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Alla scoperta del magico mondo delle obbligazioni cinesi
Dire che il mercato obbligazionario cinese sfiora ormai il 100% del pil per un valore superiore agli 85 trilioni di yuan è un dato suggestivo ma ancora poco informativo. Abbiamo visto che questa montagna di carta si distribuisce in due mercati, uno interbancario, dove ne risiede la grande maggioranza, e uno quotato. E abbiamo imparato come sono organizzati questi mercati. Sappiamo altresì che qui vengono scambiati bond del governo, delle imprese non finanziarie e di quelle finanziarie. Per grandi linee, il mercato obbligazionario cinese non è così diverso da quello Usa. Ma dietro l’apparenza si celano molte differenze. E per scoprirle dobbiamo andare a vedere, aldilà delle macroaree, il dettaglio delle varie tipologie di obbligazioni. Non saremmo in grado di capire la complessità del sistema finanziario cinese, del quale l’obbligazionario è quota assai importante, se non lo facessimo. E quindi non saremmo neanche in grado di valutarne la rischiosità.
La prima categoria che andiamo ad osservare è quella dei bond del governo (Treasury Bonds, 国债) emessi dal ministero delle finanze e che quindi hanno come sottostante sostanzialmente il prelievo fiscale e godono del merito di credito del governo. Ci sono due tipi principali di titoli che fanno parte di questa categoria. I book-entry treasury bond, titoli dematerializzati che possono essere scambiati e trasferiti sul mercato e certificati di buoni del tesoro che non possono essere scambiati e quindi utilizzati principalmente come veicolo di risparmio, e poi i certificati di buoni del tesoro che non possono essere scambiati e che quindi vengono in gran parte utilizzati come veicolo di risparmio. In entrambi i casi di tratta di asset estremamente importanti per il sistema finanziario, trattandosi peraltro dello strumento principe attraverso il quale la banca centrale svolge le sue operazioni di mercato aperto. Il mercato dei bond sovrani cinese ha un mercato secondario molto liquido e voluminoso. Alla fine del 2018 i bond del Tesoro quotavano 15 trilioni di yuan, circa il 17% del mercato complessivo. Una quota inferiore rispetto al confronto con gli Usa (46%). Il tasso di interesse di questi prestiti viene determinato da aste cui partecipano gli operatori finanziari, per lo più banche commerciali.
Un gradino più sotto ai bond del Tesoro troviamo quelli municipali (Municipal Bonds, 地方政府债), al centro della recente manovra espansiva del governo. Questi titoli vengono emessi dai governi locali. Si tratta di un mercato che praticamente non esisteva prima del 2009, nato come conseguenza allo straordinario stimolo fiscale che Pechino volle dare all’economia per bilanciare la crisi internazionale. La gestione di questo debito è stato sempre problematica, con le autorità centrale impegnate in un costante tira e molla con i governi locali che hanno preso sempre più gusto nell’emettere debito per finanziare i loro investimenti tramite appositi veicoli governativi (Local Government Financing Vehicles, LGFVs, 地方政府融资平台). Nel 2015, ad esempio, ci fu una notevole impennata nelle emissioni, che arrivarono a 2,8 trilioni di yuan, due dei quali sono stati usati come swap di debito emesso proprio da questi veicoli. Alla fine del 2018 il valore delle obbligazioni municipali aveva superato i 18 trilioni di yuan, superando quindi quelle del governo centrale. La maturità media di questi debiti è di 6,4 anni e a loro è stata assegnata una rischiosità pari a zero. Sono di fatto assimilati a titoli del governo. E questo spiega perché siano detenuti in larga parte (l’85%) dalle banche commerciali.
Al gradino successivo troviamo i bond emessi dalla grandi banche strategiche del governo. Parliamo dei Policy Bank Bonds (政策银行债). Come già sappiamo la Cina ha tre grandi policy bank che stanno alla base dei disegni strategici di Pechino, a cominciare dalla Bri: la China Development Bank, l’Export-Import Bank of China e l’Agricultural Development Bank of China. Queste banche furono istituite nel 1994 come strumenti tecnici per i prestiti governativi, quindi i bond che emettono per finanziare questi prestiti hanno la garanzia implicita del governo e sono considerati quasi bond sovrani e quindi esenti da rischio. Per questo le banche commerciali assegnano rischio zero a queste obbligazioni quando le tengono nel loro bilancio.
