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Il nuovo numero di Crusoe: Il club dei mercanti di armi. Grazie a @cac_giovanni per la splendida Chat
Il nostro viaggio nell’economia reale, iniziato con una ricognizione del settore dell’acciaio con le sue complesse ramificazioni internazionali, si arricchisce questa settimana di un capitolo dedicato a un altro settore che ha profonde ramificazioni internazionali e geopolitiche, trattando di una materia per sua natura conflittuale: le armi.
Abbiamo recuperato un po’ di dati recenti sul mercato delle armi, su chi siano i principali player di questo delicato (e costoso) mercato che ogni anno mobilita centinaia di miliardi e in qualche modo cambia le mappe del potere nel mondo. Abbiamo visto la straordinaria crescita della Cina, come importatore ma soprattutto come produttore, e scoperto il peso specifico, nel mercato delle importazioni, dell’Asia, a cominciare dal Medio Oriente. Il mestiere delle armi smuove legioni di mercanti, ma soprattutto smuove i governi, che stanno dietro a queste transazioni che replicano la filigrana di alleanze e inimicizie assai più chiaramente delle correnti diplomatiche.
Nella Chat di questa settimana abbiamo chiacchierato amabilmente con Giovanni Caccavello (su Twitter: @cac_giovanni), che, vivendo a Londra, ci ha fornito alcune visioni di prima mano sul mondo britannico alla vigilia della Brexit vera e propria, ossia l’inizio della trattativa con l’Ue. Poi, ecco le notizie imperdibili degli ultimi cinque giorni. La lettura di questa settimana è dedicata alla Quarterly review della Bis, che contiene analisi e dati molto interessanti da osservare sull’evoluzione dell’economia internazionale. Chiude la nostra newsletter la solita selezione di notizie invisibili: quelle che trovi solo su Crusoe.
Buona lettura. Ci rivediamo il 17 marzo.
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Il mondo nell’età dell’acciaio
L’economia digitale alla quale abbiamo dedicato tanti approfondimenti in queste ultime settimane su Crusoe, è un sogno immateriale, per non dire astratto, che si fonda però su concretissime basi materiali. Dietro internet ci sta un mondo di reti, che sono oggetti fisici – cavi sottomarini, router, satelliti, antenne – e dietro queste reti ci sono entità che le posseggono o quantomeno le gestiscono – governi, compagnie private, fondazioni – che vivono e si muovono in uno spazio fisico. Le persone che le popolano guidano un’auto per andare al lavoro, o prendono un treno oppure un aereo. Alloggiano in uffici più o meno grandiosi, ne progettano di ancora più grandiosi, mentre intorno a loro si muove tutto un mondo di commerci di beni e servizi – quella che conosciamo come globalizzazione – che incoraggia altri progetti di espansione, o almeno così succedeva fino a pochi anni fa, quando la crisi ha spezzato le reni allo sviluppo, che oggi appare lento e svogliato.
Ma questo non vuol dire che sia cambiato il mondo. Alla base della crescita ci sono i progetti di sviluppo e questi progetti, per potersi realizzare, hanno bisogno di persone in movimento, uffici, scambi di beni e servizi. Ed è qui, in questa filigrana di relazioni, che troviamo la materia dei nostri sogni di crescita infinita: l’acciaio.
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La Chat di Crusoe con @certainregard: Il peccato originale dell’eurozona
Questa settimana Crusoe (C) si è piacevolmente intrattenuto con roundmidnight (R) @certainregard
C. Buongiorno. Vorrei cominciare la nostra Chat con un paio di notizie che arrivano dall’Europa. La prima riguarda la Grecia, di cui ha discusso l’Eurogruppo. La seconda il dato sui prezzi alla produzione tedeschi, cresciuti del 2,4% a gennaio 2017 su base annua. Cominciamo dalla Grecia: cosa ti aspetti succeda con l’ennesimo capitolo di questa vicenda?
