Etichettato: bis rapporto annuale

Aspettando (e sperando) il soft landing

Per comprendere lo spirito che agita i nostri osservatori, è sufficiente osservare che la Bis, nel suo rapporto annuale, ha dedicato un approfondimento al tema “quanto è probabile un atterraggio morbido?”. Il famoso soft landing, del quale si sente parlare da un decennio, mentre si aspettava, come Godot, che tornasse l’inflazione.

Adesso l’inflazione è arrivata. Forse troppo presto, forse troppo rapidamente. Ed ecco che gli auruspici dell’economia si trovano ad augurarsi che l’atterraggio dai mondi rarefatti del credito facile, che le banche centrali hanno dolcemente nutrito, sia davvero morbido, adesso che le stesse banche centrali minacciano di diventare arcigne.

Perciò: quant’è probabile che alla fine delle prossime strette monetarie l’atterraggio dell’economia sia davvero morbido? Ossia quanto è probabile che riusciamo a raffreddare l’inflazione senza finire in recessione?

L’esperienza storica suggerisce che non siano moltissime, queste chance. La Bis ha svolto una ricognizione analizzando i dati di 35 economia nel periodo 1985-2018, avendo come ipotesi restrittiva il rialzo dei tassi di interesse per tre quarti consecutivi. La recessione viene invece conclamata quando si osserva una crescita negativa per due trimestri. Se questa recessione si verifica entro i tre anni successivi al picco di restrizione monetaria, allora si parla di hard landing. Se invece la recessione non si verifica, allora l’atterraggio è stato morbido.

Questo, in breve, il quadro analitico. L’esame dei dati conferma che circa la metà degli episodi di restrizione nel periodo considerato hanno avuto un atterraggio morbido. E questa, a guardare il bicchiere mezzo pieno, somiglia a una buona notizia. Quella cattiva è che un hard landing risulta più probabile se l’episodio di restrizione interveniene in un contesto di fragilità finanziaria. “In particolare, una crescita accelerata del credito prima della restrizione è associata con un hard landing”.

Questa peculiarità è osservabile nella parte superiore della tabella sopra, alla voce credito alle famiglie in rapporto al pil.

A iniziare a farci vedere il bicchiere mezzo vuoto contribuisce anche la circostanza che le “vulnerabilità finanziarie è più probabile emergano quando i tassi sono bassi”, e per questo sovente l’hard landing di verifica quando l’episodio di restrizione inizia in un contesto di tassi bassi, sia reali che nominali (tabella sopra voce real policy rate). Dulcis in fundo, un atterraggio morbido è meno probabile se la durata delle restrizioni cresce.

Quanto agli esiti, di questi diversi atterraggi, l’hard landing di solito è associato con una brusca caduta del valore degli asset e a tassi reali ancora più bassi, spesso negativi. Perciò riuscire ad avere un atterraggio morbido è essenziale per normalizzare la politica monetaria. Non c’è molto altro che si può fare se non mantenere una certa freddezza nei comportamenti. A cominciare dalle banche centrali.

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Il vento anni ’70 che soffia sull’economia internazionale

Tanto tuonò che piovve, dice il proverbio. E tanto è risuonata la nostalgia di certuni, che alla fine il vento degli anni ’70, uno dei decenni peggiori della nostra storia recente, è tornato a soffiare sull’economia internazionale, rispolverando parole che ormai si sperava fossero definitivamente consegnate alla storia. Quindi inflazione. O, peggio ancora: stagflazione. Ma la Bis di Basilea, nel suo rapporto annuale, ne aggiunge altre due, che proprio in quegli anni disgraziati divennero di comune utilizzo: sistema monetario.

Ed eccolo qua il binomio terribile di quegli anni e dei nostri: inflazione&moneta. Binomio che iniziò a farsi conoscere a partire da quel 15 agosto del 1971, quando il presidente Usa Nixon annunciò alcune misure straordinarie proprio per interrompere la terribile spirale inflazionistica che stava devastando l’America. Se non avete mai letto quell’intervento, è un buon momento per farlo. Lo trovate a questo link.

