Etichettato: cronicario

Cronicario: Colpo di scena: lo spread siamo noi

Proverbio dell’8 giugno L’amore inizia con uno sfiorarsi di maniche

Numero del giorno: 9,3 Aumento % export tedesco ad aprile 2018 su aprile 2017

Mi sveglio parecchio turbato perché ho sognato una fuga di capitali con me al loro seguito e figuratevi il dispiacere al pensiero di lasciare la nostra bella madrepatria. Per andare dove poi? Boh. Pure là fuori fischia il vento e soffia la bufera, solo che fanno meno casino di noialtri e fanno bene. Qui, da quando abbiamo internazionalizzato a scopo di governo il nostro usuale cazzeggiare autolesionistico, abbiamo fatto un disastro.

Decido di dare la colpa del brutto sogno alla cattiva digestione e me lo dimentico finché non mi trovo davanti il ritornello che ormai ci affligge da quando abbiamo avuto la brillante idea di diventare un problema globale. Parleranno di noi anche al G7 canadese, per dire, dove è volato stanotte il nostro primo ministro, che speriamo non perda gli appunti durante il viaggio. Ma comunque: neanche il tempo di assimilare la colazione, e mi arriva il solito uno-due, che tradotto dal pugilistico al finanziario significa spread-borsa, con l’uno che arriva a 270 e l’altra che si asciuga fino a un altro 1,8% con le banche a battere i dentini da latte che hanno appena rimesso dopo la crisi. Scopro con raccapriccio che si torna a parlare del rendimento del biennale. Ma soprattutto leggo una pletora di dichiarazioni che mi riportano a tempi ormai dimenticati. Lo spread qua, lo spread là…

Ma le parole più meritevoli di essere ospitate dal vostro Cronicario, le ho trovate leggendo la dichiarazione di un pezzo grosso della nostra Banca d’Italia, ospite del convegno Acri, che se non lo sapete è l’associazione della casse di risparmio, ossia uno dei conventi dove si celebra il rito del capitalismo più o meno protetto (possibilmente più) come piace a noi italiani. E che dice il nostro cardinale monetario? Che l’aumento dello spread non è causato “da una demoniaca e misteriosa” manovra da parte “di pochissimi speculatori” ma dall’aumento del “rischio percepito dai gestori dei risparmi degli italiani” che uno dei “paesi come l’Italia possa uscire dall’euro”.

Soprattutto il nostro paziente banchiere ricorda all’uditorio che questo “è tema che non dobbiamo cessare di spiegare all’opinione pubblica” sottolineando come i gestori “a cui sono affidati i nostri risparmi, di fronte a questo rischio, si coprono vendendo i titoli”. La speculazione “esiste ma si accoda a questo movimento”.

Vabbé: ve la faccio semplice. Sono (anche) i nostri soldi che accendono il fuoco della fuga di capitali dall’Italia. E i primi a farli fuggire sono gli italiani.

Lo spread siamo noi.

A lunedì.

Cronicario: L’economia va piano e per fortuna rallenta

Proverbio del 7 giugno L’assetato va al pozzo, non il contrario

Numero del giorno -4,6 Calo % annuo vendite al dettaglio in Italia ad aprile

Se davvero pensate che una lumaca possa accelerare vuol dire che non ne avete mai osservata una più di un minuto. Che poi è il tempo medio che uno qualunque di noi dedica all’osservazione delle performance economiche nazionali, che nella gran parte dei casi poi si esaurisce in quella del proprio estratto conto. Perciò quando vi fanno credere che siamo destinati a un radioso futuro – basta un debituccio in più signora mia – dove la nostra economia recupererà vigore e scatterà agile con un ventenne invece dell’ottuagenaria che è, non dategli retta. Le lumache veloci esistono solo nei cartoon.

Però siccome non dovete credere a me, che notoriamente sono affidabile quanto uno qualunque, visto che uno vale uno, date un’occhiata all’ultima fatica dell’Istat pubblicata oggi che dice tutto quello che c’è da sapere sull’economia italiana nell’anno del Signore 2018.