R. La situazione greca denuncia l’incompletezza strutturale originaria dell’eurozona. L’eurozona, a differenza degli Stati Uniti, nasce con un alto indebitamento degli Stati membri, con un alto grado di bancarizzazione e con un forte legame tra debito degli Stati e attivo della banche. La malattia dell’uno diventa la malattia dell’altro e viceversa. In questo contesto, finché non si sarà spezzato questo legame (e non sarà stato adottato un framework per la ristrutturazione del debito pubblico), le istituzioni europee sono costrette ad intervenire per salvare entrambi, trovandosi costrette, nel contempo, a fare la faccia feroce per limitare l’azzardo morale e l’eccessiva espansione dei deficit pubblici, rendendo ancora più forti le voci contrarie all’Unione europea.
Nel caso della Grecia vi è un interesse comune: da un lato (quello delle istituzioni europee) a dimostrare l’irreversibilità dell’euro e dall’altro (quello della Grecia) a non uscire dall’euro. Il debito greco è ormai in gran parte in mano alle istituzioni europee e la spesa per interessi, in percentuale al PIL, è sostanzialmente pari a quella di altri paesi periferici dell’eurozona. Il problema del debito greco, quindi, è più un problema che riguarda l’eventualità di un futuro (seppure ancora remoto) accesso autonomo ai mercati, senza il sostegno delle istituzioni europee. In quel caso, chiaramente, i tassi di mercati applicati ad uno stock di debito così elevato, determinerebbero una situazione insostenibile. E’ però impossibile che le istituzioni europee possano accettare un taglio del debito, perché significherebbe violare un principio cardine, quello del divieto di finanziamento dei paesi membri, con la creazione di un precedente pericoloso. Ritengo, quindi, che alla fine si troverà una soluzione già sperimentata: ridurre ulteriormente (con più azioni) il peso degli interessi lasciando maggior margini al bilancio statale greco. La Grecia, però, soffre degli stessi problemi italici: non si sta dimostrando capace a riformare veramente il paese, cancellando rendite e ingiustizie e valorizzando merito ed efficienza. E questo non potrà che continuare a far pagare la crisi agli strati della popolazione più deboli, con tutte le tensioni del caso e il riproporsi delle stesse problematiche nel tempo.
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L’economia dell’Intelligenza artificiale
La prima macchina intelligente sarà anche l’ultima macchina creata dall’uomo, scrisse qualcuno tanti anni fa, evocando timori millenaristici che poi tanta fiction ha reso popolari. E tuttavia ciò non ha avuto il minimo effetto dissuasivo sulla ricerca del nostro moderno sacro graal: l’intelligenza artificiale. Moderno, poi, per modo di dire, estrinsecandosi la modernità in null’altro che nei mezzi tramite i quali questa ricerca viene condotta. Ma se guardiamo ai fini, agli esiti che si propone di raggiungere, il robot intelligente del XXI secolo non è poi così diverso dall’homunculus degli alchimisti: rappresenta la sfida dell’uomo alla natura, o a Dio per chi ci crede, nella forma della creazione di un essere intelligente che sia servo dell’uomo al fine di liberarlo da ciò che non vuole più fare. E poi cosa farà quest’uomo finalmente libero?
Questa domanda sembra relegata al piano inferiore delle questioni sociali. Salvo quando si ricorda che un uomo improvvisamente non più schiavo di dover fare un lavoro sgradevole, perché al suo posto ci sarà una macchina, dovrà comunque avere un reddito da consumare, perché sennò nessuno pagherà l’energia per la macchina che produce per lui. Ed è qui che l’economia fa capolino. Ma se guardiamo meglio, tutto il mito dell’intelligenza artificiale è permeato dall’economia. “L’intelligenza artificiale (AI, ndr) dovrebbe essere benvenuta per i suoi benefici economici potenziali,”, recita un rapporto presentato dalla Casa Bianca nel dicembre scorso (“Artificial intelligence, automation and the economy”).