Alla fine del 2018 c’erano 14 trilioni di yuan di obbligazioni delle policy bank, con una maturità media di 8,1 anni. I grandi possessori di questa carta sono le grandi banche commerciali nazionali e i fondi assicurativi. Il 55% di queste obbligazioni è stato emesso dalla China Development Bank (CDB, 国家开发银行). Addirittura risulta che i titoli emessi da questa banca risultano più liquidi di quelli del Tesoro, con i titoli del quale gareggia come collaterale. Ci sono altri titoli di natura governativa, come quelli emessi dalla banca centrale, che però sono ormai divenuti residuali.
Dopo i titoli più o meno governativi diamo un’occhiata a un’altra categoria di bond molto importante: quelli emessi da soggetti finanziari. Quindi banche commerciali, assicurazioni eccetera. Si tratta di un’industria altamente strategica per l’economia e che tutt’oggi rimane largamente sotto il controllo dello stato, godendo quindi di garanzia implicita del governo. Per questa ragione il profilo di rischio di queste obbligazioni è considerato migliore di quelle che stanno immediatamente sotto di loro, ossia le obbligazioni del settore corporate. E questo spiega perché il merito di credito dei financial bonds (FB, 金融债) sia migliore.
Al primo posto dei FB troviamo i certificati di deposito negoziabili Negotiable Certificates of Deposit (NCDs, 同业存单). Si tratta di strumenti solitamente del mercato monetario, quindi a breve termine, emessi da da banche nel mercato interbancario. Prima del 2013 questi titoli neanche esistevano. Ma dalla loro nascita, a dicembre di quell’anno, hanno conosciuto uno sviluppo notevolissimo arrivato a fine 2018 a un volume di 9,8 trilioni di yuan, soprattutto grazie al merito di credito degli emittenti e alla buona liquidità del mercato secondario. I tassi dei NCD seguono da vicino la Shanghai Interbank Offered Rate (Shibor, 上海 银行 间 业 业 利率), con un premio di 80 punti base rispetto alle obbligazioni della China Development Bank (CDB) nel 2018.
Conoscere questi titoli è interessante perché gli emittenti sono in larga parte le piccole banche (joint-stock commercial banks) e le credit unions cittadine mentre gli acquirenti sono le cosiddette Big Five, ossia le grandi banche pubbliche (Bank of China, Construction Bank of China, Commercial and Industrial Bank of China, Agricultural Bank of China, Bank of Communications), che li acquistano direttamente o tramite i loro Wealth Management Products (WMPs, 理财产品), ossia veicoli di investimento. Si tratta di soggetti che si indebitano a basso prezzo e investono a più alto rendimento per lucrare la differenza. Quindi incorporano maggior rischio potendo contare su una sostanziale garanzie pubblica. Non certo il massimo per l’azzardo morale. Per motivi simili, anche i mutual funds, le banche commerciali del governo e i fondi del mercato monetario investono in questi NCD.
Al secondo post fra i bond finanziari troviamo svariate tipologie di titoli obbligazionari senior o subordinati emessi dalle grandi banche commerciali, le compagnie di assicurazioni e gli altri soggetti che operano nel mercato. Complessivamente i bond finanziari pesano circa il 7% del mercato obbligazionario (dato fine 2018).
Rimane da analizzare il più complesso universo obbligazionario cinese, quello delle imprese non finanziarie. Il settore corporate, è bene ricordarlo, è stato protagonista del grande aumento dell’indebitamento dell’economia. Fra i vari strumenti finanziari che esprime questo mercato uno dei principali sono gli Enterprise Bonds (EB, 企业债) già in circolazione nei primi anni ’80 come mezzo non bancario utilizzato dalle imprese per avere credito. Abbiamo visto, ancora oggi, quanto possa essere difficile per un’impresa cinese avere credito bancario. E questa è una delle ragioni per le quali questo mercato è così strategico per l’economia cinese. Va ricordato che dal 1997, quando è stato istituito il mercato interbancario dei bond, quest’ultimo era l’unico nel quale i bond venivano emessi e scambiati. Questo spiega perché nei primi anni la gran parte degli emittenti fossero le aziende pubbliche cinesi, per lo più non quotate (SOEs). Dal 2005 tuttavia anche il mercato borsistico (exchange market) è diventato concorrente dell’interbank market e perciò ci ha consentito alle aziende di vendere le propri obbligazioni in entrambi i mercati. Al momento si stima che circa un terzo dei bond in circolazione siano scambiati nel mercato borsistico e il resto in quello interbancario. L’emissione dei bond è regolata dalla National Development and Reform Commission (NDRC, 国家发展改革委员会), e si calcola che al momento il mercato valga circa tre trilioni di yuan. I principali investitori sono banche e mutual fund.