Non vi sforzate troppo: basta leggere le righe verdoline, che tradotte dall’istattese significano solo che quest’anno rallenteremo la velocità della nostra crescita che già procedeva col piglio di un ciclista fuori forma in salita. La qualcosa nel momento in cui si celebrano le magnifiche sorti e progressive del deficit pubblico quale rimedio pure dell’obesità implica soltanto che potremmo farne di meno – di deficit – se la crescita decelera. Eh già. Non dovrei, ma vi rivelo uno dei segreti meglio custoditi della setta elitaria degli aritmetici: il risultato di una frazione dipende anche dal denominatore.

Perché vi dico questo? Vabbé: oggi è giornata di segreti svelati. Il mitico rapporto deficit/pil (ma anche quello debito/pil) è una frazione. Quindi per mantenere fisso un certo risultato  – chessò il mitico deficit/pil al 3%, che poi equivale a 0,03 in linguaggio decimale – occorre che numeratore e denominatore collaborino. Tre euro di deficit ogni cento di pil sono meno di tre euro di deficit ogni novantotto, non so se mi spiego.

Ecco adesso lo sapete. Farò la fine di Prometeo per avervelo detto, ma pazienza. Tanto il fegato me lo sto già rosicchiando da solo a furia di leggere le bestialità che si trovano sul cronicario globale, del quale il vostro Cronicario qua propone solo le perle. Ah, se poi vi prudesse di voler sapere come mai andiamo così piano, noi italiani, grattatevi subito e fidatevi dei proverbi sovrani.

Solo, non dite ai politici di scrivere nel prossimo contratto che dobbiamo rallentare. E’ una delle poche cose che abbiamo imparato a fare senza il governo.

A domani

 

 

Cronicario, Fra popolari e populisti trionfa il pop

Proverbio del 6 giugno La mano occupata non chiede la carità

Numero del giorno: 22 Crescita % del mercato immobiliare in Germania dal 2009

Mi son svegliato populista, almeno secondo quanto riporta in prima pagina un noto (?) quotidiano nazionale spiegandomi col linguaggio della casalinga di Voghera l’esito del voto di fiducia in Senato. Ah perbacco, mi dico: son populista. La mia vita si riavvolge in un batter d’occhio e mi srotola sugli spalti populisti a fare il tifo per il difensore del popolo, nel nome del popolo, evviva il popolo.

Poi sento uno di quelli che dovrebbero essere l’opposizione dire che loro, gli oppositori, saranno l’alternativa popolare al governo. Quindi i popolari alternativi al populismo.

Ripenso a nonna, popolana vera, mi commuovo e inizio a intonare canzoni di stampo risorgimentale e inni alla resistenza. Finché stretto nella morsa di questi opposti estremismi mi si rivela il vero eroe del nostro tempo, la cui arcana influenza è arrivata fino a noi sotto mentite spoglie.

Eccolo qua il vincitore. Lo spirito pop, figlio illegittimo dell’arricchimento a sbafo, che dall’arte si è travasato nella musica, e da lì lento e insidioso come un germe patogeno in costante mutazione si è infiltrato per ogni dove nelle nostre società creando il mondo meraviglioso che abitiamo dove ognuno può dire una qualunque minchiata e ricevere in cambio parecchi like, molti dei quali per puro fraintendimento. Nel magico mondo del pop non ha nessuna importanza quello che dici, ma che tu lo dica. Né che tu sappia fare, ma che tu faccia. La coerenza coi fatti è semplicemente noiosa. Non è pop. L’efficacia non si misura con la matrici di input/output, ma con lo share. Pure se sei ministro, anzi specialmente. Niente di meglio di un ministero pop: piace ai populisti come ai popolari che ne condividono l’obiettivo supremo.

