Il difficile equilibrio fra banche e moneta digitale di banca centrale

Per capire quanto le banche centrali prendano sul serio la questione delle Central bank digital currency (CBDC) basta notare che di recente la Bis, che in questi anni si può dire che guidi la ricerca sul tema, ha pubblicato alcuni rapporti che esplorano questioni funzionali di notevole importanza. Fra queste vale la pena segnalare quella che probabilmente inquieta di più i poteri costituiti: come armonizzare una CBDC con il sistema finanziario attuale che si basa in gran parte sulle banche commerciali, che non solo emettono la gran parte della moneta in circolazione tramite la loro attività di creazione di depositi e prestiti, ma sono di fatto la cinghia di trasmissione della politica monetaria.

Per capire quanto le banche centrali prendano sul serio la questione della salute degli istituti di credito, basta osservare come in apertura del rapporto dedicato al tema si ricordi che il principio fondamentale di queste ricerche sulle CBDC è quello di “no harm”, ossia, non danneggiare. Che, scrivono subito dopo, non vuol dire “non avere impatto”, ma che “le nuove forme di denaro fornite dalla banca centrale dovrebbero continuare a sostenere l’adempimento delle politiche pubbliche senza ostacolare e idealmente migliorare la capacità di una banca centrale di svolgere il proprio mandato per stabilità monetaria e finanziaria”. Detto semplicemente, le banche centrali sanno che devono cambiar tutto, ma devono fare in mondo che non cambi il meccanismo che si è costruito nel corso dei secoli e che garantisce il buon funzionamento del sistema finanziario.

Quest’operazione vagamente gattopardesca, sia detto senza spirito polemico, viene fatta innanzitutto perché si ha piena consapevolezza del fatto che se non ci penseranno le banche centrali a “digitalizzare” la moneta lo faranno altri. Non a caso viene agitato lo spauracchio delle stablecoin, che hanno ottima stampa e poco seguito popolare. Questi strumenti potrebbero determinare quegli effetti che si teme possano derivare dall’uso di CBDC, ma con meno benefici pubblici, ossia disintermediazione bancaria e frammentazione finanziaria. Necessario quindi muoversi prima. Da qui la notevole proliferazione di rapporti che analizzano le enormi complessità nascoste nel problema, che richiederà ancora anni di ricerche prima che le CBDC divengano una realtà.

Per il momento, infatti, malgrado tutte le banche centrali che animano il gruppo di ricerca coordinato dalla Bis siano impegnate in un percorso di sperimentazione, ancora nessuna di loro ha deciso nulla di concreto. Questo non vuol dire che non si farà. Semplicemente che questo momento deve essere preparato, spiegato analiticamente, comunicato estensivamente: bisogna rassicurare tutti gli agenti economici. Non danneggiare, appunto, che non vuol dire non avere un impatto.

Se usciamo da quest’ambito “politico”, rimangono sul tappeto le questioni tecniche che sono molto complesse. Le ultime tendenze illustrano che la pandemia ha aumentato la domanda di pagamenti digitali, ma rimane ancora notevole la tendenza all’uso del cash. Addirittura, prima della pandemia questa tendenza era in crescita. La domanda potenziale per una CBDC, quindi, è difficile da stimare. Anche perché in gran parte dipenderà dal modo in cui verrà concepita.

Alcuni studi, preparati su dati riferiti alle famiglie canadesi, stimano che tale domanda possa oscillare fra il 4 e il 55% del combinato cash e depositi, a seconda dell’attrattività con la quale la CBDC viene disegnata. Ad esempio se viene remunerata o meno. La Bank of England ha stimato invece che tale “migrazione” verso la moneta digitale riguarderà intorno al 20% dei depositi. Un’altra stima, elaborata sulle economie del G20, colloca tale domanda fra il 4 e il 12%.

Il tema non è da poco. La capacità di una CBDC di “sostituire” la moneta bancaria ha a che fare direttamente con la stabilità finanziaria. La creazione di moneta privata, infatti, è collegata con la fornitura di credito e con il funzionamento del sistema dei pagamenti. Al tempo stesso, queste attività hanno a che fare con la redditività delle banche, che perciò rischia di essere erosa in caso di “sostituzione” della moneta bancaria con la CBDC.

Nel caso ipotizzato dal gruppo di studi (grafico sopra) si ipotizza che le banche facciano fronte a un maggiore richiesta di prestiti all’ingrosso per compensare il calo dei depositi e continuare ad avere una quota adeguata di high-quality liquid assets (HQLA) sul lato degli asset necessari per una serie di requisiti, anche regolamentari. Uno dei problemi è che i tassi sui prestiti all’ingrosso sono più elevati di quelli sui depositi. Ciò impatta sia sui margini di intermediazione (net interest margins, NIMs) che sul RoE (return on equity).

Queste stime ci dicono già abbastanza per intuire la complessità dei temi che devono essere presi in considerazione. E non solo per le criticità che si possono immaginare. Ci sono anche effetti positivi che possono arrivare dall’adozione di una CBDC. Se con questa tecnologia diminuisce la domanda di contante, vuol anche dire che le banche devono gestirne di meno, che significa una notevole diminuzione dei loro costi. Si stima che i la spesa per gestire il contate pesi fra il 5 e il 10% dei costi operativi delle banche.

Non serve aggiungere altro. Le questioni tecniche avranno certamente la loro giusta considerazione. Ma è chiaro che la scelta finale sarà di tipo squisitamente politico. La decisione, di fatto, è stata già presa. Solo che bisogna lasciarla decantare qualche anno e intanto prepararsi. Tutto cambierà sperando di non cambiar nulla. Ma nulla sarà più come prima. E le banche centrali lo sanno perfettamente.

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