Una componente importante di questi strumenti sono i Municipal Corporate Bonds (MCB, 城投债), che pesano circa il 75% dei bond in circolazione. Si tratta di strumenti emessi dal imprese statali (Local government financing vehicles (LGFVs) per supportare sia a livello provinciale che municipale gli investimenti infrastrutturali. Come viene opportunamente notato dagli economisti autori dello studio pubblicato dal NBER che ha ispirato questo approfondimento, “sono uno degli esempi perfetti della miscela tra pianificazione e mercato nell’odierna economia cinese: sono implicitamente sostenuti dal corrispondente governo locale, ma in senso strettamente giuridico sono emessi dalle LGFV che sono imprese come le altre”. La Cina insomma usa la tecnica del mercato, ma col cervello socialista.
Altrettanto importanti, se non di più, è un’altra categoria di bond, ossia gli Exchange-Traded Corporate Bonds (ETCB, 公司债). Si tratta di obbligazioni emesse e scambiate sui mercati finanziari. Quando furono istituiti, nel 2007, erano ammesse solo le quotazioni di imprese pubbliche quotate. Nel 2015 il regolatore ampliò significativamente i soggetti ammessi. E’ sufficiente che gli emittenti siano imprese per essere titolari di obbligazioni. E questo spiega bene perché si sia arrivati a un valore di carta, a fine 2018, che ormai ha raggiunto i sei trilioni di yuan. Assai più di nicchia, ma molto utilizzate dalle grandi imprese pubbliche, ci sono poi le Medium-Term Notes (中期票据) che vengono emesse nel mercato interbancario con una maturità fra varia fra i tre e i cinque anni e ormai si stima valgano circa 5,7 trilioni di yuan.
Fra le obbligazioni di breve termine occorre menzionare la Commercial Papers (compresa la Super Commercial Paper, 短融及超短融), sostanzialmente cambiali che scadono entro un anno mentre la super scade a 270 giorni. Lanciate entrambi nel 2005, a fine 2018 quotavano 1,9 trilioni di yuan. Quindi ci sono anche gli Asset-Backed Securities (ABS, 资产支持证券), istituiti anch’essi nel 2005 e in crescita al ritmo del 49% l’anno da allora. Questi titoli possono essere scambiati sia sul mercato che nell’interbancario. Le banche commerciali li usano per portare fuori dai propri bilanci alcuni asset. Nel 2018 il mercato degli Abs valeva 2,6 trilioni di yuan, il 13% del mercato dei bond corporate e il 3% di tutto il mercato dei bond.
Chiudono la nostra breve ricognizione le Private Placement Notes (PPN, 定向工具),lanciate nel 2011 all’interno del mercato interbancario sono una sostanziale mescolanza fra debito privati e bond pubblico. Ciò in quanto le imprese non finanziarie possono vendere questi titoli solo a un gruppo selezionato di investitori che possono anche scambiarli fra loro nel mercato interbancario. Nei pochi anni trascorsi dalla loro invenzione, questi titoli hanno già raggiunto i 2 trilioni di yuan, che sono il 2,3% del mercato. Infine ci sono, ma poco diffusi, gli International Institution Bonds (国际机构债) e i Railway Bonds. Insieme quotano appena lo 0,5% del mercato.
Completata l’anagrafica, che ricorda molto da vicina quella dei paesi occidentali, adesso bisogna fare solo l’ultimo passo: vedere come funziona questo straordinario organismo nella pratica. E qui serve ancora un po’ di pazienza.
(4/segue)
Puntata precedente: Come funziona il mercato dei bond quotati in Cina
Il gigante della finanza cinese: il mercato interbancario dei bond
Se si guarda l’evoluzione a dir poco stupefacente conosciuta dal mercato dei bond in Cina si comprende bene l’entità del miracolo economico avvenuto in un trentennio laggiù. A fronte di un mercato che ormai vale quasi il 100% del pil, c’è stato un tempo in cui i bond venivano portati fisicamente negli uffici delle banche e da lì scambiati a mano fra venditore e acquirente. Era l’epoca delle prime obbligazioni, quelle del Tesoro, che il ministero delle finanze aveva iniziato a collocare dal 1981, e quelle corporate, emesse dopo le norme del 1987 che le avevano autorizzate. Un anno dopo, nel 1988, il governo approvò un progetto pilota per consentire la circolazione e lo scambio della carta del Tesoro in 61 città, creando il primo mercato secondario che funzionava scambiando fisicamente i titoli. Era il physical bond counter market. Dieci anni dopo questo mondo era sparito.