Pacificato dalla rivelazione, rileggo con molta meno ansia l’annuncio che giovedì 14 giugno la Bce potrebbe determinare la data in cui smettere di comprare titoli di stato nell’ambito del QE, pure se lo spread sul nostro biennale è tornato ad allargarsi e quello sul decennale corre. Me ne frego: non è roba pop. Me ne infischio altamente, poi, che dal prossimo 20 luglio l’Ue dazierà per ritorsione gli Usa per la sua decisione di penalizzare l’import di acciaio e alluminio dall’Europa.

Sempre che (ah ah ah ) tutti e 28 i paesi che compongono questa inedita alleanza di interessi diano il via libera alla proposta della Commissione. L’Ue non è per niente pop, a cominciare dal nome che suona come un rimprovero. E figuratevi quanto m’interessa leggere la cancelliera tedesca che dice che “serve il rispetto delle regole da parte di tutti”. Forse ha ragione. Ma non è pop.

A domani.

Cronicario: Caro Presidente non trattarci da deficitenti

Proverbio del 24 maggio Dove va l’ago, va anche il filo

Numero del giorno: 8.000.000 Pizze prodotte ogni giorno in Italia

Caro Presidente incaricato,

stamattina mi sono trovato a leggere una dichiarazione della Merkel, che si trova in Cina, dove veniva detto che la Germania e la Cina sosterranno l’accordo sul nucleare iraniano, che è non il migliore possibile, ma è sempre meglio di nulla. Forse lei avrà riconosciuto una consonanza di destino, in questa affermazione. Ora sono consapevole che molti sostenitori del suo probabile governo odiano la Merkel perché è tedesca, e quindi cattiva ed egoista, però sono certo che lei, fine conoscitore delle relazioni commerciali del nostro paese, converrà sul fatto che tale dichiarazione ha fatto un gran bene alla nostra economia.

Orbene, adesso la so impegnata in febbrili trattative per individuare l’unica casella che pare sia rimasta libera nel suo album di figurine ministeriale, quella dell’Economia.

La prego perciò di accettare una umilissima preghiera che arriva da uno di quei cittadini che lei ha promesso pubblicamente di voler difendere, anche se non so bene da chi, e non credo si riferisse ai suoi dante causa. Mi sorge il sospetto tuttavia che gli unici verso i quali dovrei indirizzare il mio diritto alla legittima difesa, peraltro ampiamente garantito anche nel contratto con gli italieni che immagino lei abbia letto, siano i tanti che le suggeriscono all’orecchio che la parola magica per risolvere i nostri annosi problemi sia la solita, facile e seducente: deficit.

Perciò ho una preghiera da rivolgerle, ora che deve decidere (perché decide lei giusto?) chi sarà il prossimo custode del nostro salvadanio pubblico, peraltro vagamente scassato. Pensi alla Merkel che tiene in piedi l’accordo con l’Iran e magari dica a quelli che le chiedono di firmare un assegno in bianco che il prossimo ministro dell’economia lo sceglierà ispirandosi alle commedie di Molière.

Ma soprattutto, gentile presidente, non ci tratti da deficitenti.

Grazie.

A domani.

Cronicario: Italien vs Spreadator: chiunque vinca noi paghiamo

Proverbio del 23 maggio Si scansa la freccia di un nemico, non la lancia di un amico

Numero del giorno: 194,7 Spread Btp/Bund in tarda mattinata

Compenetro finalmente lo spirito del tempo mentre leggo in un noto outlet di marchette on line uno dei tanti geni che ci hanno portato fino a qua dire che ci salveranno i mercati. I mercati capite? Questi qui:

Voglio dire, i predatori globali. Neanche il tempo di finire di ridere e arriva la breaking news: Mangiafuoco ha convocato Pinocchio alle 17.30 sul Colle. Si sprecano le interpretazioni. Il Gatto e la Volpe gongolano. Qualcuno annuncia l’inizio della Terza Repubblica. Inizia a realizzarsi il contratto con gli italieni.