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Il nuovo numero di Crusoe: Economia dell’intelligenza artificiale. Grazie a @certainregard per la splendida Chat
Si parla tanto di Uber, meno del fatto che Google ha fatto causa a Uber per un presunto furto di progetti sull’auto che si guida da sola. Si parla tanto dei benefici del progresso tecnico, meno della circostanza che questo progresso genere effetti molto difficili da prevedere di regresso, innanzitutto nei posti di lavoro. E il grande protagonista di questi cambiamenti non è un’app, ma una tecnologia sul crinale di una svolta clamorosa: l’intelligenza artificiale. Questa settimana Crusoe presenta un paper pubblicato dalla Casa Bianca a dicembre scorso, che tenta un’analisi e una rappresentazione dei benefici e i costi economici che covano dietro questo straordinario progresso, a metà fra scienza e fantascienza quanto agli esiti, ma già ben delineato negli effetti potenziali che potrà generare nei mercati del lavoro finendo l’opera di marginalizzazione ed espulsione di quei lavoratori – i cosiddetti low skilled – che già hanno pagato un caro prezzo al processo di globalizzazione negli ultimi venti anni.
La Chat di questa settimana con @certainregard è stata lunga e appassionante, piena di informazioni, analisi e visioni informate dei prossimi mesi, con qualche suggerimento utile per la scelte economiche di tutti i giorni. La lettura consigliata e sul sondaggio congiunturale di Bankitalia sul mercato delle abitazioni, ottimo indicatore del clima che si respira dietro il mattone. Chiude il numero la solita selezione di “notizie invisibili”, quelle che trovi solo su Crusoe.
Ci rivediamo il 3 marzo.
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La lenta estinzione dei negozianti
Il profondo sommovimento economico e politico reso possibile dalle tecnologie digitali si potrebbe rappresentare con una sola parola: disintermediazione, ossia eliminazione dei corpi intermedi che separano un bene o un servizio da chi vuole fruirne. Qualche esempio aiuterà a comprendere. Fra la fonte di un’informazione e chi fruisce dell’informazione ci sta di solito un corpo intermedio, ad esempio un giornale. Fra la sovranità politica e l’esercizio di questa sovranità ce ne sta un altro, ad esempio un politico eletto o un’istituzione. Fra chi produce un frullatore e chi lo compra ce ne sta un altro ancora, ad esempio un negozio.
Questa organizzazione dura da secoli e ancora è quella che va per la maggiore. Con la differenza che oggi viene questionata sempre più fermamente, e non solo da cittadini delusi dalla politica che pensano di poter votare le leggi on line. Ma anche dagli smanettoni che creano monete virtuali e sistemi di pagamento come Bitcoin per disintermediare le transazioni monetarie e liberarsi delle banche. E ancora di più dai produttori, che hanno scoperto di poter tagliare drasticamente la catena di distribuzione, e quindi riportare profitti su di sé, consentendo al tempo stesso di far risparmiare anche il consumatore. In sostanza produttori e consumatori si dividono le spoglie del povero commerciante, ossia il soggetto che mediava fra il bene e il consumatore, che ormai sta gradualmente scomparendo. Nell’epoca di internet non serve una persona che compri per rivendere. Bastano un computer e uno spedizioniere e una struttura che gestisca il back office delle transazioni on line.
Questa tendenza la sua può osservare guardando una tabella che ho trovato su uno studio recente di Credit Suisse.
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Il nuovo numero di Crusoe: L’estinzione dei negozianti. Grazie a @liukzilla per la splendida Chat
Si chiama disintermediazione ed è il processo, frutto dell’evoluzione tecnologica, che sta cambiando sostanzialmente non solo il paradigma economico, ma anche quello sociale e politico. Le persone non vogliono più corpi intermedi fra sé e il proprio bisogno. Mi serve un passaggio? Uso una app che me ne trova uno non chiamo un tassista. Voglio informarmi? Vado a leggere la fonte, non compro un giornale. Mi serve un libro? Lo compro su Amazon, non mi serve un libraio.