Vi si leggono autentiche perle “contemporanee”. L’idea ad esempio di congelare i prezzi per 90 giorni per editto presidenziale, che oggi farebbe felici le popolazioni. Ma soprattutto la decisione, definita “temporanea”, di interrompere la convertibilità del dollaro, verso il quale si indirizzava impietosamente la speculazione internazionale. Ovviamente il dollaro non tornò più convertibile. E con questo la storia del sistema monetario cambiò per sempre.

Oggi la Bis ci ricorda che, insieme alla crescita dei prezzi molto anni ’70 con un rischio di stagflazione ancora basso ma comunque esistente, è in corso una profonda riflessione sul futuro del sistema monetario che passa dall’emersione delle criptovalute e dalla risposta istituzionale rappresentata dalla moneta digitale di banca centrale.

Il che lascia sospettare che la situazione sia molto più complessa di quello che appare. Il mondo di domani dovrà vedersela con un sistema monetario diverso, al quale si sta già lavorando proprio mentre il sistema che regge quello attuale – basato sulla funzione della banche centrali – entra sotto stress. Cattivo tempismo, quanto meno.

A questo quadro si aggiunge anche il fatto che nel 2021 si sono avuti tassi di crescita non più visti dagli anni ’70, appunto. Ossia l’ultimo periodo di tassi di crescita importanti per le economie occidentali. Solo che adesso, proprio come allora, lo slancio sembra essersi inchiodato, a causa delle nuove complicazioni sorte nel frattempo. La guerra ucraina, ovviamente, ma anche la coda inflazionistica generata dal Covid.

Lo shock della guerra è “inerentemente stagflazionario”, scrive la Banca. E soprattutto è diffuso. “Gli esportatori di materie prime se la passano meglio degli importatori. Ma per il mondo nel suo insieme, il risultato è inequivocabilmente contrazionario. Poiché le commodity sono un input chiave della produzione, un aumento del loro costo limita la produzione. Allo stesso tempo, l’impennata dei prezzi delle materie prime ha accresciuto l’inflazione ovunque, aggravando un cambiamento che era già in atto prima dell’inizio della guerra”.

E fin qui nulla di nuovo. La novità è che adesso le banche centrali dovranno agire per ristabilire la fiducia nella loro capacità di gestire l’inflazione. Per anni sono state “perdonate”, grazie alle loro elargizioni, malgrado non fossero in grado di pilotare verso i target un’inflazione ostinatamente bassa. Ma adesso non c’è da credere che verranno perdonate se non riusciranno a garantire la stabilità monetaria. E le banche lo sanno bene. Per questo in queste settimane si sono esibite in un numerosi annunci destinati a “tirare” la politica monetaria.

Non tutte però. L’Asia, a cominciare dal Giappone, ma anche la Cina, sembrano esenti da queste pressioni tanto che le loro banche centrali stanno proseguendo con gli allentamenti monetari. E anche in questo la crisi che stiamo vivendo somiglia a quella degli anni ’70. E speriamo che le somiglianza finiscano qui. Perché. forse non lo ricordate, dopo successe pure di peggio.

La Bis propone il Sistema monetario 2.0

Abbiamo bisogno di pensare ai grandi sistemi, visto che quelli piccoli stanno franando davanti ai nostri occhi. Dobbiamo alzare il capo dalle rovine della cronaca, cercare il filo del tempo fra le pagine della storia e da lì tentare di agganciarlo al treno del futuro, che passa davanti ai nostri occhi spesso troppo velocemente per essere intercettato.

Perciò bisogna leggere quello che scrive la Bis di Basilea in uno dei capitoli del suo ultimo rapporto annuale per la semplice ragione che discute di sistema monetario internazionale, ossia una cosa che ancora sostanzialmente deve essere reinventato dall’epoca del crollo del gold standard, nel 1914. Perché all’epoca una moneta internazionale c’era – l’oro – che aveva in una valuta nazionale di largo consumo che denominava ogni cosa – la sterlina – la sua controfigura. Mentre oggi abbiamo solo la controfigura – il dollaro – ma non abbiamo la moneta internazionale.

Poiché è difficile immaginare che emerga una nuova moneta capace di essere davvero internazionale perché non nazionale – l’oro era oro, non era emessa da uno stato – a meno di rivolgimenti geopolitici per adesso solo auspicabili, dobbiamo spostare il focus dell’attenzione non tanto sull’identità di questa moneta, quanto sulla sua morfologia. Ed è quello che fa la Bis, che punta su un concetto – la moneta è un affare della banca centrale, qualunque essa sia – e una tecnologia: la valuta digitale emessa dalla banca centrale. Questo è il punto focale.