L’uno-due mi manda al tappeto, regalandomi una rivelazione custodita nel sottoscala delle coscienza: stiamo nel mezzo di un conflitto di religione. Gli adoratori del dio mercato vs gli adoratori del dio stato, per decidere se debba comandare l’elettore o l’azionista/obbligazionista. Disputa pelosissima che si riduce al fatto di dover decidere chi dà i soldi a chi. Che questa disputa religiosa sia esplosa qui da noi non deve stupire. Primo abbiamo un sacco di soldi che fanno gola a parecchi – quei 9-10 mila miliardi di ricchezza delle famiglie – oltre a un bel po’ di debiti che sogniamo di non dover ripagare. Secondo siamo culturalmente vocati alla guerra di religione. Non ce ne perdiamo una dai tempi delle crociate e anche da prima se ci pensate.

In questa guerra di religione in confronto alla quale quella fra sunniti e sciiti è una roba da mammolette si sprecano le baruffe. Oggi i signori industriali, sul cui sentimento religioso pro mercato (finora) non è lecito nutrire dubbi hanno lanciato un appello accorato dalla loro assemblea proprio mentre dai sacerdoti Bruxelles arrivavano dichiarazioni evidentemente sarcastiche indirizzate al futuro governo dove si esortava l’Italia a garantire una correzione del deficit dello 0,6% l’anno prossimo, nonché un taglio della spesa per le pensioni.

Parole che infuocano la polemica degli italieni che venerano il conio e il bilancio, ossia gli arconti del demiurgo-Leviatano. E così via, per chissà quanto tempo da oggi in poi. Mi consola poco l’idea che abbiamo smesso di farci guerra sul Filioque, visto che abbiamo scambiato le liti sulla trinità con quelle sulla sovranità. L’Occidente, e noi per primi, ha le guerre che si merita. Per un attimo mi deprimo, ma poi mi ricordo che sto vivendo una favola, anzi un film. E so anche quale.

Italien vs Spreadator. Chiunque vinca, noi paghiamo. Ma è solo un film, Poi finisce.

A domani.

 

 

Cronicario: Il governo che non c’è finisce fuori pIstat

Proverbio del 22 maggio Chi ama e non è riamato si domandi se ama bene

Numero del giorno: 3.000 Candidati a un concorso per 5 posti da infermiere a Torino

Leggo per nulla sorpreso che Pinocchio ha rivelato la sua natura di naso lungo prima del previsto per un affare di curriculum, autentica ossessione di un tempo in cui bisogna averlo lungo per avere peso e così finisce che uno ci scrive pure una buona dose di minchiate perché tanto chi mai lo controllerà?

E invece controllano là fuori e voi furbacchioni del web lo sapete bene. Ci sono milioni di occhi assetati di sangue là fuori che uccidono curriculum per pura noia e gusto del clickbaiting. Mica credevate davvero di farla franca? Certo che no. E allora, come si spiega? Facile: la nuova favola italiana, che il vostro Cronicario preferito vi ha anticipato anzitempo, richiedeva il suo Pinocchio, essendo protagonisti il Gatto e la Volpe, col nostro Mangiafuoco, lassù sul Colle, a ponderare chissà quali raffinatissime strategie per uscire dal pasticcio.

Le favole hanno una coerenza interna che supera la volontà dei loro protagonisti. E adesso rimane da vedere che fine farà il nostro caro burattino. Se diverrà un bel bambino paffutello, accomodato sulla cadrega primoministeriale, o tornerà ad essere un misero pezzo di legno consegnato ai lazzi e ai frizzi dei pirati senza cuore ma molto arguti che affollano il web. Aspettiamo di scoprirlo. E mentre che il nostro amatissimo Mahttarella decide come grattarsi quest’ennesima rogna – le prossime puntate sempre qui a una cert’ora – mi sembra assai più interessante parlarvi di un documento rilasciato oggi dall’Istat che spero accenda una qualche luce nelle tenebre del nostro dibattito pubblico. Mi riferisco alla ricognizione sulle prospettive dell’economia italia pubblicata poco fa proprio mentre il governo che ancora non c’è imboccava un clamoroso fuori pista.

