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Cronicario. Lo dice anche l’Istat: ad aprile era tutto chiuso

Proverbio dell’11 giugno Una bocca senza sorriso è come una lampada senza luce

Numero del giorno: 25 Quota % italiani che rimanderanno acquisti hi tech secondo Nomisma

Siccome adoro chi, quando piove, mi ricorda che l’acqua è bagnata, mi sono letto tutto d’un fiato l’eccellente rapporto sulla produzione industriale di aprile di Istat che ha confermato una cosa che tutti sospettavamo senza avere il conforto della sicurezza statistica: ad aprile era tutto chiuso.

Avete letto bene: riduzioni senza precendenti!! Per dire, la produzione di auto è crollata del 100%.

Non è meraviglioso tutto ciò? No, non il fatto che sia successo – quella suona più come una disgrazia – ma il fatto che stiamo scrivendo pagine di storia grazie al lockdown. La Pontemia fra 100 anni la studieranno nelle scuole – per allora dovrebbero riaprire –  magnificando i geni che con le loro decisioni hanno contribuito a scrivere questa pagine storica sul nostro librone collettivo.

Allora se vi trovate a passare a Roma, sabato prossimo, e magari fate un salto a Villa Pamphili, non vi dimenticate di fare un saluto a costoro. Mi raccomando: senza precedenti.

A domani.

Chi sono, cosa fanno e cosa sono diventati i giganti del websoft

Mai così tanto potere è stato concentrato nelle mani di così pochi. Mai un pugno di compagnie ha avuto così tanta influenza sulla vita di così tante persone. E tuttavia dei giganti del websoft, quelli che vi guardano dallo schermo del vostro smartphone, si sa ancora pochissimo malgrado siano così noti. Ognuno di noi custodisce i suoi segreti in device che vanno sempre più virtualizzandosi, credendo fideisticamente che queste informazioni non verranno usate contro di lui, magari sotto forma di consigli per gli acquisti. Il device, associato all’imprescindibile connessione, caratterizza l’uomo d’inizio XXI secolo, e i giganti di Internet sono i pastori che conducono queste greggi informatizzate ma poco informate, che per questo non temono nulla quando invece dovrebbero. Perché nulla impedisce a questi soggetti di esercitare i loro servizi sulla base dei loro personalissimi convincimenti, che al momento hanno il profitto come motivazione, ma domani chissà. E sempre domani, quando sarà sempre più difficile fare a meno di loro, potremmo scoprire che non solo i loro intendimenti non ci piacciono, ma che non abbiamo neanche costruito nessun contropotere davvero efficace al loro dominio. Raccogliere e diffondere informazioni su questi soggetti, perciò, è o dovrebbe essere un preciso dovere civico.

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Il grande miraggio del lavoro autonomo

Oggi non si è mai abbastanza qualificati, pure se molti si sentono dire che lo sono troppo. Viviamo in un mercato del lavoro paradossale che chiede straordinarie competenze a fronte di opportunità risicate e malpagate. La laurea ormai serve a poco: tutti vogliono lavoratori che parlino almeno due lingue e che abbiano esperienza, ma non troppa. I datori di lavoro sembrano incontentabili e il lavoratori perennemente inadatti. A fronte di ciò i dati mostrano un costante miglioramento degli indici dell’occupazione in molti paesi che però, se uno va a vedere nel dettaglio, nascondono una realtà molto diversa da quella semplificata dai tassi di disoccupazione. Ai piani alti, i policy maker e gli osservatori insistono sull’importanza della formazione e dell’istruzione per non farsi trovare spiazzati dalle mutevoli esigenze dei produttori, mentre al tempo stesso vengono redatte preoccupate analisi sulla situazione dei mercati del lavoro internazionale da qui a un ventennio. L’avanzata della tecnologia, da molti indicata come la causa principale dello stravolgimento del mercato del lavoro, è una delle componenti della narrazione che si sta scrivendo sul futuro del lavoro, che immagina miriadi di individui, liberati dalla rete, divenire altrettanti unità produttive che agiscono in un mercato pulviscolare che somiglia al mitico mercato perfettamente efficiente disegnato dagli economisti classici. La realtà, ovviamente, è assai diversa.