Questa fase vagamente primitiva infatti fu definitivamente archiviata ai primi degli anni ’90. Il mercato fisico aveva mostrato enormi difficoltà a funzionare, prima fra tutte il rischio di truffe. Si decise perciò di affidare le transazioni ai mercati centralizzati. Nel 1991 lo Shanghai Stock market divenne il depositario dei bond cinesi con la benedizione del governo. Nasceva così l’età del bond quotati che però ne preparava un’altra che si mostrerà assai più importante negli anni a venire: quella del mercato interbancario dei bond.
Paradossalmente, questa evoluzione, che finirà col marginalizzare il mercato dei bond quotati, fu favorita proprio dallo straordinario successo che le obbligazioni incontrarono sul mercato. Nel 1997, infatti, il mercato di Shanghai conobbe una notevole crescita – l’indice passò dal 1.000 a 1.500 da inizio anno a maggio. Il mercato secondario, che coinvolgeva banche commerciali ed investitori privati, vide un incremento notevolissimo delle transazioni repo nelle quali i bond venivano usati come collaterali per ottenere prestiti per speculare in borsa. La perfetta eterogenesi dei fini.
Tanto perfetta che la banca centrale cinese iniziò a preoccuparsi. A giugno di quell’anno impose alla banche commerciali, che stavano inondando di fondi il mercato azionario, di ritirarsi dal settore dei bond quotati e di operare nel neonato mercato interbancario, obbligandole a spostare tutta la carta che avevano in portafoglio in questo settore che di conseguenza conobbe una crescita rapidissima. In poco più di vent’anni il mercato all’ingrosso interbancario divorò il mercato retail diventando il pilastro dell’obbligazionario cinese. All’inizio i partecipanti erano appena 16 banche commerciali. Ma mano a mano che la finanza prendeva piede nel paese, l’accesso all’interbancario fu garantito a un numero sempre maggiore di soggetti. Nell’arco di appena tre anni, alla fine del 2000, i partecipanti erano già 693.
A febbraio 2014 la banca centrale cinese autorizzò 16 grandi istituti a scambiare sull’interbancario anche i loro wealth management products (WMPs), ossia prodotti finanziari emessi dal settore dello shadow banking, cresciuto notevolmente in quegli anni, che spesso ha proprio le banche alle spalle. Ciò condusse all’ingresso di altri soggetti in questo interbancario, compresi gli emittenti di WMP, fondi di investimento e compagnie fiduciarie. A dicembre 2018 i 16 partecipanti del 1997 erano diventati 6.543. “Queste istituzioni finanziarie – spiegano gli autori del nostro paper NBER – coprono quasi l’intero sistema finanziario cinese al giorno d’oggi”. Tutti insieme appassionatamente.
E da oggi, quindi che dobbiamo partire. Il mercato interbancario di bond è diventato il mercato primario del governo e delle entità governative dove vengono collocati i bond. Inoltre è il mercato di riferimento della banca centrale per le sue operazioni di mercato aperto. Nell’aprile 2003 la banca centrale condusse la sua prima operazione nel mercato interbancario emettendo titoli a sei mesi per cinque miliardi di yuan. Al tempo stesso è diventato il collettore del risparmio cinese e il suo distributore verso l’economia reale. Insomma, è diventato il polmone finanziario della Cina, e questo spiega il suo straordinario volume di affari.
I dati parlano chiaro. A fine 2018 il valore del mercato interbancario dei bond in circolazione ha raggiunto i 76 trilioni di yuan, con un livello di emissioni di 41 trilioni, lo stesso anno. I partecipanti sono così distribuiti:
Da notare che il secondo gruppo di partecipanti per volume dopo le banche commerciali è rappresentato dal mutual fund, che includono anche i soggetti che operano nel settore ad alto tasso di crescita del wealth management. Il regolatore, ossia la banca centrale, People’s Bank of China (PBC, 中国人民银行), ha imposto a tutti i partecipanti di aprire conti presso la China Central Depository & Clearing Co. Ltd, (CCDC, 中债登) che funziona da entità di deposito e clearing house, mentre gli scambi vengono veicolati tramite il China Foreign Exchange Trade System (CFETS) 外汇交易中心. Dal 2009 alla CCDC si è affiancata la Shanghai Clearing House (SHCH,
上清所) mettendo di fatto fine a una situazione di monopolio. Il mercato interbancario dei bond cinesi ormai somiglia sempre più a quello dei paesi occidentali. E’ diventato altrettanto complicato. E quindi rischioso.