Ed è proprio l’approfondimento la cosa più succosa. Ora non vi dico di leggerlo, perché magari sarete impegnati a parlare del curriculum di Pinocchio, però dovreste – dico a voi teorici del miglior governo possibile – almeno guardate le figure.

Traduco: nel 2017, la produttività del lavoro italiana è cresciuta dell’1,1% rispetto al 2010 a fronte di un incremento medio di circa 7 punti percentuali di Germania, Francia e Spagna che si sono attestatati su valori superiori al periodo della crisi. Ma se risalite indietro nel tempo non è che fosse ‘sta gioia. Ora se pensate che questa situazione si risolva regalando reddito, pompando investimenti a debito e facendo le boccacce a chi vi sta antipatico, siete i felici abitanti della nuova favola italiana. E Pinocchio è il vostro presidente.

A domani.

 

Cronicario: E venne il giorno di Mahttarella

Proverbio del 21 maggio Il pensiero rende l’uomo più grande di una montagna

Numero del giorno: 3.303 Casette consegnati ai terremotati sulle 3.645 richieste

Mi dico ogni giorno che devo smetterla, che devo essere forte e non ricadere nel vizio di perculare i politici. Là fuori c’è una vita bellissima che merita di essere raccontata. Per dire Trump che fa pace coi cinesi sui dazi, per la gioia del commercio internazionale, che solo questo meriterebbe un applauso a scena aperta.

Si potrebbe evitare ricadute anche osservando semplicemente il prezzo della benzina che, nell’attesa che si compia la beata speranza iscritta a lettere di fuoco nel contratto con gli italieni – ossia l’eliminazione delle accise più datate – continua a salire spinto dai rincari provocati da alcune notizie interessanti di cui non mi riesco più a interessare perché nel frattempo il vizio di seguire le prodezze dei politici ha preso il sopravvento liberando in me un potere oscuro.

Suvvia, ormai mi conoscete: ero predisposto. Una qualche tara sicuramente ereditaria – un qualche antenato clown, vai a sapere – ma la ricaduta è stata drammatica da quando le note vicende elettorali hanno circonfuso di varie gradazioni di comicità il nostro dibattito pubblico. Potete pure pensare che non ci sia nulla da ridere, perché magari appartenete a quella vasta minoranza di persone preoccupate. Ma se guardate in controluce mi giustificherete. Non è colpa mia: sono le cronache che mi disegnano così. Per dire: oggi l’uomo del Colle, sul quale si sono appuntate chissà quali speranze dell’una e dell’altra fazione, riceverà, di nuovo in orari diversi il Gatto e la Volpe che dovranno presentargli il futuro Pinocchio. Messer Mangiafuoco lassù diventa d’improvviso il protagonista della nostra nuova favola italiana e siccome il vostro Cronicario dispone di fonti assai bene introdotte, posso già anticipare la risposta che l’uomo del Colle darà quando gli chiederanno se gli piace il futuro governo verdellino.

Nell’ora più grave, mentre l’odiato spread supera i 170 con ciò minacciando l’italico orgoglio, viene fuori il temperamento. Io ricado nel vizio: cazzeggio. Mahttarella sceglie il premier.

 

 

 

Cronicario: E dopo il contratto di governo arriva Pinocchio

Proverbio del 17 maggio Nel fare leggi severità, nell’applicarle clemenza

Numero del giorno: 3,3 Crescita % export Italia a marzo su base annua

L’ora è grave e le massime intelligenze del Paese hanno consegnato alla Patria il Piano che segnerà la Nuova Rivoluzione Italiana. Il contratto è (quasi) arrivato. Ci manca solo di sapere chi sarà incoronato leader in pectore. Il Gatto e la Volpe insomma, dopo aver firmato il contratto, dovranno consegnare il loro Pinocchio al Mangiafuoco del Quirinale.