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La lenta estinzione degli italiani

Che fine faremo non lo decideranno l’andamento del nostro debito pubblico o dei nostri istituti bancari. Tantomeno dipenderà dai dibattiti allucinogeni sul fiscal compact che due terzi degli italiani conoscono solo di nome.  Il nostro destino di popolo si sta già scrivendo sulle pagine inosservate della nostra demografia, figlia misconosciuta della nostra organizzazione sociale, dove le donne pagano un prezzo altissimo, con conseguenze devastanti per la natalità. E poiché scarsa natalità significa invecchiamento e difficoltà a sostenere il welfare, ecco che la nostra pessima organizzazione sociale diventa un problema economico e di conseguenza politico. Problema enorme che viene altrettanto enormemente ignorato nel nostro dibattito pubblico. I politici, alla ricerca di applausi facili, trascurano gli allarmi degli osservatori qualificati, alcuni dei quali hanno paragonato il nostro calo demografico a quello vissuto nel XVI secolo, e pensano a come gonfiare il deficit pubblico, e quindi le tasche dei presenti (e neanche di tutti), infischiandosene bellamente del futuro. I cittadini guardano alla demografia con la stessa indifferenza con la quale si guarda a grandi questioni astratte come quella del cambiamento del clima: cose per le quali in fondo si può far poco e che rimandano a tempi remoti, specie nell’epoca degli instant articles.

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La Chat di Crusoe con @EnricoVerga: Il new normal del commercio internazionale

Questa settimana Crusoe (C) si è piacevolmente intrattenuto con Enrico Verga (E) @EnricoVerga

(C) Buongiorno Enrico. Questa settimana parliamo di globalizzazione, prendendo spunto da un capitolo molto interessante sul tema contenuto nell’ultima relazione annuale della Banca dei regolamenti internazionali. La globalizzazione è sotto accusa e qualcuno dice che sia in crisi. Ma tu la vedi questa crisi?
(E) Dipende da cosa si intende per accusa e crisi. La crisi economica che stiamo vivendo è frutto di una crisi finanziaria estinta nel 2008. Si Sa che l’economia reale arriva sempre dopo. Tuttavia invito a prendere atto di un indice commerciale chiamato Dry Baltic Index. In tale indice si nota che l’attuale stato è il “normale” che si è protratto con oscillazioni dal 1985 al 2004.
(C) In realtà mi riferivo alle accuse alla globalizzazione come pratica. Molti contestano gli esiti ai quali ci avrebbe condotto. Altri osservano che sia su un percorso di arretramento, se confrontiamo le percentuali di crescita del commercio di questi sette anni con la media dei sette precedenti. Provo a dirla in altro modo: moriremo globalizzati?
(E) Detta brutalmente di qualcosa si deve morire. Scherzi a parte, il percorso basato sui passati 7 anni è per forza in arretramento. Se osserviamo questo indice notiamo che stiamo tornando alla normalità: da una realtà iperpompata dalla finanza speculativa americana. C’è da dire che la bolla speculativa delle case (che ha innescato l’intero processo) è solo uno dei quattro maggiori tipi di debito americani che sono stati nel tempo cartolarizzati e venduti in tutto il mondo. I quattro debiti sono in ordine di dimensione: case, debito universitario, auto e carte di credito. La prima è semi-scoppiata le altre tre no. E se osservate, in America c’è una violenta crisi delle “delinquenze” sui prestiti auto e i debiti scolastici sono allo stesso livello. Noterete che il picco precedente era durante la crisi. Quindi parlare di commercio internazionale in crisi è si corretto se paragonato a sette anni fa, ma se paragonato ai decenni precedenti parlerei più di una normalizzazione.