Questa settimana su Crusoe osserviamo come la disintermediazione stia gradualmente facendo scomparire la vecchia professione del negoziante, ormai sostituito da un computer e uno spedizioniere. Nei prossimi numeri faremo altre ricognizioni, ma prima ancora bisogna comprendere che questa evoluzione è intrinseca nella nuova globalizzazione rappresentata dall’economia digitale, e poi che i corpi intermedi – e lo stiamo vedendo con la protesta dei tassisti – non si estingueranno senza combattere.
Questa settimana troverai anche una bellissima Chat con @liukzilla, che è un vero viaggio nella contemporaneità economica. Abbiamo chiacchierato amabilmente a lungo, quindi te la puoi godere poco alla volta. Alla fine avrai molto più chiaro di prima quello che sta succedendo intorno a noi, e speriamo ti aiuti a fare le scelte giuste ogni giorno.
La lettura della settimana è dedicata al rapporto Ocse sull’Italia, presentato pochi giorni fa a Roma. Viene fuori un paese complicato, con qualche progresso e tante cose da sistemare. Leggerlo aiuta a sapere e a capire. Infine, le nostre notizie invisibili, quelle che leggi solo su Crusoe.
Buona lettura. Ci rivediamo il 24 febbraio.
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La Chat di Crusoe con @keynesblog: Successo tedesco frutto del mix fra stato e mercato
Questa settimana Crusoe (C) si è piacevolmente intrattenuto con Guido Iodice curatore del sito keynesblog.com, @keynesblog (K)
C. Buongiorno Guido, vorrei partire dall’attualità. Sono appena usciti i dati sui nuovi ordini in Germania (+5,2% a dicembre) e sulle retribuzioni reali (+1,8% nel 2016). Te li aspettavi?
K. Sono anni che i più anti tedeschi prevedono disastri per la Germania, che puntualmente non si verificano. La Germania ha avuto la capacità di trovare nuovi mercati di sbocco e nonostante la crisi dell’eurozona degli scorsi anni ha aumentato il suo surplus puntando fuori dall’area euro. Il dato attuale è invece frutto della crescita della domanda interna e della ripresa di alcuni paesi dell’eurozona. La realtà è che la Germania è una macchina quasi inarrestabile. Per fermarla servirebbe una guerra. Spero che The Donald si limiti a quella delle parole.
C Mi sono sempre chiesto quale sia il segreto del successo dell’economia tedesca e soprattutto come faccia a rimettersi in piedi ogni volta. Ma a quanto pare la Germania ispira più antipatia che curiosità. Tu come la vedi?
K Vi sono molti elementi, alcuni dei quali sono legati alla contingenza, altri sono invece una costante nella storia tedesca. Tra questi direi i fattori istituzionali. Uno stato che funziona come un abilitatore del settore privato (si pensi alla KfW) permettendo di affrontare brillantemente sfide che per altri sono più complicate. Un’industria con una dimensione ottimale delle imprese, a differenza della nostra. Una certa spregiudicatezza nel perseguire l’interesse nazionale e soprattutto dei campioni nazionali. E un certo grado direi di programmazione economica. Può sembrare un’eresia dirlo ma la patria dell’ordoliberismo è molto poco liberista. Il suo successo è frutto di un mix di stato e mercato. Pensa alle riforme del lavoro: lo scopo era di contenere i salari. Ma quando è stato necessario hanno aumentato le retribuzioni, anche quelle dei minijobs, e istituito il salario minimo. In pochissimo tempo e con una sostanziale unità di intenti tra governo, industria e sindacati. Persino un paese ben organizzato come il Giappone non vi è riuscito.