La bellissima favola italiana, sempre più simile a quella di Collodi, non avrà la consolazione del lieto fine, purtroppo, ma auspichiamo che al povero Pinocchio, che per l’occasione si accomoderà sulla cadrega di primo ministro, non cresca troppo il naso a furia di dover dire il contrario di ciò che farà. Dovrà anche essere dotato di faccia tosta, visto che dovrà incassare chissà quanti schiaffoni dai suoi dante causa, oltre che fornito di una certa flessibilità dorsale e di memoria brevissima. Insomma: un fenomeno.

E tuttavia le indiscrezioni sulla sua identità fischiano come il vento che prepara la bufera. Aldildà degli autocandidati, trombati dopo un giorno, oggi si segnala la dichiarazione di un altro dei tanti personaggi in cerca di poltrona che popolano il nostro paese del quale è inutile fare il nome perché è un autentico archetipo. Interrogato dallo scribacchino di turno che dubitava della sua buona volontà a trasformarsi in primo ministro, il nostro Pinocchio in potenza ha subito sfoderato un’invidiabile prontezza di riflessi: “Non è vero, come ho già detto sono e resto a disposizione del movimento”.

Intrappolato nella favola lisergica del governo che non c’è, mi scordo per un attimo che uno ce l’abbiamo già e che ancora continua a farsi vedere in giro provando a spiegare all’estero, che intanto ci ha inflitto un 30 punti base di spread in più tanto per non sbagliarsi, che in Italia va tutto bene e non c’è da preoccuparsi. Già, perché mai dovremmo preoccuparci.

Mi convinco che vada tutto bene – in fondo meglio del governo che non c’è, c’è solo il governo che non c’è più – finché, a una cert’ora arriva la voce di uno dei partiti del Tavolo. Dice: il contratto è chiuso. Vabbé, penso, è ora di rassegnarsi. Il tempo di rivolgere una prece alla fortuna e arriva un’altra voce, stavolta dall’altro contraente. No: il contratto non è ancora chiuso. Ricomincia la rumba. Ma anche no. Quelli di prima, che avevano detto chiuso il contratto, giurano che sarà chiuso stasera. Tutto questo in meno di mezz’ora. E che succederà quando dovremo farci cancellare i debiti o uscire dall’euro?

#StateSereni. Ci pensa Mangiafuoco.

A domani.

Cronicario: Ultime dal Tavolo: vogliono cancellare Bankitalia

Proverbio del 16 maggio Chi prende più di quello che gli serve ruba a un altro

Numero del giorno: -0,2 Decrescita pil in Giappone nel primo trimestre 2018

Circolano inquietanti fake news circa lo stato delle riflessioni del Gatto e la Volpe nel Tavolo dove si scrive il contratto che deciderà le sorti del Paese. Tipo quella che ha costretto i protagonisti della nuova favola italiana a precisare che le indiscrezioni relative a presunte richieste di cancellazioni dei 250 miliardi di debito pubblico italiano acquistato dalla Bce erano ampiamente superate. E ti credo che sono superate. Siamo andati oltre, in tutti i sensi. E per vie traverse che non posso rivelare, posso anche dirvi dove stiamo andando.

Nel Nuovo Piano Supersegreto è prevista la cancellazione di Bankitalia. Si, quella di via Nazionale, che verrà trasformata in un museo dedicato alla Lira italica, risalendo ai tempi di Carlo Magno, inventore di questa illustre unità di misura monetaria. Pare che i super esperti assiepati attorno al Tavolo del governo che non c’è abbiano scoperto che la Bce ha comprato solo quantità simboliche di Btp nazionali, lasciando l’onore e soprattutto l’onere alla nostra Banca d’Italia, che all’uopo ha dovuto ingrassare non poco il suo bilancione.