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Tormenti e speranze dell’economia extra Ue

Siamo arrivati a metà del 2017 ma il quadro generale dell’economia internazionale non è dissimile da quello che chiudeva il 2016. Questi primi sei mesi dell’anno si sono caratterizzati per l’alto tasso di vicende politiche, circostanza che accompagnerà anche i prossimi sei mesi del 2017, e una sostanziale conferma delle politiche economiche che i principali paesi hanno seguito per tutto l’anno scorso. L’economia internazionale si sta lentamente trascinando fuori dalla crisi, e l’Europa, sta facendo la sua parte. Ma le situazioni rimangono complesse, aggrovigliate in problemi che non riescono a trovare una soluzione per la semplice ragione che i problemi affondano nella radice delle società.

Poiché è difficile, per non dire impossibile, avventurarsi in previsioni sul futuro prossimo, è molto più utile riepilogare lo stato dell’economia internazionale giovandoci dell’esame più recente che abbiamo a disposizione, ossia la relazione annuale della Banca d’Italia sul 2016, pubblicata la settimana scorsa, che contiene un interessante capitolo dove si fa un quadro sintetico dello stato dell’arte nelle principali economie del pianeta fuori dall’Europa che, inevitabilmente, sono destinate a influenzare anche le future politiche europee. Un’ottima introduzione che consente di capire meglio l’evoluzione della nostra economia, della quale però ci occuperemo la prossima settimana.

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Il nuovo numero di Crusoe: Come va l’economia fuori dall’Europa

Questa settimana Crusoe offre una ricognizione degli andamenti economici nelle principali economia fuori dall’Europa. Un modo per guardare un po’ oltre il nostro solito limitato orticello, consci del fatto che in un’economia globalizzata come la nostra, i confini degli stati sono di fatto un’astrazione quando parliamo di vicende economiche. Chi pensa che conoscere gli andamenti della Cina o del Brasile non ci riguardi, ignora quanto il sistema finanziario e quello commerciale abbiano avvolto in una rete strettissima i continenti. Per questa ricognizione ci siamo serviti dell’ultima relazione annuale di Bankitalia, che contiene anche le considerazioni finali del governatore Visco, che abbiamo pubblicato in stralci nelle nostre “Parole Famose”. Una lettura molto utile e densa di informazioni da conoscere, a cominciare da quelle sulle sofferenze bancarie, in un momento in cui si parla di nuove banche da salvare (le venete).

Come lettura della settimana, abbiamo proposto l’ultimo Global prospect della Banca Mondiale, uscito pochi giorni fa. Conclude la nostra newsletter la selezione delle principali notizie della settimana e le notizie invisibili, quelle che trovi solo su Crusoe. Buona letture.

Ci rivediamo il 16 giugno.

L’evoluzione del mercato delle armi nel 2016

Questa settimana Crusoe esce con un altro numero speciale, un aggiornamento redatto da esperti sul mercato delle armi. Ne avevamo già parlato nel numero 14 della nostra newsletter, ma adesso abbiamo voluto proporre un approccio diverso: offrire agli abbonati documenti originali tradotti in italiano. La forza dell’approfondimento, noi crediamo, dipende in larga misura dalla sua capacità di tenere annodati i fili del ragionamento e della memoria. Questo è uno degli scopi di Crusoe.

L’occasione per proporre questo aggiornamento ci è stato offerta dalla recentissima pubblicazione ad opera del Sipri dei dati sul mercato delle armi. Una lettura utile ad osservarne, fra le altre cose, l’evoluzione geopolitica, nel corso del 2016. La traduzione del documento è stata realizzata da Maria Canelli, alla quale va il nostro personale ringraziamento per il contributo e il tempo che ci ha dedicato. La decisione di pubblicare questo approfondimento arriva proprio nei giorni in cui viene pubblicata la relazione al Parlamento italiano sull’import e l’export di armi del nostro Paese, che conferma il ruolo strategico che l’industria militare ha per la nostra economia. Nel 2016 le nostre esportazioni di armi, grazie alla vendita di alcuni Eurofighter al Kuwait, sono aumentate dell’85%, totalizzando un importo di 14,6 miliardi. Altri mercati di sbocco importanti per l’Italia sono il Regno Unito, la Germania, la Francia, la Spagna e l’Arabia Saudita. Il 2016 è stato un anno record anche per le nostre importazioni, cresciute del 169%, per un ammontare di 612 milioni di euro. L’82% arriva dagli Usa. Insomma, c’è molto da sapere e da comprendere. Speriamo che il documento Sipri contribuisca.

