia ci ha già istruito a riconoscere come prodromiche di un declino culturale. Ma questo qui non rileva. Contentiamoci per il momento di osservarne gli esiti locali, almeno nelle congetture che ne fanno gli specialisti, che magari sono intrinsecamente bugiardi, ma comunque assai informativi.

Ad esempio quando sottolineano che le avversità demografiche giapponesi, oltre agli esiti che abbiamo già osservato, ne generano altri non meno significativi: “Le disparità di reddito in Giappone sono aumentate e l’invecchiamento della popolazione potrebbe esacerbare questa tendenza”, scrivono gli economisti del Fmi. La ragione è ovvia. Gli anziani hanno avuto più tempo per cumulare ricchezza, pure se hanno meno tempo per spenderla. Una situazione che noi italiani conosciamo bene. E poiché aumentano di numero, ecco che la diseguaglianza – altro feticcio del nostro tempo – è naturalmente destinata ad aumentare.

Di fronte a questa situazione il governo giapponese ha lanciato nel 2014 la “Japan Revitalization Strategy,” prevede una “New Industrial Revolution Driven by Robots” e non contento ha lanciato l’iniziativa “Society 5.0” nel 2019 con l’obiettivo di diffondere l’uso e il consumo di robot in tutto il paese. Robot operai, robot badanti, robot per tutto quello che si può fare coi robot.

La civiltà delle macchine giapponesi sembra fatta apposta per nutrire i peggiori timori luddistici che affliggono il capitalismo dalla sua nascita. Con la differenza rispetto ad allora che adesso coltivano piuttosto la speranza che i robot, l’intelligenza artificiale e i vari succedanei degli uomini almeno tengano in vita la società. Il grafico sotto rappresenta questa speranza.

La civiltà giapponese delle macchine dovrebbe – e mai condizionale fu più d’obbligo – essere più sostenibile e meno diseguale. E magari tutti (i superstiti) vivranno per sempre: felici e contenti.

(4/segue)

Puntata precedente: Le città che scompaiono

Puntata successiva: L’età della rendita

 

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