Vedete quell’istogramma grigetto che prova a passare inosservato? Ecco, quello è un pezzo del bilancione di via Nazionale, futuro museo alla memoria presente, arrivato alla fine dell’anno scorso, a furia di gonfiarsi di Btp, al valore di 931 miliardi, il 20% in più del 2016, dei quali 289 (non 250, Signori del Tavolo) sono Btp italiani. Da qui il colpo di genio: anziché chiedere alla Bce di rimettere i nostri debiti, facciamoli rimettere ai nostri creditori, ossia a noi stessi. Idea più che geniale, visto che per cancellare questi debiti non bisogna neanche chiederlo a chi di dovere. Basta cancellare Bankitalia con un bel decretuccio nottetempo e quei 289 miliardi di debitucci pubblici spariscono con un tratto di penna. Invece della banca centrale, dicono i beneinformati, verrà creato un torchio di cittadinanza che sarà alimentato dalla riserve aurifere, finché durano, finalmente sottratte all’avidità dei banchieri.

E una volta che finirà l’oro, cioé all’indomani della cancellazione di Bankitalia, faremo dei minibot con sottostante il Colosseo, le spiagge della Sardegna e il parmigiano. In fondo se l’hanno fatto i francesi dopo la rivoluzione, perché non dovremmo farlo anche noi? Gli assegnati pubblici sono il futuro, le banche centrali il passato.

Ora che lo sapete però, non cominciate a dirlo in giro. Se il piano geniale viene fuori dicono che è superato pure questo. E a quel punto cancellano direttamente il governo che non c’è.

A domani.

Cronicario: La flat pax del governo verdellino

Proverbio del 10 maggio Il fiore deve profumare, l’uomo essere gentile

Numero del giorno: 119,2 Utile Fincantieri nel 2017

Annunciazione, annunciazione. Il Gatto e la Volpe ci fanno sapere che molto sta accadendo sotto il cielo di Montecitorio, dove si scaldano i portoni per garantire una accoglienza appassionata al nuovo inquilino del governo gialloverde, che non c’è ma che forse verrà. I due colorati protagonisti, mischiandosi, produrranno un meraviglioso colore verdellino, che potrebbe persino spingere alcuni riluttanti a votarlo. Prima ci saranno incontri e varie elucubrazioni. Ma il menù è già pronto, come spiega uno degli eroi della nostra favola italiana: “Stiamo facendo notevoli passi avanti con il programma di governo, stiamo trovando ampie convergenze su reddito di cittadinanza, flat tax, legge Fornero, sulla questione che riguarda la lotta al business dell’immigrazione, del conflitto di interessi”.

Ora so bene che questi temi susciteranno la ola dei tifosi. La flat tax, capite? Non vedo l’ora dì vedere come faranno a realizzare la flat tax in un paese dove ci sono più esenzioni fiscali che commercialisti. Per dire, qualcuno ne ha contate 799, fra deduzioni e detrazioni, che secondo gli espertoni che ci girano intorno generano una perdita di gettito per l’erario di 313 miliardi, come la targa di Paperino, e sapendo poi che le esenzioni crescono rigogliose come piante tropicali della giungla fiscale nella quale abitiamo noi tutti. Erano 720 appena nel 2011. Per dare un’idea del paese meraviglioso in cui viviamo, sappiate che questo 8% del pil di esenzioni si confronta con lo 0,8 della Germania, il 2,2% della Francia e il 3,8 della Spagna secondo uno studio di Unindustria.

Chi credesse veramente che il Gatto e la Volpe hanno in mente di togliere le esenzioni fiscali per usare le risorse recuperate per fare una flat tax secca, senza regalini agli amici e ai amici degli amici, è il degno governato dei futuri governanti, che però, dovendo poi fare i conti con la contabilità e non potendo scontentare i tanti che li hanno voluti, faranno una flat tax all’80%, che sempre flat è, epperò aumenteranno le esenzioni fiscali perché ci sono un sacco di poveri, porca miseria. E con quello che avanza, di questa spremuta dei sempre meno che lavorano e pagano le tasse, ci pagheranno anche il reddito di cittadinanza e le future pensioni di anzianità. Così facendo realizzeranno l’unico obiettivo di questo governo: la flat pax. Comprata coi soldi pubblici e i minibot.

A lunedì.