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Caccia al tesoro delle multinazionali
L’altra faccia della nuova globalizzazione, della quale abbiamo parlato sul numero otto di Crusoe, è inevitabilmente una nuova tassazione globale. In tal senso alle enormi opportunità che offre l’economia digitale, come strumento di diffusione di business, corrispondono enormi sfide sul versante della tassazione che per loro natura non possono che essere trans-statali. Ciò spiega perché la questione fiscale, una volta esclusivo appannaggio degli stati nazionali, sia finita sui tavoli delle organizzazioni internazionali che, meglio di altri, sono in grado di sfruttare gli asset che offre l’economia digitale: enormi basi di dati sulla ricchezza che viaggiano nello spazio di un click.
Si parte da qui per costruire strumenti capaci di captarne l’evoluzione e le furbizie, che inevitabilmente si annidano nelle pieghe di regimi fiscali sovente compiacenti. La polemica sui paradisi fiscali è troppo nota perché si abbia bisogno di ricordarla qui. Meno nota, e assai più interessante, è il dibattito che si sta sviluppando sulla questione della tassazione dei grandi giganti di internet, che poi sono le colonne dell’economia digitale. Dalle cronache emergono ogni tanto sbuffi di fumo che fanno capire che qualcosa cuoce in pentola, ma di concreto si è visto ancora poco. La natura stessa dell’economia digitale, smaterializzata, invisibile e sfuggente, rende molto difficile immaginare che uno stato possa inventare da solo gli strumenti necessari per costringere i signori della rete a versare qualche goccia dei loro profitti nelle sue esauste contabilità. Anche perché questi giganti, in gran parte residenti in California, le tasse le pagano già negli Stati Uniti.
Ciò che si vorrebbe aggredire infatti non è l’evasione, ma l’elusione fiscale, ossia gli stratagemmi per pagare meno quello che dovrebbe essere più caro. Il caso sollevato dall’Unione Europea su Apple e le tasse irlandesi è l’esempio forse più noto degli ultimi tempi. Mentre di recente l’Australia ha iniziato a discutere di una tassa su tutte le transazioni on line, che valgono circa 7,3 miliardi di dollari.
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Il nuovo numero di Crusoe: La globalizzazione delle tasse. Grazie a @Keynesblog per la splendida Chat
Questa settimana Crusoe ti racconta l’altra faccia della nuova globalizzazione, della quale abbiamo discusso nel numero otto: la globalizzazione delle tasse. Dal 2009 sono state sviluppate diverse iniziative internazionali per provare a drenare ricchezza dalle casseforti delle multinazionali, che fanno arbitraggio fiscale sfruttando le asimmetrie regolatorie che insistono fra i differenti paesi. Anche questa è una delle conseguenze della crisi, che ha reso gli stati sempre più bisognosi di risorse, e insieme del progresso tecnologico, che ha semplificato e reso endemiche la pratiche di elusione fiscale.
L’occhio degli osservatori, che sono entità sovranazionali come l’Ocse o il Fmi, si è concentrato sui giganti di internet, che però non sono gli unici ad aver goduto dei vantaggi della globalizzazione. Ma spuntarla è molto difficile.
Di globalizzazione parliamo anche con @Keynesblog, nella nostra Chat, dove abbiamo affrontato un viaggio straordinario nella cronaca e nella storia, con un occhio sui tormenti dell’eurozona, alle prese con l’ennesima messa in discussione del suo futuro, fra crisi greca ed elezioni franco-tedesche (e forse italiane) e l’incognita Trump+Brexit che sembra fatta apposta per generare inquietudini.
La lettura di questa settimana è una sintesi dell’ultimo Quarterly bulletin della BoE, dove si analizzano la ragioni per le quali le imprese britanniche hanno investito meno di quanto avrebbero potuto, utilizzando una nuova metodologia di raccolta delle informazioni che permette una visione più dettagliata dei problemi incontrati. La questione dell’andamento stracco degli investimenti, che abbiamo affrontato nel numero nove di Crusoe, merita di essere seguita a approfondita, trattandosi di questione strategica per il nostro futuro.
Chiude il numero una selezione delle nostre “notizie invisibili”, ossia quelle che trovi solo su Crusoe.
Ci rivediamo il 17 febbraio.
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