(2/segue)
Puntata precedente: Quel che c’è da sapere sul mercato obbligazionario cinese.
Puntata successiva: Come funziona il mercato cinese dei bond quotati
Le banche cinesi iniziano a scricchiolare
Dimenticate per dieci minuti l’Europa e i suoi tormenti bancari e dedicateli alla lettura dell’ultimo report di Fitch sui rischi delle banche cinesi, che crescono insieme alla generosa messe di crediti concessa e quindi dei debiti dei beneficiati che li comprano. Poi comprenderete perché la Bce, nel suo ultimo rapporto sulla stabilità finanziaria, abbia dedicato un approfondimento al rischio di contagio per le banche europee, che parte proprio dai paesi emergenti, dei quali la Cina rimane il campione. Alla fine sempre ai tormenti bancari europei si ritorna. Forse perché l’Europa non ha trovato nulla di meglio da fare con il suo attivo di conto corrente che prestarlo a mezzo mondo.
Comunque sia, “l’outlook per il settore bancario cinese è negativo”, scrive Fitch, “riflettendo la nostra osservazione che scarsa profittabilità e forte crescita del credito terranno la capitalizzazione sotto pressione”. Come se non bastasse, “l’alto e crescente leverage del settore corporate rimane il rischio chiave di fronte al quale si trovano le banche cinesi”.
Non che sia una novità. Da anni si rincorrono gli allarmi sulla tenuta delle banche cinesi e il livello esagerato di debiti delle imprese. La differenza fra allora e oggi è un deciso cambiamento del contesto internazionale cui corrisponde una minore tolleranza al rischio paese che la Cina incorpora e che ha determinato notevoli deflussi di capitale negli ultimi anni.
Peraltro, “il leverage continuerà ad aumentare, specialmente a livello corporate, almeno fino a quando si continuerà a contare sul credito per sostenere il Pil”. In particolare Fitch ha rivisto le sue stime di crescita dei debiti cinesi (FATSF, Fitch-adjusted total social financing/GDP) che dovrebbe raggiungere il 258% del pil entro quest’anno e il 274% alla fine dell’anno prossimo. La Cina rischia di fare sempre più la fine del Giappone.
Le autorità stanno tentando di promuovere i prestiti alle famiglie, ancora relativamente poco indebitate, ma anche qui la crescita del credito, che si concentra per lo più sui mutui, ha finito con l’incoraggiare un boom dei prezzi immobiliari capace di alimentare il boom dei credito corporate, visto che le aziende usano di solito come collaterale il mattone. Un gatto che si morde la coda e che rischia, piano piano di mangiarsela.
Non a caso l’agenzia si aspetta una crescita delle sofferenza bancarie (NPLs) mentre la profittabilità delle banche rimarrà stagnante e sotto pressione, anche per la continua migrazione di depositi verso i prodotti di risparmio gestito, i wealth management products (WMPs), che al momento pesano il 17% dei depositi e sono finiti ad alimentare il sistema bancario ombra, aggiungendo ulteriori tensioni al sistema cinese. La conseguenza di queste pressioni sono profitti fiacchi e pressioni sul capitale bancario, come una qualunque banca europea. O addirittura peggio. Fitch ha stimato che una risoluzione on/off del problema dei debito potrebbe provocare un deficit di capitale che varia dall’11 al 20% del Pil cinese. E poiché il sistema cinese, malgrado le apparenze, è legato mani e piedi allo stato, ciò significa una delle più grandi socializzazione delle perdite della storia. “Maggior debito corporate – sottolinea Fitch – è probabile migri verso il bilancio sovrano aldilà degli swap con i governi locali”, ossia dei debiti delle realtà territoriali che si sono accumulati come montagne dopo lo stimolo fiscale del 2009.
I debiti cinesi sono tante piccole montagne tenute fuori dal bilancio dello stato centrale. Finora. Per il momento gravano sui bilanci bancari. Che infatti scricchiolano.