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Il ritorno dell’ottimismo

Da qualche mese ormai l’umore degli osservatori esibisce un certo ottimismo ogni volta che si trovino a relazionare sullo stato dell’economia. Se  parlare di ritorno dell’ottimismo a qualcuno può sembrare eccessivo, non lo è sottolineare almeno la fine del pessimismo che chiunque abbia frequentato in questi anni la reportistica internazionale osservava in ogni dove. L’economia volge al meglio, se non al bene, insomma, e se qualcosa potrà andar storto – sembra di capire – non dipenderà dai capricci dei mercati o degli investitori, che anzi dalla seconda metà del 2016 sembrano tornati a fare il loro mestiere. I veri rischi derivano dal contesto politico. Non bastassero le elezioni europee si temono le ondate di protezionismo che potrebbero generarsi dagli Stati Uniti, dove la nuova amministrazione si segnala per una notevole fantasia, ma soprattutto le fibrillazioni che possono arrivare da Oriente. La (quasi) crisi nordcoreana, che sotto Pasqua ha tenuto mezzo mondo a far scongiuri, o il referendum turco, che vede nascere un nuovo autocrate in una terra da sempre governata da autocrati, con gran sorpresa (?) degli europei, evidentemente convinti che bastasse tirar su grattacieli per diventare moderni. Ma tolte queste quisquilie, il cielo volge al sereno e con lui le aspettative. Quest’anno e il prossimo, addirittura, il Fmi vede una crescita in aumento nei paesi avanzati e in quelli emergenti, e  notizia ancora più sorprendente, una crescita anche del commercio internazionale, malgrado Trump e i suoi sostenitori, viene da dire.

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La fine del denaro a basso costo

Benvenuta e insieme temuta, la normalizzazione monetaria iniziata negli Stati Uniti è destinata ad estendersi in tutto il mondo una volta che l’Europa confermerà l’andamento della ripresa in corso e inizierà a guardare con occhi diversi inflazione e tassi di interessi. Entro la fine dell’anno potremmo trovarci con altri due rialzi dei tassi Usa, e la fine dell’acquisto di asset da parte della Banca Centrale Europea, già ridotti da 80 a 60 miliardi al mese, con scadenza a dicembre 2017, mossa che evoca un rialzo dei tassi che anche di recente Francoforte ha ripetuto di non avere in programma nel breve termine, ma che comunque a un certo punto diverrà ineludibile. Specie se l’inflazione tornerà a puntare verso il 2%, come ha fatto in questo inizio d’anno prima di raffreddarsi insieme alle quotazioni petrolifere.

Benvenuta, la normalizzazione monetaria, perché ormai non si contano più gli allarmi degli osservatori circa gli effetti perversi che accompagnano gli accomodamenti monetari, giudicati il male minore quando l’economia non si reggeva in piedi, e adesso visti con sospetto e crescente preoccupazione a causa delle distorsioni che hanno provocato e tuttora provocano nel sistema finanziario, sia alle banche, cui sono stati erosi i margini di profitto, sia al sistema assicurativo e previdenziale che sta vivendo sulla sua pelle la difficoltà di dover far quadrare i conti in un sistema che ha praticamente azzerato i rendimenti a lungo termine nei prodotti di qualità mentre le compagnie devono farsi carico di piani assicurativi e pensionistici parecchio onerosi.

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