Che la moneta di domani sarà in larga parte smaterializzata è di fatto una non notizia. E’ già così. L’uso di banconote fisiche, seppure ancora molto diffuso, declina costantemente. Ma soprattutto il contante fisico viene usato solo per piccoli pagamenti al dettaglio – escludendo dal computo l’economia illegale, ovviamente – mentre nei circuiti internazionali ormai il denaro è solo una scrittura su un libro mastro. Prevale di gran lunga il denaro bancario, insomma, che è una moneta creata dal settore privato, ma sostenuta dalla fiducia che prodotta dalla banca centrale. Per dirla più semplicemente: i depositi sono in euro, ma l’euro lo gestisce la Bce, con tutto quello che duecento anni di evoluzione del central banking significano.

Ribadire che la moneta di domani sarà smaterializzata, tuttavia, non è un semplice vezzo da banchieri. Bisogna ricordarlo nel momento in cui certi fenomeni legati al fintech – si pensi alle criptovalute – premono sull’acceleratore dell’innovazione proponendosi addirittura come validi succedanei della moneta bancaria “garantita” dalla banca centrale. Le varie stablecoin, ad esempio, che cercano di aggrapparsi a uno standard per risultare affidabili, salvo poi evaporare – è successo di recente con TerraUsd, non a caso ricordata dalla Bis – non appena gira il vento della fiducia.

Una innovazione importante, quella delle criptovalute, non tanto per gli esiti che andrà a interpretare nel grande gioco della moneta del futuro – al momento nessuno che sia privo di interessi in questo mercato può sul serio credere che una qualunque di queste monete sia davvero concorrenziale con una moneta di banca centrale, specie se di riserva – quanto per il fatto che ha costretto le banche centrali a svegliarsi. A nessun incumbent piace avere il fiato sul collo, e figuratevi quanto piace a chi ha vissuto per secoli in posizione di monopolio.

La nostra Biancaneve Centrale, perciò, si è messa a capo chino e ha cominciato a studiare. E il paper che avete sotto gli occhi ne è il risultato. Il sistema monetario 2.0 immaginato dalla Bis è disegnato per dare spazio ampio al settore privato, esattamente come adesso, stimolare l’innovazione tecnologica, favorire l’inclusione finanziaria e, dulcis in fundo, una sana circolazione monetaria internazionale. Con la Banca centrale a recitare insieme il ruolo di asse portante e tetto – canopy, il termine usato – di questo ampio ecosistema di soggetti. Come adesso, ma in maniera ancora più strutturale.

Il futuro, insomma, per come lo vede e lo propone la Bis, non sarà tanto diverso dal presente. Sarà solo digitale. E scusate se è poco.

Il mondo nella trappola del debito (e della liquidità)

L’84esima relazione annuale della Bis (Bri, in italiano) arriva in una calda domenica di giugno a preparare un’estate resa ancor più ardente dall’impennata di alta pressione non tanto barometrica – che sarebbe pure tempo suo – ma finanziaria, che ha reso torrido il clima sui mercati internazionali.

Costoro, i mitici mercati, non paghi di aver raggiunto vette storiche, perfette quindi rappresentazioni della straordinarietà delle politiche monetarie che le hanno rese scalabili, ancora in questa metà del 2014 si segnalano per fame di rendimento e quindi di rischio, ignorando, colpevolmente o quasi, che tale appetito sia figlio illegittimo di tale straordinarietà.

Dare soldi gratis, insomma, gonfia di liquidità gli investitori e al tempo stesso abbassa i rendimenti. Con la conseguenza che i soldi gratis non rendono nulla, a meno di non rischiare l’osso del collo.

Ed è proprio su questo crinale, da dove s’intravede il precipizio di una drammatica riprezzatura degli asset, che l’economia mondiale assiste attonita alla sua altrettanto drammatica impennata del debito globale, cui si accompagna finora docile e rassicurante, un’ampia liquidità che le banche centrali promettono docile e abbondante anche in futuro, pur consapevoli come sono – la Bis, in quanto “banca centrale delle banche centrali”, è la principale voce della loro coscienza – che rischiano il collo anch’esse, e con loro gli Stati che le hanno create, qualora arrivasse un’altra recessione.

Sicché ha gioco facile la Bis a invocare una nuova bussola capace di orientare l’economia internazionale e quindi condurla fuori dalle secche del debito, ancora elevatissimo, e della liquidità, altrettanto abbondante e non a caso, che hanno intrappolato i mercati, ma sarebbe più giusto dire gli stati a questo punto, nella camicia di forza di una crescita anemica e spaventevole, perché s’intravede debole anche per gli anni a venire, quando la pressione demografica che grava sul ricco Occidente renderà periclitante la produttività e insieme esorbitanti i costi della sicurezza sociale. “Si parla addirittura di stagnazione secolare”, avverte la Bis, ormai preda della sindrome di Cassandra.

Che fare dunque?

Godersi i rendimenti finché ci sono, suggerisce l’esperienza, che nulla ha che vedere col buon senso. Perché dal crinale il precipizio si vede benissimo e sembra ricordarci il destino che attende noi tutti non appena l’euforia si trasformerà in depressione, con l’incertezza sul quando unica rimasta sul tappeto dell’analisi.

In alternativa rimane solo l’appello alle ormai mitiche riforme strutturali, laddove gli stati dovrebbero esser capaci di capire come sboccare il meccanismo della produttività ormai inceppato, senza peraltro spiegar bene, tale opzione, dove mai tutta questa riconquistata produttività dovrebbe sfogare il suo potenziale di crescita, atteso che poi, pure essendo assai produttivi, c’è sempre qualcuno che deve comprarle le nostre merci.

La risposta dal lato dell’offerta, suggerita dalla Bri, insomma, presuppone una rinnovata propensione al consumo globale, laddove finora, lo dice sempre la nostra Bis, le politiche fondate sulla domanda (a cominciare da quella pubblica) hanno sostanzialmente fallito il loro scopo esplicito – ossia far ripartire la crescita – servendo soltanto allo scopo implicito, ossia salvare le banche e il sistema finanziario, pure se a un costo esorbitante.

E questo è precisamente uno dei punti: il mondo sta sperimentando una terribile e pericolosa trappola del debito.

Il tanto decantato de-leveraging che così tante cronache affolla, a livello aggregato semplicemente non c’è stato. Anzi: i debiti sono aumentati. Sicché da una parte la Bis dice che bisogna smetterla di pensare di usare il debito come un volano della crescita, e dall’altro non può che prendere atto del fatto che non ci riusciamo.

Un bel grafico sommarizza con rara efficacia questa situazione.

Nel 2007 le economie avanzate avevano un livello di debiti (pubblici e privati insieme, escluse le banche) che quotava 135 trilioni di dollari, pari a circa il 250% del loro Pil. Nel 2010, a causa della crecsita di circa il 40% dei debiti pubblici, il totale dei debiti è arrivato a sfiorare il 270% del Pil, e lì è rimasto anche nel 2013.

Se guardiamo ai paesi emergenti, a fine 2007 i debiti superavano di poco i 60 trilioni, la metà circa dei quali concentrati nelle imprese non finanziarie, ma già nel 2010 arrivava ad 85 trilioni, con crescita di tutti i settori per superarli, in larga parte a causa della crescita del debito corporate a fine 2013, superando ormai ampiamente il 150% del loro Pil.

Se guardiamo al mondo nel suo complesso (Arabia Saudita, area dell’euro, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Corea, Giappone, Hong Kong SAR, India, Indonesia, Malaysia, Messico, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Russia, Singapore, Stati Uniti, Sudafrica, Turchia e Ungheria), i circa 110 trilioni di fine 2007 sono diventati i quasi 130 di fine 2010 e lì sono rimasti, ormai vicini al 250% del Pil.

In questa generale esplosoni di debiti, quasi ad aggravare le difficoltà di trovare una via di fuga dalla trappola, c’è anche la circostanza che le situazione sono molto diverse da paese a paese. Alcuni debiti sembrano insostenibili, specie pubblici, altri sembrano covare sotto cenere, pensate al caso cinese, altri ancora minacciano di esplodere in tutta la loro virulenza non appena il barometro finanziario cambierà segno.

Dopo l’estate arriva l’autunno, d’altronde.

E questo non serve che ce lo ricordi la Bis.

Leggi la relazione annuale della Bis in italiano